Serbia e Schengen: élite in viaggio
L’UE rende più facile ottenere visti per studenti, ricercatori, uomini d’affari serbi. Ma a Belgrado non si reagisce con entusiasmo. ”Riguarda solo l’élite. E la gente normale?”. Una nostra traduzione
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Di Pedja Popovic, Belgrado (Balkan Insight, 28 luglio 2006) – BIRN
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
La limitata liberalizzazione del regime dei visti realizzata recentemente dall’Unione europea non sembra contribuirà a bloccare l’onda montante di euroscetticismo in Serbia.
Su raccomandazione del Consiglio europeo la Commissione, lo scorso 21 luglio, ha avviato le procedure per allentare l’attuale rigido sistema dei visti.
Ma mentre l’Europa afferma di fare del proprio meglio per incoraggiare i cittadini serbi a mantenersi sulla strada per l’UE, alleggerendo in questo caso le pratiche per chi vuole viaggiare, gli esperti sottolineano che l’impatto delle misure adottate sarà minimo, e che solo in pochi ne godranno i benefici.
Gli esperti inoltre ammoniscono sul fatto che questi provvedimenti sono stati adottati troppo tardi per poter influire in modo significativo sull’umore popolare ed anzi potrebbero anche essere contro-produttivi.
Il dialogo tra la Serbia e Bruxelles è diventato più faticoso proprio quest’anno, in particolare sulla questione della non-collaborazione con il Tribunale penale internazionale sui crimini nella ex-Jugoslavia con sede all’Aja.
I negoziati iniziarono nel 2001 ed hanno segnato un passo avanti rilevante nell’aprile del 2005 quando l’UE emise un giudizio positivo in merito ad una possibile integrazione della Serbia e Montenegro nell’Unione. Nel documento si definiva la Serbia come un potenziale Paese aspirante.
L’ostacolo maggiore a questo percorso era però da ricercarsi nella sfera politica ed in particolare nel fallimento di Belgrado nell’adempiere alle richieste del Tribunale dell’Aja in merito all’estradizione di Ratko Mladic, un ex generale serbo-bosniaco accusato di genocidio.
Frustrata da ripetuti ritardi in merito alla consegna di Mladic l’UE ha infine sospeso, lo scorso 3 maggio, i negoziati per la firma di un Accordo si stabilizzazione ed associazione.
Il fallimento, tra l’altro, ha messo a dura prova il fragile governo di minoranza di Vojislav Kostunica, formato dal Partito democratico serbo, DSS, dai riformisti del G17 Plus, da Nuova Serbia e dal Movimento serbo per il Rinnovamento.
Il governo è sopravvissuto sino ad ora solo per il sostegno ottenuto in Parlamento dall’SPS, Partito socialista serbo, alla cui guida fu Slobodan Milosevic.
I parlamentari del G17 Plus hanno più volte ribadito che usciranno dal governo se entro settembre non verranno riavviati i negoziati con l’UE.
Nel frattempo il supporto dell’opinione pubblica all’UE sta affondando. Il percorso in discesa è iniziato nel 2003 quando si è assestato sul 73% di favorevoli. Ora si è sotto al 60%.
Jovan Teokarevic, professore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Belgrado e direttore del periodico European Forum, ricorda che le ragioni di questo fenomeno sono molteplici.
"Nei primi anni del dopo-Milosevic in Serbia vi era un anormale livello di sostegno all’UE", afferma.
"Come in altri Paesi candidati all’ingresso nell’UE – aggiunge Teokarevic – questo sostegno iniziale era sopratutto legato al fatto che poco si sapeva dell’UE, ed ancor meno di cosa l’ingresso nell’Unione avrebbe significato sulla vita di tutti i giorni".
Questa percezione è ora mutata. "Le gente pensa che l’UE stia mettendo troppa pressione sulla Serbia, sulla corte dell’Aja e Mladic", afferma, sottolineando come questo punto di vista è via via sempre più condiviso anche da chi è in favore dell’estradizione di Mladic.
Il cambio nel regime dei visti rappresenta un tentativo di Bruxelles di controbilanciare questo calo di passione per l’UE nell’immaginario serbo.
Da un’indagine condotta dall’ufficio del governo serbo preposto all’integrazione europea, condotta alla fine del 2005, è risultato che il 70% dei cittadini serbi associa l’ingresso nell’UE alla libertà di movimento.
E proprio per questo, per migliorare la propria immagine in Serbia, l’UE ha offerto un sistema dei visti meno rigido per studenti, ricercatori, politici e uomini d’affari offrendo loro visti multipli.
Per Jelica Minic, del Movimento europeo, ONG che ha improntato le proprie attività sull’integrazione europea, ritiene che questa mossa sia arrivata troppo tardi. "La liberalizzazione che si pianifica riguarderebbe solo una minoranza di studenti, non più del 10-12 %", afferma.
Goran Svilanovic, del Patto di Stabilità per l’Europa sud-orientale, ed ex ministro degli Esteri serbo, concorda con questa posizione. "L’alleggerimento del sistema dei visti verrà attuato solo per un piccolo – e aggiungerei troppo piccolo anche se importante – gruppo di persone", ha affermato.
Molti studenti vedono le cose nello stesso modo. Questi ultimi hanno anche criticato il governo austriaco per aver concesso 200 visit gratis e altrettanti biglietti Interrail ai 200 migliori studenti della Serbia. Vladimir Jankovic, uno studente di Belgrado, sottolinea come quanto fatto sia dall’UE che dall’Austria causano negli studenti solo un senso di amarezza.
"Cosa dovrebbero fare allora gli studenti che non sono tra i migliori? Stare qui per sempre e non viaggiare mai?", chiede. "Questi provvedimenti sono umilianti, e danno il chiaro segnale che solo all’élite sarà consentito viaggiare".
L’ondata di ostilità ha preso i funzionari UE in contropiede. David Hudson della Missione a Belgrado dell’UE, sottoliena come non ci si potesse aspettare che l’UE permettesse da un giorno all’altro di ammettere un ampio numero di visitatori dalla Serbia.
"Non possiamo permetterci un grande afflusso di persone dai Balcani occidentali", afferma. "Inoltre l’intera regione ha ancora la fama di un luogo dove il crimine ed i traffici umani e di droga fioriscono".
Ma queste argomentazioni lasciano indifferenti a Belgrado dove persone come Natasa, economista, si dicono certe che all’UE la Serbia proprio non interessa. "L’Europa non ci vuole", afferma "adesso stanno allentando il sistema dei visti, ma solo per gli studenti e per i ricercatori. E dove lasciano la gente normale?". "L’impressione che ho è che qualsiasi cosa facciamo non riuciamo a procedere" concorda Irena, una donna di Belgrado che afferma di aver partecipato durante gli anni ’90 alle manifestazioni contro Milosevic. "Ci dimostrano sempre sfiducia e impongono nuove condizioni. Vorrei sentirmi a casa nell’Unione Europea e invece mi sento rifiutata".
Svilanovic ricorda come siano molte le persone in Serbia a risentire del fatto che non si possono muovere liberamente in Europa mentre, almeno apparentemente, le mafie ed i sospettati di crimini di guerra sembrano poterlo fare. "Assassini e criminali riescono a viaggiare liberamente nell’area Schengen mentre non è così per i semplici cittadini", afferma.
Nelle statistiche riguardanti le richieste di asilo nell’UE durante il 2005 i cittadini provenienti dalla Serbia sono tra i primi posti, anche se è da notare che in queste statistiche viene ricompreso anche il Kosovo.
Miodrag Shrestha, del Gruppo 484, un’ONG che si occupa di migrazione ritiene che l’UE esageri nel minacciare un esodo di massa dai Balcani.
"Vi sono 22 milioni di persone in totale nel sud-est Europa, e questa non è una grande minaccia per l’Unione Europea", afferma. "Il vero problema è che in alcuni paesi dell’UE cresce la fobia dell’immigrazione clandestina e quindi i governi di questi paesi bloccano qualsisi mossa che possa alleggerire il regime dei visti nei confronti di Paesi esterni".
Shrestha ricorda inoltre che la Serbia ha anche peggiorato le possibilità di viaggiare dei propri cittadini per non aver adempiuto alle richieste UE in merito alla gestione delle questioni di sicurezza ai propri confini e non aver ancora adottato una riforma della legislazione in merito ai richiedenti asilo provenienti da Paesi in via di sviluppo.
"La nuova legge sulla gestione dei confini (che prevede che il controllo dei confini passi dall’esercito alla polizia, ndr) viene appicata ad un ritmo molto lento", afferma. "La Serbia si dimostra in questo uno dei paesi peggiori della regione. L’Albania ha approvato la propria legge sui richiedenti asilo 8 anni fa".
L’opinione pubblica serba ritiene però che sia l’insensibile Bruxelles piuttosto che il proprio governo ad essere responsbaile dei fallimenti riguardanti il percorso verso l’UE e il consensun politico sull’adesione a quest’ultima sta pian piano venendo meno.
Il partito che raccoglie i maggiori consensi in Serbia, il Partito radicale serbo (SRS), che alle ultime ultime elezioni ha ottenuto il 40% dei voti, spesso argomenta che il Paese non guadagenrebbe nulla dall’essere membro dell’UE.
"Abbiamo assistito a negoziazioni e dialoghi farsa, mentre lo standard di vita dei cittadini peggiora di giorno in giorno", ha affermato il segretario dell’SRS Aleksandar Vucic. "I cittadini serbi sino ad ora dall’UE hanno ricevuoto solo promesse e parole vuote".
In un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano belgradese Politika Vucic ha descritto la recente liberalizzazione dei visti come irrilevante per un Paese il cui tasso di disoccupazione è così alto e dove rimane ancora irrisolto lo status finale del Kosovo.
"Quando loro (l’Europa, ndr) ci toglieranno il Kosovo, chiuderanno le ultime fabbriche e distruggeranno il Paese la nostra leadeship democratica ci spiegherà che la liberalizzazione dei visti compenserà tutto questo", ha scritto Vucic riferendosi alle paure che al territorio del Kosovo abitato in maggiroanza da albanesi venga garantita dalla comunità internazionale l’indipendenza.
Nel frattempo l’UE ribadisce che non vi sarà alcuna novità in merito all’integrazione sino a quando Mladic non verrà arrestato.
"Aspetteremo e vedremo come il governo implementerà il suo piano d’azione (per l’arresto di Mladic, ndr) e questa è una cosa alla quale ci atterremo", ha affermato Hudson. "Non possiamo fare speculazioni sulle date di adesione (all’UE, ndr). Vogliamo vedere sforzi genuini per rispettare tutte le condizioni poste".
Se fallisse in questo, la Serbia potrebbe trovarsi dietro ad altri Paesi della regione. "I negoziati sono condotti individualmente con ciascun Paese" ricorda Hudson "e la Serbia deve vedere da sola cosa fare".