Seconda guerra mondiale: il salvataggio degli ebrei in Jugoslavia e Dalmazia
Erano circa 78 mila gli ebrei che vivevano nei territori dell’allora Regno di Jugoslavia quando il 12 aprile 1941 i nazisti entrarono a Belgrado. La maggior parte fu vittima dell’Olocausto, ma alcune migliaia si salvarono grazie all’esercito italiano. Un libro ricostruisce la vicenda
Durante la Seconda guerra mondiale, nelle zone della ex Jugoslavia occupate da italiani e tedeschi, gli alleati croati ustascia di Ante Pavelić non furono certo inferiori per ferocia ai nazisti nei confronti degli ebrei (e dei serbi e dei rom). Anzi, in taluni casi – escluso l’uso, dei forni crematori – furono peggiori.
I massacri erano tali che allo scopo di indicare il disagio che questi procuravano alle forze di occupazione, obbligate a non intervenire per porre termine ad essi “era stato deciso di non issare più le bandiere italiana e germanica davanti al comando ustascia”. Di più, ci furono operazioni da parte dell’esercito italiano che, in barba alle leggi razziali, furono decisamente mirate in Dalmazia a salvare gli ebrei dalla persecuzione sia dai massacri degli ustascia che dall’avvio ai campi di sterminio da parte dei nazisti.
Una ricerca su questa pagina di storia poco conosciuta, al contrario di quella che giustamente riconosce la feroce repressione italiana delle popolazioni slovena e croata in obbedienza agli ordini impartiti dal generale Mario Roatta, è stata compiuta dallo zaratino Gino Bambara, storico, ma che ha anche partecipato agli eventi del Secondo conflitto mondiale in Grecia e Jugoslavia come ufficiale della divisione di fanteria Murge.
Ne è uscito un libro di grande interesse, ben documentato e scritto, dal titolo “Židov”, cioè ebreo, che era poi il marchio di riconoscimento di colore giallo imposto dagli ustascia sul braccio degli ebrei, edito da Mursia nella collana “Testimonianze fra cronaca e storia” dedicata a “Trieste e la questione dalmata-istriana”, che conta ormai una dozzina di titoli.
Il sottotitolo di “Židov” è esplicito della ricerca: “Il salvataggio degli ebrei in Jugoslavia e Dalmazia e l’intervento della II armata 1941-1943”, che rivela anche la complessità dell’animo umano, stando al fatto che lo stesso generale Roatta a cui va ascritta l’accusa di aver dato il via a criminali e vergognose azioni di repressione in Slovenia e Croazia, si è viceversa rivelato un sostenitore del salvataggio degli ebrei con l’accortezza di non mandare gli ebrei in Germania, come Mussolini accondiscendendo a una richiesta tedesca aveva ordinato, trovando il modo di trattenerli in più sicure località delle isole dalmate secondo criteri di indubbia umanità.
Ciò produsse ben presto, sulla questione degli ebrei rifugiati, una serie di relazioni diplomatiche molto difficili con i tedeschi “come si arguisce da una nota di Ribbentrop del 26 settembre 1942, rivolta all’ambasciatore a Zagabria Kashe, attinente agli aspetti politici, economici e militari dei rapporti tra le potenze dell’Asse e tra queste e la Croazia nei territori occupati. Si riteneva che le norme anti-ebraiche fossero state applicate soltanto nella Croazia settentrionale e che, al contrario, nel sud la decisione di Mussolini non avesse avuto ancora seguito”.
Una decisione alla quale lo stesso Mussolini, di fronte alle argomentazioni del generale Robotti che si rivolse al duce dicendogli espressamente di essere contrario, per ragioni umanitarie, alla consegna degli ebrei, venne meno consigliando tecniche dilatorie come quelle, ad esempio, di dire ai tedeschi di non avere “imbarcazioni per trasportarli via mare fino a Trieste, dato che via terra non è possibile farlo”. Era stata quindi un’operazione, quella del salvataggio degli ebrei in Dalmazia, che aveva avuto risvolti più ampi di quelli limitati alla buona volontà di pochi. Anche se, naturalmente, ci fu chi, come ad esempio il comandante della II Armata, Giuseppe Pièche, generale dei carabinieri, dopo la guerra ricevette una citazione speciale da parte dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia per i suoi sforzi coraggiosi a favore degli ebrei.
Gino Bambara nel suo libro riporta molte testimonianze di ebrei croati salvati dagli italiani, di qual era la loro vita nei diversi campi di raccolta, considerato che erano concentrati in alberghi, palazzi, edifici adiacenti, in cui poter assicurare il funzionamento di tutti i servizi necessari alla vita degli internati, trattati sempre per il meglio anche se in tempi di penuria: avevano ad esempio, per quanto riguarda la distribuzione del cibo, il trattamento alla pari di quello dei soldati italiani. Per il resto erano liberi di circolare e senza obbligo di rispondere ad appelli quotidiani.
Naturalmente c’era anche chi, tra gli italiani, vedevano con poca simpatia questo salvataggio. Ad esempio il generale Ugo Cavallero, filo-tedesco, tanto da far temere al filo-ebraico Roatta che quello non attendesse altro che “l’occasione per accusarlo di sedizione a causa di qualche suo ordine imprudente”.
Alla fine, la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943 e, poche settimane dopo, l’8 settembre dello stesso anno, con la firma dell’armistizio, cambiò tutto. Sicuramente, però, quanto era stato fatto fino ad allora contribuì a salvare molti ebrei dai campi di sterminio. Ad esempio, degli ebrei internati ad Arbe sopravvissero alla guerra in 2180, ai quali sono da aggiungere quelli che dopo il luglio 1943 si trasferirono in Italia con il consenso delle nostre autorità.