Serbia, la censura secondo Aleksandar Vučić
Una mostra realizzata dal Partito progressista serbo del premier Vučić tenta di smentire le critiche sulla censura dei media serbi. L’effetto però è quello di una sorta di lista di proscrizione
È difficile capire cosa abbia spinto il premier uscente, Aleksandar Vučić, uomo che gode ormai da quattro anni di un notevole supporto dei cittadini e di grande potere e che è stato incaricato di formare il nuovo governo serbo, a presentare i testi, le caricature, i servizi tv e i tweet che parlano negativamente sul suo conto. In una via centrale di Belgrado, in una delle più famose gallerie della città, il servizio di pubbliche relazioni del suo Partito progressista serbo ha aperto il 18 luglio scorso una mostra dal titolo “Bugie incensurate – Manipolazione del concetto di censura in Serbia 2014-2016”.
Questa mostra avrebbe dovuto essere la risposta alle critiche avanzate da alcuni giornalisti serbi, di una parte dell’opinione pubblica e di varie organizzazioni internazionali che si occupano dei media, secondo le quali Vučić e il suo partito controllano i media più influenti del paese, noti giornalisti restano senza lavoro e chi si oppone alle sue decisioni e alle sue posizioni viene additato sulle pagine dei tabloid come nemico dello stato.
“Sulla censura dei media e sulla libertà non si può parlare se non si presentano i fatti… abbiamo quindi deciso di presentare in questo modo la scena mediatica della Serbia”, è stato detto durante l’inaugurazione della mostra. Una settimana dopo l’apertura lo stesso Vučić in una diretta su tv Pink [vedi foto], una delle emittenti più seguite nel paese, ha visitato la mostra e tra le varie cose ha detto che tutto ciò che viene scritto sul suo conto non gli interessa e non lo legge. “Non sono interessato, né affascinato”, ha detto Vučić ai numerosi giornalisti presenti e ha continuato a parlare dei successi del suo governo.
Di questi successi però non c’è traccia in questa mostra. Si parla invece di alcuni media, che a differenza dei numerosi e quotidiani elogi degli altri media, scrivono criticamente degli scandali legati alla famiglia Vučić, della corruzione negli ambienti di governo, dei dottorati plagiati dai suoi più stretti collaboratori, delle proteste che ci sono state dopo che un gruppo di persone incappucciate nel centro di Belgrado ha maltrattato i cittadini di un quartiere e che tutt’oggi ancora non si sa chi siano stati e perché lo abbiano fatto, e di vari scandali irrisolti e numerosi altri temi scomodi al governo.
Sugli schermi della mostra vengono presentati i servizi di due televisioni, una locale e una via cavo e alcune produzioni indipendenti che possono essere viste solo su internet, in cui parlano quelle personalità pubbliche che i media più influenti hanno smesso di invitare.
Un’intera parete è dedicata ai tweet, dove di nuovo compaiono le stese persone coi loro messaggi critici nei confronti del governo. Su un’altra parete trovano luogo le caricature di tre noti disegnatori. Il tutto è realizzato con stampe costose, con un’eccellente produzione professionale, e la parte più caratteristica dell’esposizione è un video clip dove il noto conduttore televisivo Zoran Kesić ininterrottamente pronuncia il nome di Aleksandar Vučić.
La presidente del parlamento serbo Maja Gojković, membro dello stesso partito di Vučić, ha definito la mostra come “arte concettuale” e l’ha paragonata ai lavori della celebre artista serba Marina Abramović. Ma chi si intende d’arte vede questa mostra come un mero progetto di pubbliche relazioni. I numerosi commenti, le proteste dei giornalisti, gli elogi o le condanne dimostrano tuttavia che l’autore della mostra è riuscito almeno in una cosa: far parlare ancora della censura in Serbia, che sia per dimostrarla o per smentirla.
“Accomunati” dalle critiche
Il “curatore” della mostra è riuscito inoltre a raccogliere in un unico luogo diversi “autori”. Sono citati infatti sia l’ambasciatore dell’UE Michael Davenport che professori universitari e noti artisti, oltre alla rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media Dunja Mijatović e vari attivisti e giornalisti, poi la vicepresidentessa del Parlamento europeo Ulrike Lunacek e la direttrice della Federazione europea dei giornalisti Renate Schroeder. Accanto a loro ci sono anche le dichiarazioni di ambigue figure del settore dei media, note per le loro volgarità e che difficilmente potrebbero essere definite giornalisti, così come anonimi utenti di twitter. Persone differenti che in questa mostra vengono “accomunati” dalle critiche ad Aleksandar Vučić.
L’idea di affiancare testi seri di analisi e d’inchiesta accanto alle stupidaggini dei tabloid porta a rendere insensato anche quello che in molti servizi giornalistici è indubbiamente vero. Qualcosa che in un’altra mostra potrebbe chiamarsi “verità censurata”, dal momento che si tratta di temi che non compaiono sulla maggior parte dei media serbi, il cui compito principale è invece di incensare continuamente i governanti.
La vistosa ripetizione delle dichiarazioni e dei citati di alcuni critici di Vučić fa sì che un visitatore occasionale e non informato ricordi facilmente i nomi dei “nemici” del governo. Nonostante siano già ben noti e non di rado, sui media vicini al governo, vengano bollati come traditori, cospiratori pagati dall’Occidente che intendono preparare un colpo di stato, calunniatori, persone dal passato sospetto e dalle abitudini bizzarre.
In Serbia c’è una tradizione delle liste di proscrizione, e molti ricordano che proprio il Partito radicale serbo del quale Vučić nei bellicosi anni Novanta era uno dei leader, aveva creato le liste di non-serbi che dovevano essere allontanati dal lavoro o dal paese. Ora si è andati un passo più in là, i proscritti sono stati esposti in una mostra.
A chi è rivolta la mostra?
Resta tuttavia poco chiaro perché Aleksandar Vučić non abbia creato, come altri politici, una mostra sui suoi successi, sui risultati delle riforme, sui riconoscimenti internazionali. A chi desidera mostrare che, come recita il catalogo, “la libertà di espressione in Serbia è significativamente più alta che in molti paesi dell’Europa occidentale”?
Il messaggio è rivolto alla comunità internazionale, che segue attentamente cosa succede in un paese che ha già avviato i negoziati di adesione con l’Unione europea? Oppure è rivolto agli autori dei testi e dei messaggi messi in mostra, per ricordare ancora una volta che sono attentamente seguite e registrate le loro attività “ostili”? Oppure ai suoi elettori per dimostrare loro che non ha paura di nulla e che governa sommamente benché sia vittima di attacchi quotidiani?
Qualunque sia il motivo, il modo in cui ha deciso di mostrare se stesso, attraverso le critiche degli altri, è quasi unico al mondo. Tre anni fa a Podgorica era stata aperta una mostra simile, sugli attacchi contro il premier montenegrino Milo Đukanović e molti credono che l’autore della mostra di Belgrado sia proprio lo stesso. Esiste poi anche un altro esempio che viene fatto nei commenti alla mostra su Vučić.
Nel 1933, Ernst Putzi Hanfstaengl, segretario per la stampa estera di Adolf Hitler, preparò su richiesta del duce, il libro "Hitler in der Karikatur der Welt: Tat gegen Tinte" (in italiano "Hitler in caricatura. La satira sul Führer raccolta e commentata dal suo partito"). Nel testo furono selezionate le caricature uscite sulla stampa americana ed europea, nel periodo compreso tra il 1924 e il 1933, che mostravano Hitler in modo offensivo. Il libro fu pubblicato da una sconosciuta casa editrice per far pensare che si trattasse di un’edizione indipendente. Accanto alle caricature Hanfstaengl scrisse commenti e smentite, indicando “fatti veri”.
La Serbia ovviamente non è la Germania nazista, né tanto meno Vučić è Hitler. Tuttavia, per poter evitare tali paragoni, sarebbe meglio per il premier e per la Serbia che le persone “esposte” alla mostra tornino là dove è il loro posto, nei media.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto