Sarajevo: un po’ di speranza

Ad un paese che fatica a ritrovare se stesso il Sarajevo Film Festival, giunto alla sua 23ma edizione, cerca di dare un po’ di speranza. Una rassegna

11/08/2017, Nicola Falcinella -

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Un'immagine tratta da “L'altro volto della speranza” del finlandese Aki Kaurismaki

Spetta a uno dei più bei film dell’anno l’onore di inaugurare stasera il 23° Sarajevo Film Festival (informazioni www.sff.ba ) in programma fino a sabato 18. È “L’altro volto della speranza” del grande finlandese Aki Kaurismaki una storia divertente e toccante di immigrazione e incontro, sullo sfondo di una Helsinki attuale e fuori dal tempo: fin dalle scenografie e dagli oggetti il regista si ribella ai tristi tempi moderni. Un sessantenne che vuole cambiare la sua vita si imbatte in un rifugiato dalla Siria che ha perso la sorella durante un viaggio rocambolesco lungo la rotta Balcanica e la vuole ritrovare. Un film carico di umanità e con un po’ di speranza, anche se va cercata nell’altro lato, quello meno visibile e rumoroso, della società.

Un avvio che rappresenta una netta scelta di parte, e non potrebbe essere diversamente, per una manifestazione consolidata che richiamerà nella capitale bosniaca tanti protagonisti del cinema contemporaneo e offrirà una panoramica sulla produzione recente della regione e non solo. Due premi alla carriera, gli Honorary Heart of Sarajevo, andranno quest’anno al regista Oliver Stone e all’attore John Cleese già Monty Python.

La struttura del festival resta inalterata con il suo centro al Teatro Nazionale e all’arena Open Air, per i film più popolari e di richiamo, ma anche i tanti luoghi di proiezione e incontro. Confermati i concorsi lungometraggi, documentari e cortometraggi riservati ai lavori del sudest Europa inteso in senso ampio, dalla Germania alla Georgia. Poi le arene, In Focus, Kinoscope, la sezione per i bambini, i diritti umani, poi il tributo all’ospite Joshua Oppenheimer (regista degli importanti “The Act of Killing” e “The Look of Silence”) e il BH Festival, festival nel festival dedicato alla produzione bosniaca dell’anno.

Nel concorso lungometraggi ci sono sette titoli, di cui tre prime mondiali, mentre per la prima volta non c’è alcun rappresentante dell’ex Jugoslavia. Spicca “Grain” del turco Semih Kaplanoğlu, già vincitore dell’Orso d’oro di Berlino con “Bal – Miele”, una presenza che può essere interpretata anche negativamente: se festival più grossi non l’hanno selezionata, sorge qualche dubbio sulla riuscita dell’opera di Kaplanoğlu e solo la visione e l’accoglienza potranno fugarlo. Ci sono poi due esordi, “Daybreak – Dita zë fill” dell’albanese Gentian Koçi (coproduzione Albania / Grecia) e “Meda or the not so bright side of things – Meda sau partea nu prea fericita a lucrurilor” del romeno Emanuel Pârvu. Reduce dal Festival di Cannes, dove concorreva nella sezione Un certain regard, è “Directions – Posoki” del bulgaro Stephan Komandarev, buon film corale quasi tutto sui taxi di Sofia. Due i film dalla Georgia, che si conferma nazione molto in vista: “Hostages – Mdzevlebi” di Rezo Gigineishvili (produzione Georgia, Russia, Polonia) e “Scary Mother – Sashishi deda” dell’esordiente Ana Urushadze. Infine “Son of Sofia – O gios tis Sofias” della greca Elina Psykou (produzione Grecia/Francia/Bulgaria), che aveva debuttato con il buon “The Eternal Return of Antonis Paraskevas”.

Fuori competizione ci sono due film di registi bosniaci: l’animazione “Birds Like Us – Ptice kao mi” esordio di Faruk Šabanović e Amela Ćuhara (produzione Bosnia/Regno Unito/Turchia/Usa) e “Men don’t Cry – Muškarci ne placu” di Alen Drljević (produzione Bosnia/Slovenia/Croazia/Germania).

In Focus ci sono sei titoli, reduci dai maggiori festival europei. Su tutti emerge il film vincitore dell’Orso d’oro di Berlino, “On Body and Soul” dell’ungherese Ildikó Enyedi. Sempre dall’Ungheria c’è “Jupiter’s Moon” di Kornél Mundruczó, già in concorso a Cannes.

Molto bello, passato in Panorama a Berlino, è “My Happy Family – Chemi bedneri ojakhi” della coppia georgiana-tedesca Nana & Simon, due cineasti tra i più promettenti in circolazione, già autori di “In Bloom”.

Merita attenzione anche “Quit Staring At My Plate – Ne gledaj mi u pijat” della croata Hana Jušić, passato lo scorso anno a Venezia. Infine “Requiem For Mrs J. – Rekvijem za gospodu J.” di Bojan Vuletić, produzione Serbia/Bulgaria/Macedonia/Russia/Francia, e “When The Day Had No Name – Koga denot nemaše ime” della macedone Teona Strugar Mitevska, coproduzione Macedonia/Belgio/Slovenia.

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