Serbia, appello all’UE per democrazia e diritti umani
Attivisti e genitori di uno studente preso di mira dalla repressione politica del Partito progressista serbo, Jelena Žunić Cicvarić e Radovan Cicvarić scrivono ai rappresentati dell’Unione europea chiedono sostegno nella lotta per una Serbia democratica

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Proteste studentesche a Belgrado - M.Moratti
(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans , il 13 luglio 2025)
Cara Europa,
Cari rappresentanti dell’Unione europea,
Vi scriviamo da Užice, piccola città della Serbia occidentale nota per il suo impegno per la libertà. Fu qui che nel 1941 venne fondata “la Repubblica di Užice”, il primo territorio in Europa ad essere stato liberato dall’occupazione nazista.
Ci rivolgiamo a voi come attivisti di lunga data, ma oggi anche come genitori preoccupati. Nostro figlio, Pavle Cicvarić, studente di scienze politiche, è detenuto ingiustamente e illegalmente. Da due anni è vittima di persecuzioni, campagne di intimidazione e demonizzazione.
A ottant’anni dalla sconfitta del fascismo e del nazismo, Užice e la Serbia sono nuovamente sotto occupazione. Questa volta, però, l’occupazione viene dall’interno: le attuali strutture del potere, controllate dal Partito progressista serbo, si sono impadronite dello stato, criminalizzando le istituzioni e rivolgendole contro i cittadini.
La situazione è desolante: istituzioni bloccate, insicurezza giuridica, propaganda costante, assalto alla salute mentale della popolazione, mancato rispetto dei diritti fondamentali, corruzione diffusa, impoverimento della popolazione, repressione delle voci critiche. Questa, in sintesi, l’attuale realtà della Serbia.
A segnare un punto di svolta, il primo novembre 2024, è stato il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, recentemente ristrutturata, che ha provocato sedici morti. Ad oggi, nessuno si è assunto la responsabilità dell’accaduto. Questa tragedia ha scatenato una mobilitazione senza precedenti, coinvolgendo tutto il paese.
In tutta la Serbia i cittadini hanno reagito con fermezza: gli studenti hanno bloccato le scuole e le università, intere categorie di professionisti hanno sospeso le loro attività e centinaia di migliaia di persone assetate di giustizia, libertà e democrazia e desiderose di una vita dignitosa sono scese in piazza per esprimere il proprio malcontento e chiedere che le richieste degli studenti, formulate nel dicembre 2024, venissero esaudite.
Di fronte a questa rivolta civica, il regime di Aleksandar Vučić non ha fatto altro che ignorare o reprimere il dissenso. Invece di cercare una via d’uscita dalla crisi, ha scelto di esacerbarla: con il passare dei mesi la violenza della polizia si è intensificata, raggiungendo livelli allarmanti, facendo sprofondare il paese verso un’autocrazia brutale dove la repressione è diventata una prassi consueta.
In un primo momento, il compito di intimidire e aggredire gli studenti e i cittadini è stato affidato ai delinquenti legati al Partito progressista serbo. Questi gruppi hanno agito nella più totale impunità, fermando i cittadini e gli attivisti per strada, aspettandoli davanti a scuole e università, lanciando minacce, investendo i manifestanti durante le proteste pacifiche per rendere omaggio alle vittime della tragedia di Novi Sad, arrivando persino a rompere le mascelle ad alcune studentesse con mazze da baseball.
Col tempo, questi gruppi si sono rafforzati coinvolgendo ex membri delle formazioni, ormai sciolte, coinvolte nell’omicidio di Zoran Đinđić, il primo premier serbo democraticamente eletto. Un accampamento paramilitare, allestito nei pressi della sede del parlamento [di Belgrado], è diventato un punto di incontro di questi gruppi criminali, vicini al principale partito di governo, pronti a “controllare” i manifestanti con qualsiasi mezzo ritenuto necessario.
Questa tendenza è culminata lo scorso 15 marzo quando, durante una grande manifestazione a Belgrado, un’arma sonica militare è stata utilizzata per disperdere la folla, annunciando un cambio di passo nella strategia del regime. Da allora, la repressione ha assunto la forma di un terrore di stato palese e brutale: gli squadristi del partito hanno indossato divise della polizia e, insieme alle forze dell’ordine, picchiano i cittadini. Ogni giorno si assiste ad arresti arbitrari e la misura di custodia cautelare è diventata una prassi comune.
Il compito dei media filogovernativi è quello di attaccare e demonizzare i manifestanti. Poi la polizia esegue arresti sulla base delle accuse infondate, fabbricate dai pubblici ministeri e solitamente confermate dai tribunali.
La Serbia è oggi uno dei pochi paesi al mondo che imprigiona i propri cittadini, bollandoli come terroristi semplicemente perché chiedono elezioni libere, eque e democratiche. Sono ormai molti i prigionieri politici detenuti in Serbia, nel cuore dell’Europa: tra studenti universitari e quelli delle scuole superiori, docenti, avvocati, medici…
Cara Europa,
Cari funzionari dell’Unione europea,
Siamo certi che molti di voi siano ben informati sulla situazione in Serbia. Non riusciamo però a comprendere la mancanza di una risposta adeguata alla gravità dei fatti. Ogni beneficio politico ed economico che eventualmente sperate di trarre dalla collaborazione con il regime di Aleksandar Vučić svanisce di fronte alle conseguenze profonde e durature che il crollo dei valori fondamentali – europei e umani – in Serbia potrebbe avere per l’intero continente.
Non vi chiediamo di stare al nostro fianco davanti ai cordoni della polizia, di essere picchiati, calpestati e umiliati. Né tanto meno vi chiediamo di esprimere compassione. Abbiamo scelto questa lotta per la verità e la giustizia pienamente consapevoli delle difficoltà e dei rischi che comporta.
Vi invitiamo però, con insistenza, a difendere i valori su si fonda l’Unione europea, come sanciti dal Trattato sull’UE: il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e dei diritti umani, compresi quelli delle minoranze. Difendendo questi valori qui, in Serbia, li difendete nell’intero continente.
Questi valori sono più grandi di noi. Sono radicati nella nostra storia, nella nostra città, nella memoria della Repubblica di Užice.
Jelena Žunić Cicvarić e Radovan Cicvarić, attivisti civili e genitori di Pavle Cicvarić, studente della Facoltà di scienze politiche
Užice, 11 luglio 2025
[aggiornamento: Pavle Cicvarić, da mesi ormai vittima di una campagna denigratoria portata avanti dai media di regime, è stato messo in stato di fermo lo scorso 7 luglio durante un blocco stradale a Užice, per poi essere sottoposto a custodia cautelare della durata di trenta giorni. Sulla scorta delle pressioni della piazza, lo scorso 14 luglio il Tribunale di Užice ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati di Cicvarić, disponendo il rilascio del giovane e di altri sei manifestanti arrestati lo stesso giorno.]Questo articolo è stato ripubblicato nell’ambito di uno scambio di contenuti promosso da MOST – Media Organisations for Stronger Transnational Journalism, un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea, che sostiene media indipendenti specializzati nella copertura di tematiche internazionali. Qui la sezione dedicata al progetto su OBCT
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