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Dopo il disastro dello scorso anno, la Macedonia porta a casa le sue elezioni "libere e corrette" e una promozione risicata da affluenza appena sufficiente e alcune irregolarità. Si afferma nettamente il candidato del partito di governo

07/04/2009, Risto Karajkov -

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Gjorgji Ivanov, il nuovo Presidente della Macedonia

La Macedonia ha un nuovo presidente. Il secondo turno delle presidenziali di ieri – sommato al voto locale – ha decretato la vittoria di Gjorgji Ivanov, candidato del partito di governo (VMRO). Ivanov ha nettamente sconfitto Ljubomir Frckoski dell’opposizione social-democratica (SDSM), ottenendo quasi il doppio dei voti del rivale (63% contro 36%). Un’affluenza del 42,8% ha garantito a malapena la validità del ballottaggio, superando d’un soffio la soglia minima del 40%. In caso contrario, si sarebbe dovuto organizzare un altro voto entro sei mesi, ma fortunatamente è bastato – lo sbarramento era stato recentemente portato dal 50% al 40% in previsione delle elezioni.

Diversi anni fa il neo-presidente e il suo rivale, entrambi professori di diritto a Skopje, avevano collaborato a un libro di testo di teoria politica. Ora hanno condotto una campagna elettorale livorosa e non scevra da insulti – per la maggior parte provenienti da Frckoski, polemico e tradizionalmente incline al linguaggio tagliente.

Ivanov sostituisce il veterano della politica Branko Crvenkovski, due volte primo ministro e poi presidente dal 2004 (in seguito alla tragica morte del predecessore Boris Trajkovski). Il mese prossimo, lasciato lo scranno presidenziale, Crvenkovski tornerà al timone del natio partito social-democratico.

Per il VMRO, la presidenza non è che la ciliegina sulla torta della scalata al potere degli ultimi anni, cominciata scalzando i social-democratici dal governo alle parlamentari del 2006. Nel voto lampo dell’estate scorsa – scaturito dal fiasco di Bucarest, quando il veto greco negò al paese l’ingresso nella NATO – il partito di Ivanov aveva poi conquistato una maggioranza di proporzioni sconosciute nella storia democratica della Macedonia. Nel voto locale di quest’anno, tenutosi congiuntamente alle presidenziali per ragioni di risparmio, ha vinto in 55 comuni su 84. Dei rimanenti, solo 6 sono andati all’SDSM, 14 all’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI) di Ali Ahmeti (al momento partner della coalizione di governo) e 4 agli indipendenti. Nell’unico – ma fondamentale – comune di Tetovo sale al governo il Partito Democratico degli Albanesi (DPA) di Menduh Taci, mentre il resto si distribuisce fra i partiti minori. Come ha detto ieri Zoran Zaev – presidente SDSM pro tempore fino al ritorno di Crvenkovski – nel suo discorso di riconoscimento del risultato, "l’VMRO ha tutto il potere, e quindi tutta la responsabilità."

Secondo una tesi largamente condivisa, la cosa più importante per il paese è tuttavia che le elezioni siano state libere e corrette. Il principale cervellone di monitoraggio elettorale, l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR) dell’OSCE, ha comunicato in conferenza stampa che il secondo turno è andato anche meglio del primo, già dichiarato in linea con gli standard internazionali. Rimarrebbero occasionali irregolarità come casi di voto di famiglia, intimidazioni, disguidi tecnici e così via, ma la valutazione è comunque "generalmente positiva". Per altri paesi sarebbe normale routine, ma per la Macedonia è un risultato di tutto rispetto: da ogni dove piovono congratulazioni, come se il paese uscisse vittorioso da una guerra. Secondo la stampa, i macedoni dovrebbero essere orgogliosi. Qualcuno dovrebbe chiedere di cosa. Di non essersi ricoperti ancora una volta di vergogna, tanto per cominciare. Il voto dello scorso anno fu una farsa macchiata di violenza – la regola più che l’eccezione, in Macedonia. Lo scorso novembre, proprio a causa di questo disastro elettorale, il paese ricevette un report bruscamente negativo dalla Commissione Europea e si vide negare una data per l’inizio dei negoziati con l’UE. Un voto libero e corretto era la condizione primaria stabilita dalla Commissione Europea anche solo per considerare la possibilità di una (mitologica) liberalizzazione dei visti entro fine anno, nonché e una possibile data per l’inizio dei colloqui d’accesso. Per fortuna i politici macedoni – principali responsabili delle irregolarità elettorali – hanno avuto la decenza di contenersi e comportarsi bene. Anche il massiccio dispiego di polizia ha contribuito a far sì che tutto filasse liscio.

Le elezioni saranno probabilmente ricordate anche per i crudeli ed egoisti calcoli di partito che hanno privato di un’autentica possibilità due candidati validi e forti. Srdjan Kerim – diplomatico di esperienza ed ex presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – godeva secondo tutti i sondaggi del più ampio sostegno popolare, ma né l’SDSM né il VMRO hanno voluto candidarlo. I media hanno congetturato che la sua personalità troppo carismatica fosse semplicemente percepita come una minaccia dalle leadership dei due partiti maggiori. Imer Selmani, ex ministro della Sanità per il DPA e da poco alla guida del neonato partito albanese Nuova Democrazia – in apparenza un personaggio rispettabile e amato – correva per essere il primo presidente non macedone etnico. Essendo riuscito a conquistare una quantità significativa di voti macedoni etnici, avrebbe potuto accedere senza problemi al secondo turno – se non gli fosse stato impedito da DUI e DPA che, fatti un po’ di conti, hanno nominato anche i propri candidati per disperdere il voto albanese. Non ci sarebbe niente di meglio di un presidente albanese per migliorare l’immagine macchiata della democrazia macedone, ma il paese evidentemente non ci è ancora arrivato.

Queste elezioni hanno anche visto il ritorno di due outsider. L’ex ministro degli Interni Ljube Boskovski, assolto e rilasciato l’estate scorsa dopo quasi quattro anni di reclusione all’Aja per presunti crimini di guerra, ha corso come candidato indipendente senza il sostegno del partito d’origine VMRO. Pur senza passare al ballottaggio, ha avuto un seguito significativo al primo turno e potrebbe ora decidere di fondare un proprio partito. Il secondo è Rufi Osmani – eroe delle proteste albanesi dal 1997, quando rifiutò di togliere la bandiera albanese dal palazzo del Comune di Gostivar. Processato e imprigionato in seguito agli scontri con la polizia e alle vittime, fu graziato dal presidente Kiro Gligorov dietro pesanti insistenze della comunità internazionale, per poi dedicarsi di recente all’insegnamento. Candidatosi di nuovo a Gostivar, ha sconfitto nettamente il candidato DUI.

Dopo le molte elezioni svoltesi negli ultimi anni, tutte tese e controverse, i cittadini macedoni ne hanno fin sopra le orecchie di politica. Adesso è ora che i politici si rimbocchino le maniche. Il prossimo voto – si spera – non sarà prima del 2012.

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