Sejdić-Finci, una sentenza ignorata

Da quattro anni Jakob Finci, presidente della comunità ebraica di Sarajevo, attende che la Bosnia Erzegovina accolga la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che porta il suo nome. Intervista

16/07/2013, Andrea Oskari Rossini -

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Jakob Finci nella sede della comunità ebraica di Sarajevo (Foto Andrea Rossini)

La Corte di Strasburgo, nel 2009, ha accolto con la sentenza Sejdić-Finci il ricorso da lei presentato contro la Bosnia Erzegovina per violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Quattro anni dopo, quella sentenza non è ancora stata applicata. Perché?

Si tratta di una lunga storia che inizia nel 1995, con gli Accordi di Dayton. Quegli accordi prevedono che possano essere eletti alla presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina solamente un serbo dalla Republika Srpska (RS), un croato e un bosgnacco dalla Federazione, e che nella Camera dei Popoli ci siano 5 serbi della RS, 5 croati e 5 bosgnacchi della Federazione. Nel gennaio 1996 mi incontrai con Richard Holbrooke, artefice di quegli accordi, e gli dissi che violavano i miei diritti in quanto, pur essendo un cittadino bosniaco, non facevo parte di nessuno di quei gruppi. Anni dopo, nel 2005, mi confessò che “a Dayton la cosa importante era fermare la guerra” e che “nessuno avrebbe mai creduto che la Bosnia sarebbe sopravvissuta per 10 anni”. Purtroppo però così facendo è stato creato un sistema discriminatorio. Quando entrò in vigore il Protocollo 12 alla Convenzione Europea per i Diritti Umani, che prevede che ogni carica elettiva deve essere aperta a tutti i cittadini di un determinato Paese, è diventato chiaro non solo che Dayton non era una soluzione per l’assetto istituzionale di questo Paese, ma che era contro la legge.

Che cosa ha fatto?

Prima delle elezioni del 2006 ho mandato una lettera alla Commissione Elettorale, chiedendo se potevo candidarmi alla Presidenza. Mi hanno risposto di no, e dunque ho portato il caso alla Corte di Strasburgo. All’incirca nello stesso periodo il mio amico Dervo Sejdić ha avviato un caso simile, presentando il punto di vista della comunità rom. I due casi sono poi stati uniti e hanno portato alla Sejdić-Finci.

Si aspettava una vittoria?

Io sono un avvocato di formazione e, dal punto di vista legale, per me era chiaro fin dall’inizio che avrei vinto il processo, perché la nostra Costituzione e la legge elettorale violano la Convenzione Europea sui Diritti Umani, di cui la Bosnia è parte. Anche per i nostri politici questo era chiaro. Il problema è che non riuscivano e non riescono a trovare un accordo su come cambiare la Costituzione. Ora, dopo 4 anni, siamo arrivati alla fine di ogni possibile rinvio. L’Unione europea ha dichiarato che, senza l’implementazione della Sejdić-Finci, la Bosnia Erzegovina non potrà presentare la propria candidatura, mentre il Consiglio d’Europa ha detto che non riconoscerà la validità delle prossime elezioni. Il problema non riguarda solamente i rom, gli ebrei o le 17 minoranze che vivono in questo Paese, ma anche ad esempio un bosgnacco che vive in Republika Srpska o un serbo che vive in Federazione.

Qual è la vera ragione per cui la sentenza non viene accolta?

Credo che in Bosnia Erzegovina esista una strategia che mira a tenerci fuori dall’Unione europea, per evitare che in questo paese si affermi uno stato di diritto. È evidente che il livello di corruzione è ormai esteso ad ogni livello dell’amministrazione, e che nessuno riesce a controllarla. Se entriamo nell’Unione, tutti dovranno rispettare le regole del gioco. Senza l’Unione, possono fare quello che vogliono.

L’implementazione della Sejdić-Finci potrebbe innescare un più generale cambiamento nella società bosniaca?

È chiaro che non risolverebbe tutti i problemi aperti, ma sarebbe una spinta reale alla democratizzazione di questo Paese. Bisogna vedere come verrà messa in pratica.

La comunità internazionale dovrebbe intervenire più decisamente per tentare di risolvere lo stallo politico attuale?

In questo momento la Bosnia Erzegovina non è al centro dell’attenzione della comunità internazionale, e nemmeno dell’Unione europea. Negli ultimi 5, 6 anni lo sforzo della comunità internazionale è stato diretto a come trovare un modo per chiudere la questione e andarsene dalla Bosnia Erzegovina. Il lavoro però non è finito.

Ci sono rischi di una ripetizione degli anni ’90?

Tutto si può ripetere. Oggi la situazione in Bosnia è calma, ma solo in superficie. Temo ad esempio l’ipotesi di tre incidenti consecutivi, una serie di eventi che potrebbe modificare la situazione.

Il dialogo inter-religioso è una garanzia per il mantenimento della stabilità?

I leader religiosi di questa regione sono molto più ragionevoli di quelli politici. Sono più pragmatici, cercano di collaborare, di liberare la religione dall’immagine degli anni ’90, quando addirittura la guerra era stata definita come una guerra religiosa, cosa che naturalmente non era, dato che un crimine commesso nel nome della religione è il più grande crimine contro la religione. La religione è stata manipolata dai politici, e molti leader religiosi hanno accettato questa manipolazione. Oggi però sono molto più moderati dei politici.

Il censimento della popolazione che si terrà in ottobre può comportare dei rischi per la situazione nel Paese?

Non credo ci siano rischi, il censimento è necessario. In Bosnia non sappiamo quanti siamo. Non sappiamo qual è la nostra età media, o quale sia il livello di istruzione della popolazione. Dobbiamo costruire asili oppure ospizi e cimiteri? Tutte le statistiche sono indicative. Se ad esempio fossimo meno di 3 milioni e trecentomila, come qualcuno sostiene, e non più 4 milioni e trecentomila, come prima della guerra, probabilmente il nostro reddito pro capite sarebbe molto più alto.

Perché ci sono stati così tanti rinvii?

Dovevamo tenere il censimento nel 2011, ma si sono opposti in particolare i bosgnacchi, sostenendo che questo avrebbe provato il successo della pulizia etnica. Io però ho sempre sostenuto che andava fatto ugualmente, e che questo era l’unico modo per mostrare che la pulizia etnica è davvero avvenuta. C’è un rischio nella nuova realtà, ma dobbiamo accettarlo. Inoltre la pulizia etnica non ha coinvolto solo i bosgnacchi, ma anche altri gruppi in altre parti del Paese.

La conta dei diversi gruppi nazionali potrebbe portare nuova instabilità?

Secondo la nostra Costituzione, anche se in Bosnia Erzegovina ci fossero il 97% di musulmani e l’1% di serbi, croati e altri, alla presidenza avremmo un serbo, un croato e un musulmano e nella Camera dei popoli 5 per ognuno di questi popoli. Niente nella nostra legge è basato sul numero degli appartenenti ai diversi gruppi etnici.

Cosa potrebbe cambiare quindi dopo il censimento?

Forse cambieranno degli atteggiamenti. Secondo il censimento pilota, una prova generale che si è tenuta nei mesi scorsi sia in Federazione che in Republika Srpska, il 35% dei rispondenti si è dichiarato “altro”, cioè né serbo né croato né bosgnacco. Sono persone stanche dei giochi dei nazionalisti. Inoltre riemerge la realtà delle nostre identità differenti. Io non sono solamente ebreo. Sono bosniaco, sono di Sarajevo, sono un europeo, sono un essere umano… Di tutte queste identità però mi chiedono di esprimerne solo una.

Se il gruppo degli “altri” fosse superiore a quello di uno dei cosiddetti popoli costitutivi, cosa accadrebbe?

Ci sarà una nuova realtà. Finora abbiamo solamente discusso di proiezioni. Bisogna affrontare la realtà, i rischi maggiori sono connessi al non fare il censimento.

E’ d’accordo su come il censimento è organizzato, su come le domande vengono poste?

Assolutamente sì. Ci sono domande un po’ delicate, e in questo momento la discussione è incentrata su come il censimento debba essere somministrato, se i moduli debbano essere semplicemente consegnati ai cittadini o spiegati loro. Ad esempio, se un figlio di padre ortodosso e madre musulmana chiede cosa dovrebbe scrivere nella casella della nazionalità, chi raccoglie le domande deve dare una sua interpretazione o stare zitto?

Cosa pensa del fatto che non ci sia una casella con indicato “bosniaco”? Questa dovrebbe essere la voce prevalente in Bosnia Erzegovina…

È possibile dichiararsi bosniaco, ma si verrà conteggiati nel gruppo degli “altri”. Ci si può definire come si vuole. In questa regione, in passato, c’è stato anche chi si è dichiarato klingoniano, dal pianeta di Star Trek, o eschimese.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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