Serbia: costruzioni illegali, tra ricchi e poveri

La mancanza di alloggi è un problema strutturale in Serbia da più di un secolo. In passato si permisero le costruzioni illegali per garantire la pace sociale, ora sono invece i più ricchi ad agire nell’illegalità. Un’intervista

01/03/2021, Marija Dukić -

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Novi Beograd - Daniele Dainelli

(Pubblicato originariamente da Biznis i Finansije , selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC Transeuropa)

Zlata Vuksanović-Macura è architetto ed è specializzata in alloggi sociali. È autrice di due libri su questo argomento, “San o gradu” (Il sogno di una città) e “Život na ivici” (Vivere ai margini).

Cosa l’ha portata ad interessarsi all’edilizia sociale?

Dopo gli studi, circa 20 anni fa, ho iniziato a lavorare presso l’Associazione per lo sviluppo delle località rom. Lì ho capito che c’erano persone che vivevano in condizioni peggiori rispetto alla maggioranza della popolazione e ho voluto provare a migliorare le cose.

Come vivono i rom oggi in Serbia?

L’idea che tutti i rom siano poveri e vivano in quelle che vengono chiamate in senso dispregiativo "bidonville" non è corretta. La popolazione rom è composta da persone con diversi livelli di istruzione e che vivono in diversi tipi di alloggi.

Esistono tre tipi prevalenti di insediamenti rom. I primi sono ben organizzati, non differiscono dalle altre località e ospitano una popolazione mista. I secondi sono "antigienici" – così chiamati a causa delle loro case modeste, della mancanza di infrastrutture e talvolta della mancanza di condizioni igieniche di base come l’acqua corrente. Questi insediamenti esistono in tutta la Serbia e possono comprendere da 20 a 1.000 alloggi. Il terzo tipo di località sono le “baraccopoli”, dove gli alloggi sono costruiti con materiali di recupero, non hanno elettricità, né acqua corrente, dove le strade non sono asfaltate … Contrariamente a quanto si ritiene, tuttavia, queste situazioni non rappresentano la maggioranza degli insediamenti rom.

Dal punto di vista storico qual è stata la relazione dello stato serbo con il tema dell’edilizia sociale?

Anche prima del 1914 vi furono diverse iniziative per cercare di risolvere i problemi abitativi dei più poveri. In particolare vi erano quelli che venivano chiamati "appartamenti comunali", costruiti a livello municipale. I primi vennero creati a Dorćol (quartiere storico nel centro di Belgrado, ndt) secondo i progetti della prima donna architetto in Serbia, Jelisaveta Načić. Ora fanno parte del patrimonio storico statale.

Cartolina d'epoca del 1920 che raffigura la via centrale Knez Mihailova a Belgrado

Cartolina d’epoca del 1920 che raffigura la via centrale Knez Mihailova a Belgrado

In Serbia, come in tutta Europa, la preoccupazione per l’edilizia popolare si è intensificata dopo la prima guerra mondiale. Le autorità temevano disordini sociali a causa della crisi economica e dell’esempio della rivoluzione russa. Hanno quindi investito di più nella costruzione di alloggi per i più svantaggiati. Durante il periodo tra le due guerre, la monarchia jugoslava ha avuto però un atteggiamento ambiguo sulla questione. Se ne parlava costantemente ma i risultati sono stati molto modesti. Si stima che a Belgrado sarebbero stati necessari circa 30.000 "appartamenti municipali", ma ne furono costruiti solo 500.

Dove vivevano in città le persone che non riuscivano ad accedere all’edilizia sociale?

C’erano altri due modelli abitativi. Innanzitutto c’era l’affitto di appartamenti: i cittadini potevano possedere una casa o un intero edificio, ma non un appartamento, potevano solo affittarli. I proprietari di appartamenti erano quindi tra i cittadini più ricchi, gli inquilini molto spesso avevano invece redditi bassi e si accontentavano di ciò che potevano trovare. A volte una famiglia di sei persone viveva in 25 metri quadrati senza elettricità, con un rubinetto condiviso nel cortile. C’era anche qualche subaffitto.

Coloro che non volevano o non erano in grado di pagare l’affitto a un padrone di casa acquistavano terreni in periferia – a Belgrado accadde ad esempio nelle aree di Dušanovac, Marinkova bara o Mali Mokri Lug – e vi costruirono case.

Era questa l’opzione migliore?

In ogni caso vivevano in condizioni migliori degli abitanti dei cosiddetti "distretti della povertà", costruiti su terreni pubblici, come Jatagan mala, Bukurešt mala, Pištolj mala o altri. Questi insediamenti erano costruiti illegalmente, le case e le infrastrutture erano di scarsa qualità, ma c’erano botteghe artigiane, attività commerciali, a volte un centro culturale e una scuola. Per mantenere la pace sociale, lo stato spesso fingeva di non notare che le persone stavano costruendo su terreni di sua proprietà e talvolta lo stato stesso installava rubinetti ed elettricità.

Come venne decisa l’ubicazione di questi nuovi quartieri di Belgrado?

Il più delle volte accadeva che una persona individuasse un terreno pubblico, ci costruisse una casa e poi altri lo seguivano. Nel caso di Prokop invece, verso la fine del XIX secolo, le Ferrovie stavano preparando il terreno per i lavori e hanno scavato una grande fossa. L’azienda ha permesso a un lavoratore di costruirvi una casa e poi anche i suoi colleghi hanno colto l’opportunità di assicurarsi un alloggio. È così che è stato costruito spontaneamente l’intero quartiere.

Com’era la vita in questi insediamenti illegali?

Una visuale su Novi Beograd in una foto d'epoca

Una visuale su Novi Beograd in una foto d’epoca

Erano abitati principalmente da poveri, le condizioni di vita erano difficili. Le strade non erano asfaltate e quando pioveva la gente doveva procedere nel fango e viveva nella paura costante di essere sfrattata. Tutto il resto sembrava la classica vita di città. Belgrado era già una città mista, dove le classi sociali non erano strettamente separate; in ogni parte della città risiedeva gente povera e benestante. Penso che questo sia un grande aspetto positivo della nostra capitale.

Gli esperti denunciano da decenni i danni causati dalle costruzioni illegali. Come mai questo problema è così difficile da risolvere?

In Serbia, la pianificazione urbanistica esiste da molto tempo. Ufficialmente dal 1867, data del primo piano di sviluppo di Belgrado a cura di Emilijan Josimović. Su questa base è stato costruito l’attuale centro di Belgrado. Altri piani di sviluppo erano in cantiere, ma la crescita urbana è stata troppo rapida … Mentre Emilijan Josimović immaginava il futuro centro cittadino, i quartieri circostanti erano già in via di sviluppo. Belgrado conobbe un grande boom demografico tra le due guerre: la sua popolazione passò da 90.000 a 300.000 abitanti. Di fronte a un tale aumento demografico, solo uno stato ben strutturato avrebbe potuto trovare soluzioni urbanistiche adeguate e il nostro non lo era. Certo, c’erano anche, come oggi, varie appropriazioni indebite e investimenti nefasti.

Come è cambiata la politica degli alloggi durante l’era socialista?

Il regime socialista si prendeva cura delle classi più povere, soprattutto dei lavoratori. L’attenzione si è concentrata su coloro che hanno contribuito allo sviluppo della società attraverso il loro lavoro. Negli anni Cinquanta e Sessanta la popolazione di Belgrado è quasi raddoppiata, ma questa volta il boom è stato accompagnato da costruzioni pianificate. Nella capitale si costruì molto di più e molto più rapidamente di prima, ma non fu abbastanza per far fronte agli arrivi. Sono quindi emersi “sbocchi” per cittadini senza un alloggio permanente, sotto forma di grandi insediamenti illegali, come ad esempio Kaluđerica. Lo stato socialista aveva chiaramente a cuore la questione degli alloggi. Il diritto alla casa è diventato un diritto implicito dei cittadini jugoslavi. Oggi non è più così.

Ciò ha migliorato la qualità complessiva dell’abitare?

Certo. Sono stati prescritti standard chiari. Elettricità, acqua e spesso riscaldamento erano dati per scontati. Anche negli insediamenti illegali lo stato garantiva elettricità e acqua, ovviamente tacitamente.

Come descriveresti l’attuale politica di alloggi sociali a Belgrado?

Mi sembra che lo stato se ne occupi solo sporadicamente. Nel recente passato, la maggior parte degli appartamenti sociali è stata costruita – giustamente – per i rifugiati dalla Croazia e dalla Bosnia ed Erzegovina. Oggi costruiamo principalmente per professioni di interesse pubblico, come l’esercito e la polizia, e molto poco per le persone in difficoltà. Lo stato continua a chiudere un occhio sulle costruzioni illegali. Solo che ora non riguarda solo gli edifici costruiti senza permesso per mancanza di mezzi, ma anche quelli che sono allo stesso tempo illegali, lussuosi e lucrativi, come ad esempio è il caso dell’hotel di 1000 mq a Pančićev Vrh (costruito illegalmente nel Parco Nazionale di Kopaonik , ndt).

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