SEE: di nuovo in treno
I treni nei Balcani. Un testo curato dall’Osservatorio pubblicato sul numero di dicembre della rivista Amicotreno.
La piazza della Transalpina a Gorizia è una piccola Berlino italiana dove il muro non è mai caduto. Una rete metallica la divide a metà. Dall’altra parte Nova Gorica e la facciata inizi novecento della sua stazione dei treni. Di lì una linea ferroviaria marginale porta sino al lago di Bohinj e poi girando, come l’ansa di un fiume, raggiunge Lubiana. E’ una delle più antiche dell’intera area balcanica e venne terminata nel 1906. 57 anni prima era stata costruita la tratta tra Vienna e Lubiana, l’attuale capitale slovena si trovava infatti sul corridoio strategico che collegava la capitale dell’Impero Austro-ungarico al porto di Trieste. La rete ferroviaria si è poi articolata, ampliata, diramata sempre più a sud. Con alcune pause durante le due guerre mondiali e non con molto entusiasmo nel secondo dopoguerra dato che il partito socialista jugoslavo aveva scommesso sul trasporto su gomma. Poi un embolo, che ne ha congestionato le arterie: l’implosione della ex-Jugoslavia.
"Sono tra i pochissimi passeggeri, forse una ventina, diretti a sud est su un treno per Lubiana e Fiume" ha scritto Slavenka Drakulic, una delle più quotate giornaliste della ex Jugoslavia, tra le prime – nel suo Balkan Express – a descrivere la fine di questo Paese guardando oltre gli stereotipi "… non sentiamo nemmeno un po’ di quel cameratismo che di solito si instaura tra compagni di viaggio … sembra che abbiamo paura di scambiarci parole che potrebbero intrappolarci in questo piccolo scompartimento, dove le nostre ginocchia sono così vicine che quasi si sfiorano. Se parliamo la nostra lingua rivelerà chi è croato e chi è serbo, chi di noi è il nemico. E anche se fossimo tutti croati (o serbi) potremmo non essere d’accordo sulla guerra". E’ così che la tragedia non ha solo bloccato il procedere di vagoni e locomotive ma è penetrata fin nelle intimità degli scompartimenti, distruggendo quel luogo di socialità che hanno sempre rappresentato.
La tratta Zagabria-Belgrado venne interrotta fin dal 1991, vicino al confine tra Croazia e Serbia i binari furono minati e l’acciaio con il quale erano costruiti si è subito trasformato da resistente supporto alla velocità a docile vittima dell’esplosione. Anche in Bosnia i treni smisero di viaggiare, se non su piccole tratte marginali, tra il 1992 ed il 1995. E’ allora che nascono addirittura tre differenti compagnie ferroviarie, la Zelenicke Bosne i Herzegovine per i musulmano-bosniaci, la Zelenicke Srpske nelle aree controllate dai serbi e la croata Zelenicke Herzeg Bosna. Ma sono scatole vuote.La penisola balcanica viene divisa in due. Il rapido per Budapest che parte da Venezia – porta per l’Oriente, in passato come adesso, con la differenza che dai canali della laguna ci si è spostati allo svincolo di Mestre – non passa più per Belgrado, resta alto, dimentica il sud. Solo una volta arrivati a Budapest si può voltarsi indietro e scendere più a sud, a Belgrado e poi più giù verso il Montenegro e la Macedonia.
E la rete ferroviaria è divenuta nel tempo di un incredulo sospiro da metafora di unità e fratellanza a metafora del dialogo che non c’era più, carnificazione meccanica dell’odio etnico. Gli scarti dei binari, che gli ingegneri di Tito avevano progettato lungo tutti i confini con i Paesi vicini per evitare che nel caso di una ipotetica invasione della Jugoslavia gli eserciti nemici avessero vita troppo facile, è come se si fossero riprodotti all’interno di tutto il Paese: mine, tratte bloccate, ponti esplosi, incuria, mancata elettrificazione.
Ora la situazione sta migliorando e si sta normalizzando. Milosevic è in una cella del Tribunale Internazionale dell’Aja ed altri responsabili di quella tragedia non sono più al potere. "Under construction" recitano molte pagine dei siti ufficiali della maggior parte delle compagnie ferroviarie sorte dalla disgregazione della ex-Jugoslavia. Ed è proprio così: lavori in corso. Alcuni collegamenti altamenti simbolici sono ripartiti. Nel 1997 i trasporti merci hanno iniziato a ripercorrere la tratta Zagabria-Belgrado, l’anno dopo è stata la volta dei treni passeggeri. Ora un treno collega finalmente Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina e Banja Luka, città principale nell’area del Paese dove vive la comunità serba, per poi proseguire verso Zagabria. Questa linea non si era mai interrotta dalla sua costruzione ai tempi dell’Impero austro-ungarico e nemmeno durante le due Grandi Guerre. Questa volta invece è accaduto e ci sono voluti ben cinque anni dalla fine del conflitto perché venisse riattivata. "Assurdo pensare ai collegamenti con l’estero se il nostro sistema interno è lungi dall’essere integrato" commentava Narcis Dzmur, direttore delle Ferrovie della Federazione BiH, in occasione lo scorso giugno del centenario dalla apertura della prima tratta ferroviaria in Bosnia Erzegovina. Quest’ultimo è comunque ottimista. "Per quanto riguarda i treni merci la situazione è da tempo migliore. Le ferrovie BiH hanno un traffico merci con quasi tutti i principali Paesi europei. Nel 2001 sono state trasportate ben 3.761.000 tonnellate di merci, il 18% in più rispetto all’anno precedente". Il traffico commerciale, come spesso accade, viaggia in "prima classe" e si sta rivelando un utile volano che porta ad una progressivo rafforzamento delle relazioni tra i Paesi dell’intera area.
Anche il martoriato Kossovo, provincia che è ancora in bilico tra il possibile riacutizzarsi della crisi ed una progressiva normalizzazione, si può osservare e capire un po’ meglio dal finestrino di un treno. Lo scorso ottobre è partito da Pristina, la capitale della regione, un treno diretto verso il nord della regione. I passeggeri erano giovani di tutte le appartenenze, ma anche stranieri che lavorano per organizzazioni umanitarie. Si procedeva ad andatura di marcia, scortati dalle camionette delle forze internazionali di pace. Al centro del treno una carrozza allestita con tendoni,luci ed amplificatori ed un DJ di una radio di Pristina che "girava" dischi techno. Una sorta di party su rotaie dove si sono incontrati a far festa, per la prima volta dopo il conflitto, serbi, albanesi, rom ma anche tedeschi, italiani, francesi, canadesi. "Peace train" è stata chiamata l’iniziativa promossa da una radio di Pristina e da una di Belgrado e finanziata dal Foreign Office britannico. Negli stessi giorni però, a far ricordare la complessità della situazione, le sassate e gli insulti contro un altro treno pieno di passeggeri serbi che attraversavano da sud a nord il Kossovo.
E’ una riscoperta il treno nei Balcani benché anche nelle stazioni ferroviarie si respiri la delusione legata ad una situazione economica stagnante, ad una transizione dolorosa e più lunga di quanto ci si potesse aspettare, ai processi democratici che solo raramente vanno a braccetto con un migliore livello di vita. "Senza investimenti di un certo valore i treni non hanno futuro in Bosnia" chiariva un dirigente delle ferrovie bosniache. E sempre più spesso a fare da eco agli annunci in stazione non è lo sferragliare delle locomotive ma gli slogan dei lavoratori in sciopero. In Serbia ad esempio i lavoratori hanno protestato per mesi rivendicando aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.
La situazione difficile delle ferrovie in Serbia e Montenegro, ma anche l’importanza che esse hanno per la rinascita del paese, è stata ben delineata anche in una conferenza organizzata dal G17, rete di esperti di aiuto ai cittadini, tenutasi all’inizio dell’anno scorso. In tale sede non solo venne stilata la lista, lunghissima, delle inefficienze del settore, ma anche del mancato avvio delle ricostruzioni e modernizzazioni promesse e mai mantenute dai governi precedenti. Risulta infatti che le Ferrovie Serbe abbiano la metà dei vagoni per trasporto passeggeri e due terzi dei vagoni merci vecchi più di 25 anni, mentre solo un terzo delle locomotive che possiede sono funzionanti. Risultano necessari 1,2 miliardi di Euro per rivitalizzare completamente il settore, che soffre oggi di debiti per 420 milioni di dollari e la necessità di licenziare circa 15.000 lavoratori.
Si spera che dalla firma del finanziamento per un valore di 57 milioni di Euro ottenuti dalla Banca Europea e della concessione di crediti per circa 70 milioni di Euro nella primavera del 2002 per progetti urgenti di ricostruzione delle infrastrutture ferroviarie, ne consegua un concreto miglioramento del settore.
La richiesta di aiuto alla comunità internazionale per rimettere in piedi un sistema ferroviario al collasso è una costante in tutti gli stati nati dalla disgregazione, purtroppo cruenta, della ex-Jugoslavia. Non fa eccezione la Croazia, paese che ha rivisto quest’estate livelli di presenze turistiche degli anni pre-guerra, il cui governo si è ritrovato nel 1999 a far visita alla sede di Washington della Banca Mondiale per ottenere i fondi necessari alla ricostruzione delle proprie ferrovie. Venne allora firmato un accordo del valore di 85,4 milioni di Euro per un’opera di modernizzazione che il coordinatore per l’Europa sud-orientale della Banca Mondiale – Christian Portman – definì vitale "perché il funzionamento delle ferrovie di ciascun stato hanno una grande importanza, sia sul piano politico sia su quello economico". E sebbene abbiano rivisto la luce anche piccoli treni ad uso escursionistico per visitare luoghi di montagna e aree verdi situati nel centro del paese, oppure treni organizzati in stretto legame con manifestazioni gastronomiche, feste tradizionali o destinati ai visitatori più piccini come il treno "Tin-express", il lavoro da fare è ancora moltissimo. Soprattutto per ripristinare le numerose tratte di collegamento con i Paesi confinanti come Serbia e Bosnia Erzegovina, a dimostrazione che le ferrovie sono lo specchio dell’evoluzione dei rapporti politici e sociali tra questi Paesi.
Non si può certo dire che i treni siano ritornati a sfrecciare nei Balcani visto che spesso le andature di marcia non superano i 60 km orari. Ma sono ripartiti e sono sempre più i paesaggi che si vedono scorrere dai finestrini. Paesaggi di una regione che ricerca, anche nelle due chiacchiere con il controllore o con un compagno o una compagna di viaggio, una vita di nuovo normale.
(Ha collaborato anche Davide Sighele)