Saša Leković: peggiora la libertà dei media croati

Per la seconda volta in due anni la Croazia è stata visitata da una delegazione di associazioni per la difesa della libertà dei media. Un primato per un membro dell’UE, purtroppo negativo. Ne parliamo col presidente dell’Associazione dei giornalisti croati

17/01/2018, Giovanni Vale, Jelena Prtorić - Zagabria

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Saša Leković

Dopo una prima visita nel 2016 e la pubblicazione del rapporto Croatia: Media Freedom in Turbulent Times, una delegazione di diverse associazioni di tutela della libertà di stampa (tra cui Reporters sans frontières , l’Association of European Journalists e la South East Europe Media Organisation ) il 16 gennaio è tornata a Zagabria. Il governo di Tihomir Orešković, che aveva destato preoccupazioni per le misure adottate nei confronti dei media, ha nel frattempo lasciato spazio all’esecutivo di Andrej Plenković, ma senza cambi significativi riguardo alla difesa della libertà dei media e del lavoro dei giornalisti. Pauline ADES-MEVEL responsabile Balcani per Reporters Sans Frontières durante l’incontro ha detto: "Dal suo ingresso nell’Ue la Croazia ha perso dieci posizioni nell’indice di RSF sulla libertà di espressione. Anche in Bulgaria la situazione è peggiorata dall’ingresso nell’Ue (e oggi il paese è l’ultimo di quelli Ue in quanto a libertà di espressione). Speriamo dunque che la Croazia non segua l’esempio della Bulgaria". Ne abbiamo parlato con Saša Leković, il presidente dell’Associazione dei giornalisti croati (HND – Hrvatsko novinarsko društvo ), presente all’incontro con la delegazione.

Come mai questa seconda missione in Croazia?

La Croazia è l’unico stato membro dell’Unione europea nel quale la delegazione si reca per la seconda volta in due anni. È una dimostrazione di quanto negativa sia la situazione in questo paese. Una cosa del genere non è successa da nessun’altra parte, neanche in Ungheria o in Bulgaria, che spesso sono dipinti come i peggiori paesi in quanto a libertà dei media.

Che cosa sta succedendo in Croazia?

Un peggioramento delle condizioni della stampa era visibile già da un po’ di tempo, ma è diventato evidente negli ultimi due anni, da quando è arrivato al potere il governo Orešković e soprattutto per il modo in cui Karamarko [ex presidente dell’HDZ, ndr.] ha gestito la questione dei media e la libertà di espressione in generale. È diventata celebre la sua frase – che in verità non riguardava solo i giornalisti – secondo cui “tra le quattro mura di casa tutti possono dire e pensare quello che vogliono, ma non possono fare lo stesso in pubblico”.

Nello stesso periodo è stata creata anche l’associazione dei giornalisti HNIP (Hrvatsko društvo novinara i publicista ), che di fatto è un’organizzazione politica. Enti simili (ovvero organizzazioni della stampa parallele a quelle già esistenti) sono stati creati in passato in Slovenia ai tempi del governo Janša o in Macedonia, sotto il governo Gruevski. Il loro obiettivo era quello di danneggiare la professione e, nel caso croato, l’Associazione dei giornalisti croati (HND). Non ce l’hanno fatta, ma hanno raggiunto un altro obiettivo, ovvero quello di prendere il controllo della radiotelevisione croata, la HRT.

Il servizio pubblico è sempre stato un “bottino di guerra” per chi sale al potere, ma, dagli anni Novanta in poi, la situazione non è mai stata tanto allarmante. Più di 70 persone sono state licenziate senza nessuna spiegazione [dopo l’arrivo al governo del premier Orešković, ndr.] e ai loro posti sono stati nominati membri della HNIP o quelli che erano a loro vicini.

Qual è l’utilità di questa nuova visita della delegazione. La pressione della comunità internazionale può veramente cambiare qualcosa?

La delegazione che ha fatto visita alla Croazia (foto G. Vale)

La delegazione che ha fatto visita alla Croazia (foto G. Vale)

La missione dell’Associazione dei giornalisti croati (HND) è di combattere a favore della libertà di espressione, della libertà dei media e della possibilità per i giornalisti di fare il loro lavoro in modo professionale, nel rispetto della deontologia giornalistica.

Dopo la sua ultima visita, la delegazione ha pubblicato un rapporto sullo stato dei media in Croazia e ha avvertito le autorità di non permettere più queste pratiche che, di fatto, minacciano i giornalisti. Le autorità non hanno fatto nulla.

Ora, potremmo anche fermarci qui, dire che non abbiamo ottenuto niente l’ultima volta e che quindi non c’è nessuna utilità in una seconda visita. Però se non facciamo niente, non ha senso fare questo lavoro… Il mio compito è quello di puntare il dito contro le irregolarità e i problemi, allo stesso modo in cui il compito dei politici è quello di creare un quadro legale che permetta ai giornalisti e ai media di lavorare professionalmente e senza pressioni.

La legge croata comunque punisce chi minaccia o attacca i giornalisti…

Certo, ma dipende dal tipo di minaccia o di attacco. Nella maggioranza dei casi, diciamo che non si arriva nemmeno a sapere chi è il responsabile…

Solo nei casi in cui la persona responsabile non ha nascosto la sua identità o ha fatto delle minacce da un profilo che porta il suo vero nome, o dal suo numero di telefono, la polizia trova i colpevoli (il che non è molto difficile). Ma se i responsabili hanno creato dei profili online ad hoc solo per poter minacciare i giornalisti, o se hanno inviato delle lettere anonime senza le loro impronte digitali, in quei casi, la polizia non conclude nulla.

Negli ultimi anni hanno abbiamo avuto molti casi di minacce contro i giornalisti, sia verbali che fisiche. Ma anche se un caso arriva in tribunale, la pena massima è la libertà vigilata, per cui nessuno è mai finito in prigione.

E qual è la reazione delle autorità? In Serbia, ad esempio, è capitato recentemente che le autorità attaccassero verbalmente i giornalisti direttamente. In Croazia?

C’è una differenza nel metodo con cui si impedisce ai giornalisti di fare il loro lavoro, ma il risultato finale è lo stesso.

È vero che in Serbia le autorità “saldano i conti” con i giornalisti in un modo molto più aggressivo: li accusano di essere delle spie, dei mercenari pagati dall’estero, o di voler organizzare un attentato contro Vučić… Il panorama mediatico poi è diverso. In Serbia ci sono almeno due portali investigativi molto importanti, CINS e KRIK , che fanno belle indagini e danno fastidio alle autorità, ma per il resto, la maggior parte dei media è al servizio del governo: i tabloid (che sono anche i giornali più venduti e letti) e i canali televisivi che aiutano il governo ad attaccare i giornalisti.

In Croazia i tabloid di questo tipo non esistono, ma ci sono molti siti web che fanno un lavoro simile, anche se, bisogna dirlo, non hanno così tanti lettori e tanto impatto come i tabloid in Serbia. Inoltre, il governo croato non è tanto compatto. La coalizione al potere è composta da molte fazioni e anche l’HDZ non è un partito compatto.

Il problema, però, è che il governo non protegge i giornalisti, ma li ignora. Il nuovo esecutivo non ha tenuto in nessun conto i nostri avvertimenti riguardo alle minacce contro i giornalisti, alla censura, e insomma a tutti i problemi che minacciano la libertà di stampa. Peggio, ci sono stati anche uomini politici che hanno attaccato i giornalisti in pubblico. E soltanto di recente il premier Plenković ha detto che “non bisogna attaccare i giornalisti”, ma si tratta di una sola frase, mentre di solito non si esprime sulle minacce.

Ha detto che negli ultimi anni in Croazia sono nati molti siti web che in qualche modo danneggiano la libertà di stampa. Chi si nasconde dietro di loro, si tratta di un vero movimento o restano un fenomeno marginale?

Per quanto ne so, non è stata fatta alcuna ricerca sul profilo dei proprietari di questi siti. Ma anche se è vero che non hanno un grande pubblico, non bisogna sottovalutarli perché si tratta di una tendenza molto seria, visto che il governo non difende i giornalisti. Se il governo mostrasse fermamente che non si possono minacciare i giornalisti o pubblicare delle fake news senza essere puniti, l’importanza di questi siti sarebbe minore.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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