Serbia: fermento regionalizzazione
Le prime ad aprire la strada sono state le grandi agenzie internazionali, con fondi ad hoc. Sono poi seguite le iniziative istituzionali, anche come conseguenza del percorso d’avvicinamento all’Ue. Una rassegna sul – difficile – percorso di regionalizzazione della Serbia
Agli inizi di febbraio, a Belgrado, si è tenuta una conferenza sulle “Nuove politiche regionali ed esperienze europee”, in cui si è ampiamente discusso del processo di regionalizzazione della Serbia. La conferenza ha riunito importanti rappresentanti di istituzioni nazionali ed internazionali.
Le politiche regionali e la regionalizzazione della Repubblica di Serbia sono tematiche controverse e parte di un dibattito politico fortemente incoraggiato dall’Unione europea.
Devoluzione asimmetrica
La Serbia è caratterizzata da una devoluzione asimmetrica, attualmente costituita dalla cosiddetta Serbia centrale, dove comuni e città costituiscono l’unico livello di governo sub-nazionale e dalla Provincia autonoma della Vojvodina. A questa va aggiunta inoltre la situazione estremamente complessa del Kosovo, concepito dalle autorità locali come parte integrante del proprio territorio. Data la complessità della questione non la affronteremo in questo contributo.
Mentre la Serbia si preparava alla richiesta di candidatura UE – ha ottenuto tale status proprio di recente – è stata invitata da Bruxelles ad introdurre le cosiddette ‘regioni statistiche’. Non si tratta di entità politiche, ma di strumenti tecnici utilizzati dagli stati membri dell’UE per informare l’Unione sugli sviluppi economico-sociali in atto a livello sub-nazionale.
Il nome tecnico attribuito a queste regioni è European NUTS (Nomenclature of Units for Territorial Statistics). L’istituzione di tali regioni statistiche ha comportato in Serbia la creazione di un quadro amministrativo che è stato spesso percepito dalla società civile e dai partiti politici come una tappa verso l’istituzione di regioni politiche.
Regionalizzazione e sviluppo locale
La discussione sulla regionalizzazione e sulle politiche regionali che ne è nata è stata caratterizzata da un alto tasso di politicizzazione ed è apparsa poco concentrata sul tema dello sviluppo locale, nonostante i dati esistenti in merito alla povertà e all’esclusione sociale in Serbia indichino l’esistenza di significative disparità territoriali.
La forte espansione del settore dei beni non-commerciabili (fino a due terzi degli investimenti diretti esteri sono stati destinati ai servizi) ed il sostanziale e costante processo di de-industrializzazione hanno favorito infatti un declino del tenore di vita nelle aree rurali. La povertà rurale nel 2010 ammontava in Serbia al 13.6%, in paragone al 5.7% di povertà registrata nelle aree urbane; il PIL pro-capite a Belgrado è dell’80% superiore alla media del PIL pro-capite in Serbia.
Di conseguenza, il processo di migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, in particolare a Belgrado, che ha avuto una lunga e profonda tradizione in Serbia, ha subito un incremento durante la transizione. In un tale contesto, l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici varia ampiamente in tutto il Paese.
Germogli dal basso?
È interessante notare come la prima risposta fornita ad una tale insostenibilità socio-economica sia stata “dal basso”, sotto gli auspici dei donatori internazionali, tra i quali Unione europea, UNDP e Banca Mondiale.
Governi locali e settore privato (imprese ed Ong) hanno creato – finanziati dalle agenzie internazionali – le Agenzie di Sviluppo Regionale. Questo è stato il primo significativo passo verso la regionalizzazione del Paese, ed ha anticipato la creazione di istituzioni centrali volte allo sviluppo regionale. Attualmente esistono undici Agenzie di Sviluppo Regionale in Serbia. Il processo ha progressivamente coinvolto risorse umane e finanziarie, incoraggiando alcune comunità locali all’impegno per lo sviluppo regionale e favorendo il coordinamento fra i diversi attori coinvolti.
Le Agenzie di Sviluppo Regionale hanno però visibilmente risentito di una condizione istituzionale e politica poco definita ed il loro sviluppo è dipeso in larga misura da legami e relazioni personali. Di conseguenza, il loro attuale funzionamento, le loro prestazioni e la loro capacità di prendere parte ai processi già in corso variano profondamente in tutto il Paese.
L’istituzionalizzazione del processo
Mentre il processo di regionalizzazione ha portato ad un’intensa attività in termini di rafforzamento delle istituzioni locali sin dal 2001, i primi passi a livello centrale sono stati mossi soltanto nel 2007, quando il ministero dell’Economia è divenuto ministero dell’Economia e dello Sviluppo Regionale, facendosi carico delle politiche per l’occupazione, sino ad allora di competenza del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
La Legge sullo Sviluppo Regionale, adottata nel 2009, ha poi introdotto le regioni statistiche e stabilito un quadro istituzionale per lo sviluppo regionale. La prima versione della Legge ha istituito sette regioni statistiche, di dimensioni non conformi ai criteri dell’Unione e sette Agenzie dello Sviluppo Regionale, create ex novo, omettendo il riconoscimento di quelle già esistenti. Sono stati inoltre contestati gli stessi confini regionali: ad esempio l’area del Sangiaccato, Serbia orientale, è stata divisa in due regioni statistiche distinte. Questo ha suscitato le critiche della comunità bosgnacca residente nell’area, dove l’autonomia politica e territoriale è stata un argomento fortemente dibattuto negli ultimi anni. Questa sempre crescente sensibilità dimostra come il processo di definizione delle regioni statistiche, che si presume siano strumenti tecnici, non possa fare a meno di aspetti quali i fattori identitari e la dimensione politica del regionalismo.
Il concetto di regionalizzazione statistica ha di fatto aperto la strada ad un dibattito politico sulla possibilità di istituire un livello medio di governo (la nascita del partito delle Regioni Unite di Serbia è solo un esempio di tale processo). In ogni caso, la legge è stata modificata nel 2010, riducendo a cinque il numero delle regioni statistiche: Vojvodina, Città di Belgrado, Regione Occidentale, Regione Orientale e Kosovo. In aggiunta, è stata riconosciuta la rilevanza delle Agenzie dello Sviluppo Regionale, istituite attraverso il processo “dal basso” di cui sopra: gli emendamenti alla Legge hanno infatti istituito un meccanismo di accreditamento per le agenzie già esistenti.
Partitizzazione?
Le politiche di regionalizzazione sono state complicate dai frequenti conflitti di interesse insorti all’interno delle coalizioni di governo alternatesi negli ultimi dieci anni.
I partiti politici si sono spesso divisi ministeri e competenze. Questo ha portato ad "accumuli" istituzionali e mancato coordinamento fra processi che avrebbero invece dovuto essere complementari. Ad esempio, il partito politico G17+, un cui esponente è a capo del ministero dell’Economia e dello Sviluppo Regionale, è responsabile della regionalizzazione, mentre il Partito Democratico, un cui esponente è a capo del ministero delle Finanze, è responsabile del processo di decentramento. Sviluppo regionale e regionalizzazione da una parte, e decentralizzazione del potere verso le autonomie locali dall’altra, hanno finora proceduto separatamente.
Questo costituisce un problema, poiché i governi locali, come unico livello di governo sub-nazionale nel Paese, sono attori di grande rilevanza all’interno delle politiche regionali. Da tenere ulteriormente in considerazione è anche la forte sfiducia esistente nei confronti delle istituzioni, che ha generato nei cittadini un certo scetticismo in merito alla capacità dei governi locali di promuovere cambiamenti positivi per il proprio benessere.
Sfida politica, economica e psicologica
La regionalizzazione nel Paese non costituisce quindi solo una sfida politica ed economica, ma anche una sfida psicologica. La Serbia ha avuto a che fare con la doppia eredità lasciata dal periodo socialista e dal regime di Milošević.
A seguito della caduta di quest’ultimo, nell’ottobre del 2000, si è dato il via a profonde riforme istituzionali e giuridiche. Il processo di regionalizzazione rappresenta un cambiamento radicale nella vita politica della Serbia: le ripetute secessioni degli ultimi vent’anni hanno sollevato inesorabili pressioni interne e tensioni strutturali in merito alla gestione del territorio.
Le tensioni politiche sono state esacerbate dalla discussione sul Kosovo, prima e dopo l’unilaterale dichiarazione di indipendenza nel 2008. Inoltre, durante il 2008 e il 2009, un acceso dibattito politico sulla natura dell’autonomia in Vojvodina ha portato all’adozione di un nuovo Statuto, rafforzando i poteri delle autorità della Provincia Autonoma.
La regionalizzazione è in Serbia una questione spinosa, che tende a sollevare questioni di stabilità politica, unità statale ed integrità territoriale. Ma le politiche regionali costituiscono un punto cruciale nel processo di adesione della Serbia all’Unione, ed un canale importante per il rilascio dei fondi di preadesione.
La conferenza tenutasi a Belgrado nel febbraio scorso ha ancora una volta rivelato tali complessità. Il vice primo ministro serbo Verica Kalanović ha ad esempio dichiarato che "in Serbia sono in molti a non riconoscere l’importanza delle politiche regionali e quanto queste costituiscano una questione importante in Europa". Allo stesso tempo, il capo della delegazione dell’Unione europea in Serbia, Vincent Degert, ha apprezzato il piano nazionale di sviluppo regionale, sottolineando che "nei prossimi sette anni investiremo più di 300 miliardi di euro per aiutare le regioni più povere d’Europa. La Serbia dovrebbe essere preparata a cogliere quest’opportunità".