Serbia: i danni morali del ministro dell’Interno

Il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović ha portato in tribunale il settimanale NIN, vincendo la causa, per danni morali a seguito di una sua copertina dedicata allo scandalo Savamala

12/01/2017, Antonela Riha - Belgrado

Serbia-i-danni-morali-del-ministro-dell-Interno

Savamala (foto OBCT)

In otto mesi di indagini polizia e procura non sono ancora riuscite a svelare l’identità degli uomini incappucciati che, su ordine di qualcuno ancora ignoto, nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 2016 hanno bloccato una zona del centro di Belgrado, hanno fermato i passanti, hanno legato e disarmato una guardia giurata ed hanno demolito numerosi edifici nel quartiere dove si sta realizzando il progetto “Belgrado sull’acqua”. E non si sa ancora nemmeno perché quella notte la polizia non abbia risposto alle chiamate dei cittadini che le chiedevano di intervenire.

In compenso, la giustizia ha reagito molto più efficacemente alle accuse del ministro dell’Interno Nebojša Stefanović contro il settimanale NIN. Il ministro ha accusato i giornalisti del settimanale belgradese di avergli arrecato danni morali e di avergli offeso l’onore e la reputazione pubblicando la copertina col titolo “Nebojša Stefanović il principale uomo mascherato di Savamala”.

Il processo è durato solo un giorno e la sentenza è stata emessa in giornata. La redazione di NIN un mese dopo, subito dopo Capodanno, è stata informata di dover versare al ministro il massimo della sanzione richiesta, circa 2.500 euro.

La sentenza pare una sorta di risposta delle istituzioni per mettere a tacere quelle decine di migliaia di persone che per mesi hanno protestato per l’aggressività dello stato relativa al progetto “Belgrado sull’acqua” , in corso ormai da anni, e che quella notte di aprile è giunta al culmine con violenza fisica contro alcuni cittadini.

Ed è anche una risposta a quei media che stanno cercando di indagare su una serie di questioni delicate legate a "Belgrado sull’acqua": dal contenuto dell’accordo fra il governo della Serbia e gli Emirati Arabi Uniti, con il quale è stato ceduto – alla ditta araba Eagle Hill, azionista di maggioranza del progetto “Belgrado sull’acqua” – il terreno per costruirvi il quartiere di lusso, fino all’evidente violazione di una serie di regolamenti e leggi per costruire le enormi torri promesse, i parchi, gli edifici, le piscine e gli impianti sportivi.

Antefatti

Le demolizioni nel quartiere storico di Savamala, che hanno riguardato abitazioni private, magazzini e vari altri edifici, sono state avviate nel marzo 2014, per far posto al più grosso investimento del governo di Aleksandar Vučić, “Belgrado sull’acqua”.

Nella notte fra il 24 e il 25 aprile dell’anno scorso, mentre le prime pagine dei media erano dedicate ai risultati delle elezioni parlamentari anticipate tenutesi proprio domenica 24, sono stati distrutti gli edifici appartenenti a tre società private. In un paese dove quasi quotidianamente si costruisce e si distrugge illegalmente, la demolizione di questi edifici senza rispettare le procedure di legge probabilmente non avrebbe fatto gran clamore.

Ma quello che ha fatto insorgere una parte dell’opinione pubblica e che fino ad oggi è rimasto ignoto chi quella notte abbia inviato decine di persone in uniforme e mascherate per vigilare sul luogo dove sono stati distrutti i palazzi.

L’indagine dell’Ombudsman

L’unico documento d’indagine ufficiale in circolazione è il rapporto del Difensore civico, l’Ombudsman Saša Janković, che due settimane dopo i fatti ha reso pubbliche alcune testimonianze in merito di cittadini e di funzionari di polizia, indicando una serie di reati penali che sono stati commessi quella notte.

I cittadini che allora si trovavano o che passavano per il quartiere Savamala, hanno raccontato che persone mascherate con i passamontagna, dotate di mazze telescopiche e con torce abbaglianti, li hanno fermati e li hanno fatti uscire dalle auto, hanno poi requisito documenti e cellulari e li hanno obbligati a stare seduti con la testa fra le gambe. Il custode, incaricato della sicurezza di uno degli edifici che è stato distrutto, è stato disarmato e ammanettato. Terminata la demolizione, sono state tolte le tracce registrate dalle telecamere di sicurezza, alle persone fermate è stato intimato di non raccontare a nessuno quello che era accaduto e gli uomini mascherati si sono dileguati su automobili senza targhe.

I cittadini coinvolti, ormai “liberi”, hanno tentato senza successo di far intervenire in loro aiuto la polizia e a giudicare dalle trascrizioni delle conversazioni telefoniche pubblicate nel rapporto dell’ombudsman Saša Janković, è chiaro che vi è stato l’ordine di “qualcuno” di ignorare le chiamate dei cittadini.

Il premier Aleksandar Vučić ha dichiarato, in seguito, che chiunque abbia condotto quella demolizione durante la notte è “un completo idiota, perché bisognava farla in pieno giorno”, e poi che è “indubbio che dietro a quello che è successo a Savamala ci sono i più alti organi dell’amministrazione di Belgrado”. Il premier ha riferito poi di non aver letto il rapporto dell’ombudsman Janković e infine ha precisato che le indagini forniranno tutte le risposte sul caso.

Col passare del tempo, però, ogni domanda o critica è stata screditata come un tentativo “di mercenari stranieri” di buttare giù lo stato e il governo.

L’ufficio del Difensore civico ancora non sa se la polizia abbia mai consegnato alla procura gli elementi in proprio possesso su quanto avvenuto, nonostante siano informazioni che secondo la legge dovrebbe avere, perché l’ombudsman, rispettando le sue competenze, ha avviato la procedura di controllo dell’operato della polizia e ha riscontrato che vi sono state delle mancanze.

Giornalisti sotto accusa

Il settimanale NIN è uno dei pochi media in Serbia ad aver ricordato costantemente che il caso Savamala non è stato risolto. Nel giugno 2016 ha pubblicato un articolo con cui hanno messo in risalto i principali elementi del rapporto dell’Ombudsman e le domande rimaste inevase, insieme a commenti di noti esperti legali.

La copertina di NIN e il titolo “Nebojša Stefanović il principale uomo mascherato di Savamala” voleva far intendere che il ministro dell’Interno continua a non dare informazioni sull’esito dell’indagine della polizia, né a far sapere se si è occupato delle responsabilità di quei funzionari del comando di polizia di Belgrado che non hanno risposto alle chiamate dei cittadini quella notte.

L’autrice del pezzo, analizzando i fatti noti fino ad allora, ha scritto che l’intera azione, con il blocco di parte della città, “ha incluso diverse strutture sia statali che non statali e diversi livelli di potere” e che la responsabilità del governo della città è inequivocabile, ma non esclusiva perché un tale “lavoro non sarebbe stato possibile senza che ne fosse a conoscenza e lo sostenesse il ministro dell’Interno”.

Il ministro Stefanović afferma invece che quella notte ha atteso i risultati elettorali, poi è andato a dormire e soltanto verso mezzogiorno ha saputo quello che tutta quanta Belgrado già sapeva: che il centro della città era stato occupato da persone mascherate che avevano maltrattato i cittadini mentre venivano demoliti illegalmente alcuni edifici.

Nella sentenza si afferma che il commento giornalistico sulle responsabilità del ministro si basa su informazioni “inammissibili”, “illecite” e “false”. Inoltre si dice che il tribunale “non ha potuto, e non è nemmeno competente, di constatare chi fossero gli organizzatori dell’accaduto in via Hercegovačka (Savamala)”, e poi aggiunge che "sono false le informazioni secondo le quali il denunciante (cioè Nebojša Stefanović) abbia organizzato, partecipato e contribuito” alla demolizione di Savamala.

Dalla sentenza emerge infine che il ministro dell’Interno “non è autorizzato a dare ordini all’amministrazione della polizia e alle stazioni di polizia… né a sostituire i capi della polizia… e quindi non può essere responsabile nemmeno di eventuali mancanze nel loro operato”.

Il tribunale si è comportato come se non fosse dovere del ministro degli interni proteggere i cittadini e l’ordinamento giuridico dello stato. Ai giudici inoltre non è risultato strano che ancora non siano stati resi noti i risultati dell’indagine, né il fatto che non vi siano denunce per i reati commessi in quel paio d’ore, quanto è durato il blocco del centro di Belgrado.

Gli unici che finora si sono trovati sul banco degli imputati per via dello “scandalo Savamala” sono i giornalisti.

In un paese dove i processi giudiziari durano anni e dove i casi più “controversi” cadono in prescrizione, è stato sufficiente un giorno solo affinché il tribunale constatasse l’offesa dell’onore e della reputazione che ha provocato “danni morali” al ministro Stefanović.

Una sola notte nel centro di Belgrado ha dimostrato che in Serbia le leggi sono amministrate da uomini mascherati e la magistratura dai politici.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta