Sarajevo: leggere i nomi dei bambini uccisi a Gaza
“Continueremo a parlare, protestare e chiedere giustizia finché la Palestina non sarà libera”. Questo il messaggio di un gruppo di cittadini di Sarajevo che da febbraio 2024 si riuniscono ogni settimana per leggere ad alta voce i nomi dei bambini morti a Gaza

Mess, Sarajevo, Ottobre 2025, lettura dei nomi dei bambini morti a Gaza (foto MESS/Nihad Kreševljaković)
Mess, Sarajevo, Ottobre 2025, lettura dei nomi dei bambini morti a Gaza (foto MESS/Nihad Kreševljaković)
(Originariamente pubblicato da Al Jazeera , il 10 ottobre 2025)
Ogni martedì sera, i nomi dei bambini uccisi a Gaza riecheggiano lungo la principale via pedonale nel cuore di Sarajevo, nei pressi della Fiamma Eterna, simbolo dell’antifascismo.
“Noura Walid Abdulsalam Shaheen (0 anni)… Maryam Nour Al-Din Wael Daban (0 anni)… Fatima Louay Rafiq Al-Sultan (0 anni)… Watan Mohammed Abd Al-Rahim Al-Madhoon (0 anni)… Diyaa Ahmed Abd Al-Aati Saleh Moussa (0 anni)… Sarah Abd Al-Rahman Mohammed Hamad (0 anni)…”.
Nome dopo nome, ora dopo ora, settimana dopo settimana, mese dopo mese… due anni… otto decenni… dai neonati a quelli che non sono vissuti abbastanza a lungo per raggiungere la maggiore età.
Anche se il mondo intero si mettesse in fila e leggesse quei nomi, l’elenco si protrarrebbe all’infinito.
La cultura della memoria
A Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, un piccolo gruppo di cittadini ha assunto il ruolo del mondo, come dovrebbe essere.
Sventolano le bandiere della Palestina, insieme a striscioni che chiedono libertà, pace e giustizia, e liste infinite di nomi di bambini palestinesi uccisi in quello che un’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite ha classificato come genocidio.
“… Jenan Hamid Nasser Al-Astal (un anno)… Abdulrahman Sharif Mohammed Abu-Ma’mar (un anno)… Sham Arabi Abd Al-Qader Al-Zubaidi (un anno)… Nasr Khalid Nasr Al-Jad (un anno)… Julia Fawzi Saeed Al-Kurd (un anno)…“.
La lettura dei nomi continua finché la gola non si secca e la voce diventa rauca, per poi proseguire.
La loro empatia non è astratta; affonda le radici nella loro esperienza di sopravvivenza nella Sarajevo assediata dalle forze serbo-bosniache, dal 1992 al 1995. Durante l’assedio, 1.601 bambini furono uccisi da granate e cecchini.
Radovan Karadžić, ex leader politico dei serbo-bosniaci, è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia dopo essere stato riconosciuto colpevole di genocidio a Srebrenica (1995), crimini contro l’umanità, persecuzione, omicidi e terrore contro i civili durante l’assedio di Sarajevo.
La stessa sentenza è stata emessa contro Ratko Mladić, ex comandante delle forze serbo-bosniache, condannato per il genocidio di Srebrenica, persecuzione e sterminio di civili non serbi, assedio di Sarajevo e presa in ostaggio delle forze di pace delle Nazioni Unite.
A margine dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente serbo Aleksandar Vučić – che aveva visitato le postazioni di artiglieria serbo-bosniaca intorno a Sarajevo durante l’assedio – ha incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’incontro si è svolto poco dopo il discorso di Netanyahu, boicottato da molte delegazioni che hanno abbandonato la sala in segno di protesta contro la continua distruzione e carestia a Gaza.
A sostenere apertamente Israele sono anche Milorad Dodik, leader dei serbo-bosniaci, e Dragan Čović, leader dei croato-bosniaci.
“Hani Yousef Hani Azzam (due anni)… Sila Jihad Maher Shatat (due anni)… Wateen Mohammad Salem Al-Hashash (due anni)… Julia Amjad Jamil Abu-Hussein (due anni)… Farah Salah Al-Din Khalil Baraka (due anni)… Nahla Alaa Adel Abu-Mohsen (due anni)…”.
A Sarajevo la cultura della memoria è ancora viva, insieme all’impegno per preservare la verità e trasformare il dolore, il coraggio e l’umanità in una bussola per un futuro più giusto e compassionevole.
I membri del gruppo che legge i nomi dei bambini uccisi a Gaza sono tra i più devoti custodi di quella memoria, che ora viene estesa per abbracciare la Palestina.
Recentemente hanno inaugurato il Festival internazionale del teatro MESS, il più antico festival in Bosnia Erzegovina, fondato nel 1960, e uno dei più importanti nella regione.
Nella sala gremita del Teatro Nazionale di Sarajevo, i membri del gruppo si sono uniti al direttore del festival Nihad Kreševljaković sul palco per fare quello che fanno in continuazione dal febbraio 2024 – leggere i nomi dei bambini uccisi a Gaza.
“Lana Washah (tre anni)… Sara Muhammad Khalil Khalil Asaliyah (tre anni)… Maryam Ahmad Abd Al-Raouf Al-Halabi (tre anni)… Hamza Rami Nidal Alaywa (tre anni)… Zaina Nasser Husni Musa (tre anni)…”.
“Il genocidio a Gaza dura da più di due anni. È il sintomo di un sistema che ignora la vita, la verità o la giustizia”, ha affermato Kreševljaković, denunciando il fatto che gran parte del mondo rimane in silenzio di fronte a tutta questa brutalità.
“In un momento storico in cui le guerre sembrano infinite, i confini diventano barriere di filo spinato e la sofferenza viene nascosta sotto il tappeto dell’indifferenza globale, il teatro, così come lo conosciamo, deve essere un luogo dove cercare l’umanità così da poterci riconoscere nell’altro. L’arte non deve tacere. Il teatro non deve essere un ornamento del disastro. Non deve essere una fuga dalle responsabilità”.
Uno spazio di resistenza
“Questo festival non fornisce risposte”, ha sottolineato Kreševljaković, “però solleva interrogativi e offre quello di cui la nostra società ha più bisogno: l’empatia. In un mondo che brucia davanti ai nostri occhi, l’arte deve continuare a cercare l’umanità. Questa città, questo paese e questo festival lo sanno per esperienza diretta. Il festival MESS continuerà a parlare anche quando il mondo tacerà, perché crediamo che il teatro sia uno spazio di resistenza e un invito a rimanere umani”.
“Ali Nail Naeem Okasha (quattro anni)… Saeed Hazem Saeed Al-Ramlawi (quattro anni)… Mahmoud Abd Al-Aziz Mohammed Zahir (quattro anni)… Saja Zahir Abd Al-Hakim Kaheel (quattro anni)… Baraa Ziad Anwar Abu-Mustafa (quattro anni)…”.
Al termine della lettura, non ci sono stati applausi. Il pubblico ha pianto in silenzio.
“Non ricordo di aver pianto per i morti e i feriti intorno a me a Sarajevo”, ha scritto Boris Vitlačil, che aveva tredici anni quando, nel 1992, iniziò l’assedio.
“Ecco perché ora pago il doppio. Piango allo stesso tempo per i bambini di Sarajevo e di Gaza… e per tutte le bambine e i bambini che mi hanno toccato il cuore, regalandomi un sorriso nonostante questo mondo malvagio”.
Vitlačil voleva unirsi alla Global Sumud Flottila, un tentativo disperato e umano di rompere l’assedio israeliano di Gaza.
“Se dopo Auschwitz e la vergogna che ne è seguita abbiamo creato le Nazioni Unite”, ha scritto, “allora dopo Gaza abbiamo bisogno di un’Unione delle Nazioni”.
“Lana Issa Ali Al-Sayed (quattro anni)… Dina Abdullah Khidr Mousa (cinque anni)… Ly Ahmad Muhammed Ali (sei anni)… Aya Fadi Ryad Ashour (sette anni)… Jahya Yasser Nasif Hijasi (otto anni)…”.
Tuttavia, è arrivato al porto troppo tardi: le barche erano già piene. Ha urlato, vomitato e pianto, disperato per non poter navigare verso Gaza.
“Ecco di nuovo quel Male. Orribile e terrificante. Capace di sparare ad un bambino solo per uccidere il suo sorriso. Ecco di nuovo il Male che raccoglie le persone in ‘zone sicure’ per sterminarle più facilmente. Ecco di nuovo quel Male genocidario di cui siamo tutti complici, anche se fingiamo di non esserlo”, ha scritto nel suo taccuino.
Vitlačil ritiene che il mondo debba essere rivoltato “come un calzino”.
“E dobbiamo farlo con tenerezza, non con violenza, per renderlo genuino, fondandolo sulla cura e sulla solidarietà. Un mondo di Pace e Amore. Creiamo insieme l’Impossibile!”.
Un passo verso la libertà
Recentemente, Vitlačil ha appreso la notizia di un fotografo di Gaza trasferito fuori dalla Striscia per essere curato dopo essere stato ferito da colpi di arma da fuoco. È rimasto scioccato nello scoprire che il visto concesso al fotografo era valido solo per un mese.
“Mi è sembrato disumano. Anziché imporre visti burocratici e restrittivi, dobbiamo offrire ospitalità a tutte le persone che sono diventate vulnerabili per via dei nostri interessi e privilegi. Un’ospitalità radicata nella vergogna per il mondo coloniale, individualista e neoliberista che continuiamo a sostenere”.
Nel Museo della Letteratura di Sarajevo, situato nei pressi del Teatro Nazionale, gli studenti della Facoltà di Architettura hanno organizzato una mostra di dipinti e sculture, li vendono per raccogliere fondi per una studentessa palestinese a Sarajevo.
E non sono gli unici. Sarajevo ospita la Biennale di Gaza, con la partecipazione di oltre trenta artisti palestinesi. È un atto di solidarietà, a cui si uniranno anche alcuni artisti bosniaco-erzegovesi che esporranno le opere create durante l’assedio di Sarajevo. Mostre e dibattiti si terranno in sei luoghi della città fino al prossimo 7 novembre.
Una marcia per i valori universali
“Ismal Mustafa Jameel Eid (nove anni)… Hala Fazi Faid Dawoud (dieci anni)… Nihad Ahmed Niab Adied (undici anni)… Razan Fadi Raffik Assaf (dodici anni)…”.
Domenica 12 ottobre il gruppo che legge i nomi dei bambini di Gaza ha organizzato una protesta con lo slogan “Bosnia Erzegovina per una Palestina libera”.
I cittadini si sono radunati davanti al Memoriale dei bambini uccisi nella Sarajevo assediata (1992-1995), poi il corteo è partito attraversando il centro città.
Questo è il loro messaggio.
“La tregua il primo passo verso la LIBERTÀ della Palestina! Ogni cessate il fuoco, ogni vita salvata, ogni respiro che un bambino può fare senza paura è un motivo di SPERANZA. Il cessate il fuoco non significa la libertà, però è un primo passo verso la libertà. ‘La Bosnia Erzegovina per una Palestina LIBERA’ dà voce a chi si batte affinché i crimini non vengano dimenticati e l’ingiustizia normalizzata. Non distogliamo lo sguardo. Non ci arrendiamo. Continueremo a parlare, protestare e chiedere giustizia finché la Palestina non sarà libera”.
L’architetta e professoressa Lejla Kreševljaković è consapevole di quanto il silenzio possa far soffrire.
“Come cittadini della Bosnia Erzegovina abbiamo il dovere di alzare la voce contro l’oblio e l’ingiustizia”, ha affermato Kreševljaković, considerando la marcia come “un atto civico di empatia e responsabilità, invitando le nostre istituzioni ad assumere una posizione chiara, morale e legale”.
“La nostra eredità antifascista e l’esperienza di guerra non ci permettono di tacere di fronte all’ingiustizia. È proprio questa esperienza a unirci al popolo palestinese, obbligandoci ad agire e rifiutare di approvare tacitamente quanto sta accadendo sotto gli occhi del mondo”.
Per gli organizzatori, la protesta è una marcia per i valori universali.
“Sundus Raed Nabil Farhat (tredici anni)… Ali Wisam Ali Joudeh (quattordici anni)… Siraj Alaa Nazmi Qaljeh (quindici anni)… Karim Majid Huseein Alian (sedici anni)… Asmaa Rafiq Masoud (diciassette anni)…”.
Edin Krehić è uno scrittore e giornalista di Sarajevo, premiato per i suoi romanzi, racconti e sceneggiature. È autore della poesia “Fatima”, da cui è tratta una nuova opera sinfonica eseguita dall’Orchestra Filarmonica di Sarajevo.
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