Serbia: al bando l’estrema destra

Una sentenza della Corte costituzionale mette al bando in Serbia il gruppo di estrema destra Nacionalni stroj. Lo stesso potrebbe accadere ad altre organizzazioni della destra estrema. La chiusura di un incidente di percorso? Non proprio. Un commento

14/06/2011, Petra Tadić - Belgrado

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Nacionalni stroj (foto rtv slovenia)

Ai primi di giugno la Corte costituzionale della Serbia ha dichiarato illegale l’organizzazione di ultradestra Nacionalni stroj (Fronte nazionale). Nelle motivazioni alla sentenza si legge che Nacionalni stroj è un’associazione segreta, la cui attività vengono proibite in accordo con quanto previsto dalla costituzione. Si tratta, in Serbia, della prima sentenza di questo tipo.

La messa al bando di Nacionalni stroj è indubbiamente una buona notizia. La Corte costituzionale, finalmente, ha fatto il suo lavoro. Ha proibito a quest’organizzazione di operare e di promuovere le sue idee e il suo programma. Naturalmente Nacionalni stroj non potrà nemmeno iscriversi al registro delle associazioni, delle organizzazioni o dei partiti politici. I giudici hanno inoltre invitato le istituzioni competenti a fare il proprio lavoro e implementare le misure previste dalla sentenza.

Il ministro della Giustizia Snežana Malović ha annunciato che un destino simile possono aspettarselo anche altre organizzazioni di estrema destra. Tra queste la più nota è Obraz, ma vi è anche 1389 Naši. Il ministro ha ribadito che il messaggio è chiaro: la Serbia non tollererà organizzazioni che con le loro attività incoraggino l’intolleranza e l’odio razziale, religioso e nazionale.

Oltre alle parole della Malović e del difensore civico Saša Janković, nessuno ha però reagito in modo particolare alla notizia, anche se si trattava di una novità assoluta. Non è infatti prassi abituale che in una società democratica si mettano al bando organizzazioni. Quando accade, solitamente scatta il dibattito sui confini della libertà e sul modo di amministrare lo Stato.

No. In Serbia nemmeno una parola. Forse tutti appoggiano la decisione della Corte? Forse gli elementi della destra estrema sono, nella nostra realtà, solo un incidente di percorso, per cui ecco che abbiamo reagito il prima possibile e abbiamo reciso questo male alla radice?

No, non è così. Noi viviamo in realtà parallele. Nella prima, per esempio, a Novi Sad si organizza un incontro pubblico sull’antifascismo per ricordare che facevamo parte del fronte che ha combattuto contro il t[]e fascista e nazista. Però poi alla conferenza fanno irruzione alcuni ragazzi di vent’anni con le teste rasate e iniziano a insultare, minacciare e fare il saluto nazista. Per quattro anni da allora nessuno ha mai reagito all’incidente, sino a quando sono cresciuti come funghi vari movimenti di estrema destra.

In una seconda realtà la Serbia galoppa verso l’Unione europea. Abbiamo elezioni democratiche, per la prima volta riusciamo ad arrivare fino (quasi) alla fine dell’intero mandato di un governo, siamo entrati nella lista bianca di Schengen, e tutto pare che ci vada bene.

In una terza, a Belgrado si terrà (tra il 13 e il 15 giugno prossimi) una grande conferenza su temi strategico-militari. Al ministero della Difesa dicono che è il più grande avvenimento militare mondiale di quest’anno. Noi, probabilmente, cerchiamo di posizionarci come un’importante potenza militare, di cui dirò in altra occasione con la dovuta ironia. Quelli che non sono d’accordo con l’evento militare hanno manifestato davanti alla facoltà di Filosofia di Belgrado.

In una quarta realtà, e poi smetto di contare, il parco centrale di Belgrado, il Tašmajdan, è stato risistemato. Sembra davvero fantastico. Fontane come a Barcellona, luci notturne di vari colori, ottime panchine, spazio per i bambini, un sacco di fiori. Tutto è nuovo. Un idillio. Ma per poco. Tašmajdan è un regalo che l’Azerbaijan ha fatto a Belgrado. All’ingresso due enormi statue. Una raffigura Heydar Alijev, il despota azero, l’altra uno dei nostri, non è importante chi sia.

E adesso ditemi se posso rimproverare i genitori che tutti contenti mi chiamano dal Tašmajdan e mi dicono di come è bello? Devo tenere lezioni educative di geopolitica e fare appello ai concittadini chiedendo loro di non usare il parco? Certo che no. Non hanno colpa. Eccetto forse il fatto di aver taciuto collettivamente.

Eppure forse nemmeno io sono contenta del fatto che in Serbia si organizzi un summit militare. Ma con chi devo protestare? Col Partito democratico della Serbia che ha organizzato una conferenza di 500 persone? Con Obraz e 1389 che erano là a protestare? Con quelli che scandivano Medvedev, Putin, Gheddafi? Non ci penso nemmeno.

Apparentemente tutto questo non è collegato. Ma credo che in un’atmosfera del genere sono pochi in Serbia quelli che credono di potere e volere cambiare qualcosa. Ai cittadini giungono così tanti messaggi differenti che la maggior parte di loro ha scelto di starsene in disparte e di pensare a come sopravvivere.

So che da fuori le cose sembrano facili. E anche che la Serbia, dopo il brillante esordio dei nostri tifosi a Genova, continua ad apparire come un Paese di gente poco illuminata.

Le cose qui, ma come da ogni altra parte, sono più complesse, a tratti quasi schizofreniche, tanto che non si sa esattamente come comportarsi nemmeno di fronte ad un evento di grande importanza come il bando alle attività di Nacionalni stroj.

Sono contenta della scelta. Meglio tardi che mai. Sono infuriata, però, perché ci abbiamo messo così tanto tempo. Chissà cosa avremmo potuto impedire se avessimo reagito prima.

E così in circolo. Facciamo tutto in ritardo e continuamente facciamo le cose che altri ci costringono a fare. E, anche quando accade, non so più nemmeno se viverle positivamente o, come la maggioranza, spostare la testa e comportarmi come se non mi riguardassero.

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