Serbia: 6 maggio, esercizi di voto multiplo

La Serbia si sta preparando in queste settimane a un appuntamento elettorale multiplo. Il 6 maggio, infatti, si terranno le elezioni politiche, quelle presidenziali e quelle amministrative. Le forze politiche, i candidati e gli schieramenti in campo

16/04/2012, Chiara Longhi - Belgrado

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Elezioni in Serbia, 6 maggio 2012

Due sono i partiti politici che dominano la campagna elettorale: il Partito Democratico (DS) – guidato dal presidente (dimissionario) della repubblica Boris Tadić – e il Partito Progressista Serbo (SNS) di Tomislav Nikolić, “eterno secondo” e maggiore forza di opposizione. Dal punto di vista dello schieramento delle principali forze, il panorama elettorale sembra chiaramente delineato. Sul terreno del confronto politico invece, alcune questioni alimentano il dibattito mediatico e potrebbero incidere fortemente sull’esito delle elezioni: tra queste, la controversia sul voto dei serbi del Kosovo sta provocando, in queste settimane, un’escalation di tensione tra le autorità di Belgrado e quelle di Pristina.

Novità europee

Sotto il profilo tecnico, tra le novità di questa tornata elettorale, vi sarà l’utilizzo del registro elettorale unificato ed elettronico recentemente introdotto, che sostituirà le vecchie liste elettorali e permetterà ai cittadini di esprimere il loro voto, anche se si trovano al di fuori del loro comune di residenza. Inoltre, sarà applicata anche la nuova disposizione di legge sulla successione dei candidati in lista, in base alla quale i seggi verranno assegnati ai candidati secondo l’ordine di lista.

A questa si aggiunge un’altra riforma, resa necessaria come uno tra i presupposti per la candidatura europea della Serbia: l’abolizione dell’utilizzo delle dimissioni in bianco – la possibilità dei partiti di "dimissionare" i propri parlamentari – retaggio del regime e pratica finora ampiamente utilizzata dai partiti per garantirsi la fedeltà dei propri parlamentari, in aperto contrasto con il principio secondo cui il mandato parlamentare appartiene al singolo membro del parlamento e non al partito.

Ci sono delle novità anche per quel che riguarda il finanziamento della campagna elettorale da parte dello stato: sono state infatti introdotte misure volte a garantire maggiore trasparenza nella gestione dei rimborsi.

Forze in campo

I due principali schieramenti in campo per le elezioni politiche sono: “Scelta per una vita migliore – Boris Tadić”, con l’attuale sindaco di Belgrado Dragan Đilas come capolista, e “Mettiamo in moto la Serbia. Tomislav Nikolić”  che raggruppa, tra gli altri, molti partiti rappresentativi delle minoranze nazionali.

I recenti sondaggi danno il partito di Nikolić in vantaggio ma, al di là della loro attendibilità, è molto probabile che nessuno dei due schieramenti riesca ad ottenere, da solo, la maggioranza assoluta in parlamento: eventualità che aprirebbe la strada ad alleanze con altri partiti per poter formare il governo, come del resto già avvenuto in occasione delle passate consultazioni (all’esito delle quali DS e SPS sono diventati partner nella coalizione di governo).

Nel frattempo, anche le altre forze politiche hanno presentato le loro liste. Oltre ai due schieramenti principali già citati  troviamo il terzo schieramento di una certa rilevanza, quello guidato dal Partito socialista (SPS) dell’attuale ministro dell’Interno Ivica Dačić.

A seguire, i partiti che hanno buone probabilità di superare la soglia di sbarramento del 5%, e che puntano quindi al ruolo di partner di coalizione. Tra essi, il “La svolta” (Preokret) di Čedomir Jovanović (LDP) appoggiato da Vuk Drašković; il Partito Radicale Serbo (SRS), il cui candidato premier è Vojislav Šešelj, attualmente sotto processo all’Aja; e il Partito Democratico di Serbia (DSS) di Vojislav Koštunica.

Poco al di sotto del 5%, secondo i sondaggi, troviamo le Regioni Unite della Serbia (URS) di Mlađan Dinkić (ex ministro dell’Economia e presidente del partito G17 plus) una coalizione nata nel 2010 che riunisce partiti locali e regionali.

Quanto ai principali temi della campagna elettorale, alcuni, sono presenti nei programmi di tutti gli schieramenti: la ripresa dalla crisi economica, la riforma del settore pubblico e quella del sistema sanitario, la necessità di attrarre altri investimenti dall’estero e infine la depoliticizzazione dei posti di lavoro nel settore pubblico.

Le presidenziali

Con le dimissioni anticipate del presidente della repubblica Boris Tadić rassegnate il 4 aprile, cioè più di nove mesi prima della fine del suo mandato, sono state indette anche le elezioni presidenziali.

La campagna elettorale per il nuovo presidente si sovrappone quindi a quella in corso per le elezioni parlamentari, rendendo ancora più palese quanto le coalizioni stiano puntando sulla personalità dei loro leader più che sui programmi elettorali.  Anche in questa competizione i candidati forti sono infatti Nikolić e Tadić, il quale avrebbe deciso di far coincidere le due campagne elettorali proprio per poter sfruttare al meglio il forte impatto positivo della sua immagine, necessario per il Partito democratico (DS) in questo momento.

Infatti, secondo i primi sondaggi condotti dopo l’annuncio delle presidenziali, Tadić e Nikolić potrebbero ottenere lo stesso numero di voti, circa il 22-23%, con l’ex presidente in vantaggio al secondo turno.

Si tratta di un miglioramento essenziale della posizione del DS visto che, per quanto riguarda la corsa al parlamento invece, i sondaggi hanno finora dato in testa l’SNS, con una percentuale di preferenze che oscilla tra il 33 e il 35%, mentre il DS sarebbe tra il 29 e il 30%.

Segue a distanza il partito socialista (SPS) che otterrebbe un 11-13%.

Il Terzo incomodo

Ed è proprio il candidato dei socialisti, l’attuale ministro degli Interni Ivica Dačić a trovarsi in una posizione difficile nella corsa alla presidenza. La sua candidatura, infatti, per quanto rappresenti un’occasione per guadagnare maggiore visibilità, lo costringe a trovare il modo di distaccarsi in maniera netta dai due candidati forti: e lo sta facendo inasprendo i toni sul Kosovo – come dimostrano le sue recenti dichiarazioni – per cercare di raccogliere consensi a destra. Gli elettori che potrebbero portare “nuovi” voti a Dačić sono infatti i cittadini delusi dal progressivo restyling europeista di Nikolić o i sostenitori di Tadić poco persuasi dalla doppia agenda “sia Kosovo sia UE”.

Così facendo però, il leader socialista rischia di compromettere la sua posizione di possibile candidato per un’eventuale alleanza post-elettorale con il DS, in caso di loro vittoria nelle elezioni parlamentari.

Tra gli altri candidati scesi in campo per le presidenziali ci sono Koštunica (DSS) e Stanković (URS). In attesa di conferma ufficiale, invece, sono le candidature di Čedomir Jovanović (LDP) e del muftì Muamer Zukorlić, capo della Comunità islamica in Serbia. Quest’ultima candidatura ha provocato non poco stupore e molti interrogativi tra l’opinione pubblica.

La famiglia Šešelj

Altra candidatura che ha fatto discutere è quella di Jadranka Šešelj, moglie del leader dei radicali Vojislav Šešelj, da tempo sotto processo all’Aja.

Non è la prima volta che la famiglia Šešelj fa parlare di sé nel contesto di queste elezioni. Nelle settimane passate i media hanno infatti dato spazio all’ipotesi di un possibile ritorno in Serbia del leader del Partito radicale (SRS) grazie ad un rilascio temporaneo per motivi di salute, aprendo così il dibattito sull’effetto che la sua presenza in Serbia potrebbe avere sul voto. Il suo partito di certo ne guadagnerebbe attingendo voti, con tutta probabilità, dal bacino di elettori del Partito progressista di Nikolić (SNS), a tutto vantaggio quindi del DS.

Elezioni di San Giorgio in Kosovo

Uno dei nervi scoperti di queste consultazioni – che cadranno nel giorno di San Giorgio, uno dei santi più venerati nella tradizione serbo-ortodossa – sono le contemporanee elezioni amministrative, con le quali numerosi comuni rinnoveranno le loro amministrazioni locali.

Tra le municipalità in cui il presidente del parlamento ha annunciato che si terranno le elezioni amministrative ci sono, infatti, alcune municipalità del Kosovo, inclusi Zubin Potok e Zvečan, due dei quattro comuni del nord che non riconoscono il governo di Pristina e in cui continuano a operare istituzioni parallele finanziate dalla Serbia: lo svolgersi delle consultazioni elettorali ufficiali in questa zona significherebbe, ovviamente, rinforzare la presenza della Serbia in queste aree.

Di fatto, mentre il voto dei serbi del Kosovo nelle elezioni parlamentari dovrebbe svolgersi regolarmente (in pratica nelle forme ordinarie di un voto dall’estero e con l’unico requisito, per i serbi, della doppia cittadinanza) lo svolgimento delle consultazioni amministrative, nelle aree del Kosovo ove sarebbero state indette, non è ancora assicurato.

Dopo l’annuncio, il 13 marzo, da parte serba, della volontà di indire le elezioni (amministrative) anche per le municipalità kosovare, si è aperto il dibattito tra autorità serbe, kosovare e comunità internazionale: confronto che non ha tardato a trasformarsi in un braccio di ferro tra Belgrado e Pristina.

Bruxelles ha commentato l’annuncio negativamente, il primo ministro Hashim Thaçi ha definito le elezioni “un’aggressione della Serbia al Kosovo” e i leader kosovari hanno quindi minacciato di usare la forza per impedire lo svolgersi delle consultazioni.

Le autorità di Belgrado si sono rivolte alla missione ONU per l’organizzazione della consultazione. La risposta è stata, naturalmente, negativa.

In seguito, il 29 marzo, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione riguardante il processo di integrazione della Serbia. Uno dei 12 emendamenti contiene l’invito esplicito alla Serbia ad astenersi dallo svolgimento delle elezioni amministrative in Kosovo, perché contrarie alla risoluzione ONU 1244.

La Serbia non ha per ora rinunciato ad organizzare le elezioni, anche se pare improbabile che Belgrado sia intenzionata ad andare contro la volontà dell’UE, mettendo a rischio il percorso di integrazione europea del Paese.

Se le elezioni non si svolgessero neanche questa volta, la legittimità delle istituzioni finanziate dalla Serbia subirebbe un nuovo colpo: eventualità che verrebbe letta come un abbandono, da parte di Belgrado, dei serbi del nord ma che farebbe guadagnare alla Serbia parecchi punti agli occhi di Bruxelles.     

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