Scuola per l’infanzia in Kosovo: gli atelier, luoghi dei cento linguaggi
Edi Puka è la direttrice di una scuola per l’infanzia in Kosovo, da alcuni anni coinvolta nel progetto Pedakos, incentrato sulla prima infanzia e che ha le proprie radici nel territorio di Reggio Emilia. Un’intervista
Il territorio di Reggio Emilia ha sviluppato a partire dal secondo dopoguerra rilevanti competenze in merito all’educazione per la prima infanzia che hanno portato alla definizione del cosiddetto Reggio Emilia Approach, conosciuto in tutto il mondo. Al cuore di questa filosofia educativa vi sono gli atelier, luoghi che, citando dal sito del Centro Internazionale Loris Malaguzzi, che è custode di questo particolare sistema educativo, “sono ambienti che promuovono conoscenza e creatività, suggeriscono domande e fanno nascere suggestioni. È bellezza che produce conoscenza e viceversa. È il luogo dove si agiscono i cento linguaggi . Dai nidi e dalle scuole comunali di Reggio Emilia, dove sono nati e dove continuano ad essere parte integrante del progetto educativo complessivo, gli Atelier si sono espansi fino a comprendere anche l’età adulta”.
È proprio dal racconto di questi ultimi che esploriamo il mondo della prima infanzia in Kosovo con un’intervista a Edi Puka, direttrice della scuola per l’infanzia di Pristina “Centro sociale educativo SOS” che ha recentemente partecipato assieme a molte colleghe ad una visita studio proprio nel territorio reggiano.
Quale tra gli atelier che ha seguito in questa settimana a Reggio Emilia quello che l’ha colpita di più?
L’atelier dedicato alle luci e alle ombre che abbiamo seguito presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi .
Grazie al progetto Pedakos avete iniziato a realizzare degli atelier anche presso la vostra scuola per l’infanzia in Kosovo…
Abbiamo realizzato un cosiddetto “Atelier Natura”, struttura in legno nel cortile della nostra scuola dove sviluppare specifiche esperienze educative. Ha colpito tutti, sia i genitori che la comunità locale in generale. Molti sono passati, curiosi, a vedere cosa stavamo facendo.
È stato un ottimo modo per iniziare ad introdurre con tutti il percorso che abbiamo avviato sul Reggio Emilia Approach.
Quali le attività che si svolgono in questo spazio?
Ad esempio la più recente è stata concentrarci sul ciclo della crescita delle piante, seminando ad esempio alcune varietà di fiori. Sono attività che facevamo anche prima, ma in modo meno strutturato e non con la consapevolezza legata al Reggio Emilia Approach. Abbiamo dato centralità alle idee dei bambini, gli educatori hanno documentato tutte le fasi dell’attività. E sul percorso dei bambini il tutto ha avuto un effetto più intenso che in passato.
In questi giorni con voi a Reggio Emilia ho visto che si dà tanto spazio alla documentazione…
La fase di documentazione è molto importante perché viene registrato tutto il percorso che ciascun bambino fa. Implica per noi un cambio di mentalità. Come dicevo prima abbiamo spesso realizzato vari progetti ma non li abbiamo mai documentati come non abbiamo documentato l’attività del singolo bambino.
Molto spesso a scuola ci siamo trovati a fare domande, noi educatori, ed ottenere risposte dai bambini. Con l’approccio Reggio Emilia, infatti, è il bambino, con le sue richieste e domande, a far partire l’intero processo e tutto fluisce da lì. È questo un approccio che garantisce ai bambini l’opportunità di costruire competenze attraverso attività che svolgono da soli.
All’inizio per documentazione avevamo capito che occorreva fare una foto, e con quella foto pensavamo di riuscire a raccontare tutto. Ora abbiamo compreso che la documentazione deve riuscire a documentare l’intero processo. Ad esempio vanno documentate anche le domande fatte dagli insegnanti e le stesse modalità di porle.
In questi giorni di visita a Reggio Emilia ha sentito le sue competenze professionali valorizzate?
Sì, ogni momento è stato interattivo e le nostre competenze riconosciute.
Sono anni in cui si parla molto di ambiente, un atelier come quello sulla natura è riuscito a influenzare lo sguardo di educatrici e genitori su questo tema?
Partirei dal principio. Uno dei punti di forza dell’approccio Reggio Emilia è la collaborazione delle scuole con la comunità ed in particolare con i genitori. Su questo abbiamo ancora molto da fare. Non significa che non vi sia cooperazione ma occorre fare in modo che i genitori siano parte della scuola e si lavori insieme. Per noi, qui a Reggio, è stato di grande ispirazione l’incontro con un genitore che ci ha raccontato come loro sono coinvolti nelle attività e collaborano alla loro ideazione. Serve molto impegno per andare in questa direzione ma è quanto mai necessario. Per arrivare fino a qui a Reggio Emilia sono serviti molti anni, ora abbiamo la fortuna di avere davanti a noi un esempio e la strada è spianata, occorre solo essere aperti al cambiamento.
Questi in Kosovo sono anni di grandi cambiamenti, è ottimista o pessimista sul settore della prima infanzia in Kosovo?
Se dico di essere pessimista chi mi è vicino dirà che non è la Edi che conoscono: sono per natura ottimista. Penso che sia stato fatto molto in Kosovo, soprattutto in termini di partecipazione. Quando c’è una buona comunicazione tra il personale, la dirigenza, il comune, genitori e ministero penso si possano ottenere ottimi risultati. Alcuni passi importanti sono stati fatti, occorre continuare in quella direzione.