Sarajevo, la strada della nonviolenza

Venti anni dopo la fine della guerra, gruppi di veterani di opposti schieramenti si confrontano con il passato grazie al lavoro del Centro per l’Azione Nonviolenta

01/03/2016, Andrea Oskari Rossini - Sarajevo

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Veterani partecipano insieme ad una commemorazione a Laništa, Brčko (2015, Foto CNA Sarajevo/Belgrado)

Questo articolo viene pubblicato anche dalla rivista Servitium

Il Centro per l’Azione Nonviolenta (CNA) di Sarajevo si trova in Kranjčevićeva 33, nel centro della capitale bosniaca. Ci lavorano una decina di attivisti il cui obiettivo è quello di “costruire una pace sostenibile in ex Jugoslavia attraverso la promozione della nonviolenza, del dialogo e di un approccio costruttivo nei confronti del passato della regione.”

Incontro Adnan Hasanbegović nella sede dell’associazione. Uno degli aspetti forse più originali del CNA è la loro scelta di lavorare anche con i veterani delle guerre degli anni ’90. Dopo pochi minuti, Adnan mi spiega che lui stesso, un pacifista, in un’altra vita era stato arruolato, all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, e aveva combattuto nella difesa di Sarajevo. “Non puoi giudicare una persona solo perché è andata in guerra.” Secondo Adnan proprio i veterani, oggi, possono essere strumenti di cambiamento, per contrastare il clima nazionalista ancora imperante nella regione e superare le divisioni lasciate in eredità dal conflitto.

“All’inizio del nostro lavoro, subito dopo la guerra, lavoravamo solo con i civili, soprattutto con i giovani, organizzando corsi di formazione sulla nonviolenza. Ci siamo resi conto però che spesso i giovani erano già d’accordo con noi, e che avevano pochissima influenza sul dibattito pubblico. Allo stesso tempo, ci siamo accorti che molti veterani di guerra erano disponibili a lavorare sul terreno della riconciliazione. A differenza dei giovani ‘liberali’, inoltre, le posizioni dei veterani avevano un grandissimo risalto sui media locali. Persino i politici li temono, anche oggi, perché i veterani sono stati sempre rappresentati come figure quasi ‘sacre’, i costruttori della nazione.”

All’inizio degli anni 2000, il CNA ha cominciato a organizzare incontri pubblici tra ex soldati degli opposti schieramenti. “Mi sono trovato a parlare, in Serbia, dell’assedio di Sarajevo, delle mie paure, emozioni, di quello che faceva il nostro esercito”, racconta Adnan. “Nonostante le difficoltà, ho visto che questo creava empatia, era parte di un percorso di umanizzazione che contrastava l’immagine stereotipata del nemico.”

Nel tempo, i corsi di formazione alla pace gestiti dagli attivisti e dalle attiviste del CNA, che ha una sede anche a Belgrado, hanno dato vita a reti che superano i confini tra i diversi stati della regione.

“Abbiamo coinvolto diverse associazioni di veterani, ce ne sono praticamente in ogni città. Oltre ai training, che coinvolgono gruppi di 15 persone, abbiamo continuato a fare incontri pubblici, visite congiunte a luoghi dove sono state commesse atrocità, documentari. Non abbiamo mai chiesto ai veterani di sputare su ciò per cui avevano combattuto, ma di provare a immaginare qualcosa per il futuro, per la pace nella regione”.

I veterani naturalmente non sono pacifisti, mi spiega Adnan, anche se “molto spesso sono contro la guerra.” Il confronto con il passato è un tema cruciale. Secondo Adnan, il problema principale oggi è che in ex Jugoslavia le diverse comunità sono chiuse all’interno di narrazioni completamente differenti.

“Anche i veterani, in generale, faticano a uscire dalla narrativa di guerra. Nel loro caso, però, c’è una molla che li spinge a prendere la parola. Vogliono mostrare che sono esseri umani, non degli assassini. Parlare, però, non è facile. Quando si esce dalla narrativa ufficiale, ad esempio parlando dei crimini commessi dalla propria parte, ci si espone al rischio di essere etichettati come traditori. È un’accusa che viene rivolta continuamente, anche a me. Per proseguire sulla strada della pace, però, non ci sono alternative.”

Coraggio civile

Altre associazioni, a Sarajevo, hanno intrapreso questa difficile strada. Una delle più conosciute è Gariwo , il cui obiettivo dichiarato è la “educazione al coraggio civile.” La direttrice di Gariwo è Svetlana Broz, nipote dell’ex presidente jugoslavo Josip Broz Tito. La Broz, che durante la guerra ha prestato aiuto ai civili come medico, ha raccolto centinaia di testimonianze di persone che, in tutta l’ex Jugoslavia, hanno aiutato i propri vicini indipendentemente dalla loro appartenenza etnica, religiosa o nazionale. Queste storie sono confluite in un libro, I giusti nel tempo del male , che sintetizza lo spirito dell’associazione. Secondo la Broz, le nuove generazioni devono apprendere da questi esempi il coraggio di “dire di no”, sviluppare una coscienza critica che aiuti a resistere al conformismo, anche nei momenti più difficili. La strada per la pace, secondo Gariwo, passa proprio per il coraggio civile, definito come “la volontà e le tecniche per disobbedire, resistere, opporsi in maniera nonviolenta agli abusi di potere.”

All’inizio degli anni ’90 l’opposizione alla guerra, espressa da migliaia di persone nel corso di cortei e manifestazioni, non riuscì a evitare la logica degli schieramenti e l’inizio del conflitto. Una nuova generazione di cittadini, formata nelle centinaia di corsi e incontri che Gariwo tiene anche nelle scuole, potrebbe rappresentare la differenza.

Il coraggio, però, non serve solo in tempo di guerra, ma anche in tempo di pace. Uno dei premi assegnati ogni anno da Gariwo è dedicato a Duško Kondor, un professore e attivista per i diritti umani di Bijeljina, Bosnia orientale, ucciso nel 2007 perché aveva scelto di testimoniare, lui serbo bosniaco, contro i responsabili dell’uccisione di 23 bosniaco musulmani avvenuta nella sua città durante la guerra.

Nel corso della sua recente visita a Sarajevo, Papa Francesco ha parlato della pace come di un “lavoro artigianale che richiede passione, tenacia e esperienza”. A vent’anni dalla fine della guerra, nonostante una situazione politica ancora compromessa e un difficile quadro economico, sono in molti a lavorare con questo spirito, lontano dai riflettori.

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