Serbi del Kosovo, tra l’incudine e il martello
Dopo le elezioni del 23 aprile nel nord del Kosovo, dove solo il 3,47% degli aventi diritto è andato a votare, son state elette le nuove amministrazioni comunali, a guida albanese. Secondo la giornalista Tatjana Lazarević “questo nuovo quadro incide in maniera rilevante sulla vita dei serbi del nord, intrappolati tra il martello di Belgrado e l’incudine di Pristina”
(Originariamente pubblicato dal quotidiano Vijesti , il 25 aprile 2023)
Le elezioni amministrative tenutesi lo scorso 23 aprile nel nord del Kosovo sono state quasi interamente boicottate dalla maggioranza serba.
“Con un’affluenza attestata attorno al 3,5%, sono state elette le nuove amministrazioni comunali – quattro sindaci e due consigli comunali – completamente dominate dalla minoranza [albanese]. A destare preoccupazioni ancora maggiori per la tenuta della democrazia è la possibilità che la nuova leadership guidata dalla minoranza possa rimanere in carica nei prossimi due anni e mezzo, ossia fino alle prossime elezioni locali, e che quindi assuma una posizione dominante all’interno dei meccanismi di esercizio del potere [nel nord del Kosovo]”, spiega Tatjana Lazarević, caporedattrice del portale Kossev di Mitrovica nord.
Le elezioni anticipate nei quattro comuni a maggioranza serba sono state indette a seguito dell’uscita dei serbi da tutte le istituzioni kosovare nel novembre 2022 in segno di protesta contro la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo di sostituzione delle targhe di immatricolazione rilasciate dalla Serbia con quelle kosovare. La Srpska Lista, il principale partito dei serbi del Kosovo, così come la stragrande maggioranza dei cittadini di nazionalità serba, ha boicottato le elezioni del 23 aprile. La leadership di Belgrado e i serbi del nord del Kosovo chiedono la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe, prevista dall’Accordo di Bruxelles, sottoscritto tra Serbia e Kosovo dieci anni fa.
Tatjana Lazarević spiega che ciò che contraddistingue le elezioni locali appena concluse da tutte le precedenti non è tanto la diserzione dalle urne – perché sin dal 2013, quando si sono tenute le prime elezioni nel nord del paese dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo, i serbi hanno sempre boicottato il voto – quanto la decisione della Srpska Lista di non partecipare alle elezioni per la prima volta negli ultimi dieci anni.
“Sono stati proprio i rappresentanti della Srpska Lista a spingere i serbi del nord ad entrare a far parte del sistema kosovaro a seguito delle elezioni del 2013, cercando poi ad ogni tornata elettorale di costringere i serbi a votare per la Srpska Lista. Nei dieci anni di potere, questo partito, con l’appoggio del governo di Belgrado, grazie anche ad una collaborazione con le istituzioni di Pristina – collaborazione venuta meno con l’arrivo di Albin Kurti al potere – è riuscito a creare un meccanismo di controllo delle assunzioni e dei dipendenti pubblici, basato sull’assoggettamento e sul ricatto, indebolendo così il potenziale democratico e civico dei serbi del nord, ma anche di quelli che vivono a sud dell’Ibar, relegandoli ad una posizione di dipendenza dalle autorità e dai vari centri di potere locale”, afferma Tatjana Lazarević.
Circa due terzi dei serbi del Kosovo vivono a sud del fiume Ibar, un confine immaginario che separa il nord del Kosovo, dove la leadership di Belgrado esercita un’influenza determinante, dal resto del paese, dominato dalle autorità di Pristina.
“Con il passare del tempo, il meccanismo di controllo dell’elettorato e del processo elettorale [instaurato dalla Srpska Lista, ndt] è andato progressivamente rafforzandosi, accompagnato dalla creazione di un sistema di gestione delle risorse finanziarie e una sfera di influenza spesso illeciti e tutt’altro che estranei alla violenza, tanto che i serbi del nord si sono trovati costretti ad andare a votare in modo organizzato, accompagnati dai loro superiori”, spiega Tatjana Lazarević.
Stando alle sue parole, col tempo nel nord del Kosovo sono cresciute “nuove generazioni e gruppi privilegiati che non vedono nulla di problematico in questo crollo della democrazia e delle libertà, continuando a godere dei privilegi, soprattutto in termini di benefici finanziari e sociali”.
La caporedattrice del portale Kossev ritiene che le elezioni dello scorso 23 aprile abbiano fornito un’immagine del nord del Kosovo sostanzialmente fedele alla realtà. “La Srpska Lista non ha dovuto minacciare i cittadini, dicendo loro di non votare. È bastato lasciare ai cittadini la libertà di scegliere se recarsi alle urne o meno”.
La Commissione elettorale del Kosovo ha reso noto che alle elezioni del 23 aprile ha votato solo il 3,47% degli aventi diritto. Tutti e quattro i sindaci eletti appartengono a partiti degli albanesi del Kosovo. L’unica candidata serba ha ottenuto solo cinque voti. Il governo di Pristina si è complimentato con i sindaci e consiglieri comunali neo eletti, auspicando che svolgano le proprie funzioni con successo. “Il governo della Repubblica del Kosovo sostiene pienamente [le nuove amministrazioni comunali] nel loro lavoro al servizio di tutti i cittadini, senza distinzione alcuna”, si legge in un comunicato stampa emesso dalle autorità di Pristina.
Tatjana Lazarević spiega che la comunità serba è ulteriormente indebolita dalle elezioni comunali appena concluse e che ormai non esiste più alcuna autentica politica locale rivolta ai serbi.
“Approfittando del boicottaggio e della riluttanza della Srpska Lista a collaborare, le nuove autorità kosovare hanno preso il controllo di una parte delle istituzioni del nord del paese, sostenendo di voler combattere la criminalità organizzata e risolvere un conflitto congelato. A contribuire al rafforzamento della presenza delle autorità di Pristina nel nord è stata anche l’uscita dei serbi da tutte le istituzioni kosovare. Dopo aver assunto il controllo delle forze di polizia e della magistratura, ora la minoranza albanese ha preso ufficialmente in mano anche le redini dell’amministrazione locale nel nord del paese”.
Nel nord del Kosovo vivono circa 50mila serbi. Pur costituendo oltre il 90% della popolazione del Kosovo, nel nord gli albanesi rappresentano una minoranza.
Temendo possibili incidenti e violenze, la Commissione elettorale ha rinunciato all’idea di organizzare le operazioni di voto all’interno delle scuole, decidendo invece di allestire cabine elettorali in tredici località. I soldati della NATO, insieme ai membri della KFOR, hanno pattugliato le strade nelle aree in cui si sono svolte le elezioni, mentre a sorvegliare le cabine elettorali sono stati i poliziotti albanesi venuti da altre parti del paese, perché l’anno scorso cinquecento agenti serbi sono usciti dalle forze di polizia kosovare.
Le autorità di Pristina hanno accusato Belgrado di aver orchestrato una “campagna minacciosa” improntata su intimidazioni, pressioni e ricatti, volta a dissuadere i cittadini dal recarsi alle urne.
Accuse prontamente respinte dal presidente serbo Aleksandar Vučić, secondo il quale alle elezioni del 23 aprile – definite “la débâcle elettorale” di Albin Kurti e dei paesi della NATO – i serbi hanno dimostrato una disciplina e una responsabilità mai viste nella storia moderna del popolo serbo. Vučić ha affermato che lo scorso 23 aprile si è assistito ad una “silenziosa rivolta politica” dei serbi che “con un plebiscito” hanno dimostrato chi non vogliono nel nord del Kosovo.
“Temo che questo sia il preludio di una crisi più profonda nei mesi e negli anni a venire”, afferma Tatjana Lazarević. Per la giornalista di Mitrovica nord, l’evento che ha colpito di più i serbi del Kosovo nel 2022 è stata la costruzione di quattro nuove stazioni di polizia e il dispiegamento delle forze speciali della polizia kosovara nel nord del paese. Queste forze, che non comprendono alcun membro di nazionalità serba, in passato non erano mai state presenti nel Kosovo settentrionale.
“Le autorità kosovare affermano pubblicamente di voler combattere la criminalità organizzata, ed effettivamente sono state intraprese alcune azioni in tale direzione. Ciò che invece [la leadership di Pristina] nasconde ai suoi partner internazionali, ma non anche ai suoi sostenitori all’interno della comunità albanese, sono i messaggi trionfalistici sulla conquista del nord. Le persone sospettate di essere coinvolte in attività di criminalità organizzata nel nord del Kosovo di certo non dormono sonni tranquilli, ma non dorme nemmeno la popolazione locale. A nessuno piace la militarizzazione, soprattutto se viene imposta da un governo che non gode dell’appoggio dei serbi del Kosovo”, spiega Tatjana Lazarević sottolineando che “questo nuovo quadro incide in maniera rilevante sulla vita dei serbi del nord, intrappolati tra il martello di Belgrado e l’incudine di Pristina”.
Commentando la proposta occidentale per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia, Lazarević spiega che dietro ad una cortina di fumo creata dai media, che non fanno che parlare di crisi, profondi scontri e stallo nel dialogo tra Belgrado e Pristina, il processo negoziale prosegue ad un alto livello politico. Alla fine di febbraio le due parti si sono accordate sul contenuto del documento e da allora ognuno adempie ai propri obblighi nei termini previsti: è stata adottata una dichiarazione sulle persone scomparse e creata una commissione per vigilare sulla sua implementazione; è stata avviata anche una discussione sull’articolo 7, riguardante il meccanismo del cosiddetto ‘autogoverno’ della comunità serba e all’inizio di maggio dovrebbe essere presentato lo statuto dell’Associazione delle municipalità serbe.
“Il punto è che la Serbia si sta ritirando dal Kosovo a favore delle autorità di Pristina e nessuno sembra disposto a rafforzare la popolazione locale che resta un testimone scomodo per entrambe le parti. Un testimone che per una parte incarna ‘una sconfitta’ e ‘un tradimento’ definiti storici nella narrazione dominante, ma anche negli atti legislativi, mentre per l’altra resta un monito ‘affinché non venga mai più consentita una rivolta compatta della popolazione disobbediente’”, conclude Tatjana Lazarević.
All’indomani del voto nel nord del Kosovo, il Servizio per l’azione esterna dell’UE (EEAS) ha fatto sapere che le elezioni boicottate dalla stragrande maggioranza della popolazione non rappresentano una soluzione a lungo termine e che la difficile situazione nei quattro comuni in cui si è votato può essere risolta solo con il ritorno dei serbi nelle istituzioni kosovare, ed è il compito del governo di Pristina rendere possibile tale ritorno.
Peter Stano, portavoce dell’EEAS, ha dichiarato che la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba deve essere portata a termine il prima possibile. “È di cruciale importanza che i serbi tornino ad essere attivamente presenti nell’amministrazione locale, nelle forze di polizia e nella magistratura nel Kosovo settentrionale”, ha affermato Stano, sottolineando che “vi è un urgente bisogno di instaurare un serio dialogo tra il governo di Pristina e i serbi nel nord del Kosovo”.
Chistopher Hill, ambasciatore statunitense a Belgrado, ritiene invece che il dialogo tra Serbia e Kosovo abbia bisogno di un nuovo impulso, dicendosi comunque fiducioso che l’incontro tra i leader dei due paesi, previsto oggi, 2 maggio, a Bruxelles, possa rappresentare un passo in avanti verso la creazione dell’Associazione delle comunità serbe.