Sarajevo, cuore d’Europa
Sarajevo ricorda oggi il centenario dell’attentato che cambiò la storia europea, innescando la crisi diplomatica che portò all’inizio della Prima Guerra Mondiale
Questo articolo viene pubblicato oggi da Osservatorio e dai quotidiani Trentino e Alto Adige
Cento anni fa l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico, era partito di buon mattino da Ilidža, sobborgo termale di Sarajevo, per recarsi nel centro della città che da pochi anni era stata annessa all’Impero Austro Ungarico. Insieme a lui c’era la moglie Sofia.
Lungo tutto il percorso, in particolare nel tratto finale, lungo le rive della Miljacka, c’erano gli attentatori.
La prima bomba non esplose. Poi Nedeljko Čabrinović lanciò la sua, che però rimbalzò sul tettuccio della vettura imperiale finendo lontana.
L’arciduca decise di continuare il suo percorso fino alla sede del Municipio, per poi riprendere il tragitto con la moglie fino all’incontro fatale con Gavrilo Princip, un giovane serbo bosniaco che apparteneva all’organizzazione rivoluzionaria “Mlada Bosna”, Giovane Bosnia.
Il movimento era composto prevalentemente da studenti, influenzati da una varietà di ideali che spaziavano dall’anarchia al socialismo rivoluzionario, al romanticismo. Alcuni, come Princip, sostenevano l’unione dei popoli degli slavi del sud in una sorta di Jugoslavia ante litteram, altri propugnavano un’unione con la Serbia dei territori balcanici sotto controllo austriaco.
Tra di loro c’erano sia serbi che croati e musulmani. La loro organizzazione, e i loro metodi, non erano un’anomalia nell’Europa del tempo.
Fatima, un’anziana sarajevese, mi ha raccontato ieri quanto sua nonna le aveva detto di quel fatidico giorno, il 28 giugno 1914. Si era recata in centro per fare degli acquisti, in un negozio che ancora oggi vende alimentari nei pressi del Latinski Most, il Ponte Latino, all’altezza del quale la vettura di Francesco Ferdinando fece la sua ultima curva. Quando si sparse la voce dell’attentato, qualcuno disse alla nonna di Fatima che il responsabile era un bosniaco musulmano.
Immediatamente la donna si mise a correre, mentre i musulmani chiudevano in fretta le saracinesche dei propri negozi. Arrivata all’altezza della Fontana di Sebilj, le dissero che non era stato un musulmano ma Princip, un serbo. Tirò un sospiro di sollievo, mentre i serbi cominciarono a scappare temendo la reazione delle autorità.
Cento anni dopo, la complessità di quel periodo storico rischia di evaporare in un dibattito segnato dall’attuale, difficile, situazione della Bosnia Erzegovina.
La Fondazione «Sarajevo cuore d’Europa» ha avviato da mesi una serie di iniziative, conferenze, mostre e spettacoli, per ricordare il centenario. La Fondazione, che riunisce rappresentanti di diversi paesi (Austria, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia e Germania) e varie organizzazioni della Bosnia Erzegovina, è stata creata su iniziativa del Comune di Sarajevo. Molte iniziative sono sostenute dall’Unione Europea.
L’obiettivo dichiarato è quello di inviare da Sarajevo un messaggio di pace al mondo, “dopo 100 anni di guerre vogliamo 100 anni di pace”. Obiettivo complementare è quello di cambiare il “brand” di Sarajevo, il topos simbolico che circonda questa città. Non più Sarajevo come luogo del conflitto e dell’instabilità, come è stato nel corso del Novecento, ma simbolo di pace.
Il momento culminante delle celebrazioni sarà il concerto della Filarmonica di Vienna che si terrà questa sera nella rinnovata Vijećnica, la Biblioteca (allora sede del Comune) da cui cento anni fa Francesco Ferdinando e la moglie Sofia intrapresero il loro ultimo viaggio.
L’abbraccio tra Vienna e Sarajevo, cento anni dopo, non riesce però a nascondere la riconciliazione che non c’è tra serbi, croati e bosniaco musulmani. Mentre infatti i riflettori del mondo si accendono su un evento di 100 anni fa, il convitato di pietra è la guerra recente, quella degli anni ’90.
Il centenario sembra anzi aver enfatizzato l’attuale divisione, e le diverse visioni della storia recente e passata. Il conflitto rinasce in particolare attorno alla figura di Princip, l’attentatore.
Nel periodo jugoslavo, Princip era generalmente considerato una figura positiva, un idealista che si oppose all’occupante straniero nel nome della fratellanza dei popoli degli slavi del sud.
Oggi il giudizio è più contraddittorio. Mentre per la maggioranza dei serbi Princip resta un eroe, altri prendono le distanze dall’atto di un “t[]ista”. Altrettanto diverso il giudizio su Francesco Ferdinando. Le versioni variano da quella di “occupante” a quella di “legittimo erede di uno stato multinazionale”. In mezzo ci sono tutte le sfumature.
La situazione è aggravata dalla complessità del personaggio-Princip. Ognuno è libero di tirarne la giacca dalla parte più congeniale.
L’aspetto paradossale, in fondo, è proprio questo. L’utilizzo di categorie attuali, ad esempio quella di “t[]ista”, per descrivere fatti di cento anni fa.
Così le istituzioni serbe non verranno a Sarajevo, ma saranno a Višegrad, nell’est della Bosnia, dove il regista Emir Kusturica ha da poco costruito una controversa “Cinecittà” nello stile dell’epoca. Qui verrà inaugurato un monumento a Gavrilo Princip alla presenza del Primo ministro serbo, Aleksandar Vučić, e del presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik.
La storia continua così a perseguitare i Balcani. Invece di essere un fattore di progresso, il ricordo del passato continua a generare divisioni, anche aspre. Il futuro europeo appare ancora distante, troppo etereo per favorire un’elaborazione comune del passato.
È un destino amaro per Sarajevo. Questa città non è colpevole per quanto avvenuto cento anni fa, almeno non più di quanto lo furono le diverse cancellerie europee, ansiose di gettarsi in un conflitto dal quale tutti ritenevano di avere qualcosa da guadagnare.
Ancora oggi, però, l’assunzione di responsabilità manca, e lo stigma resta su Sarajevo.
L’immagine della “polveriera balcanica” è la più semplice per descrivere una cultura che è al tempo stesso la somma di culture diverse, ma che non cancella i singoli elementi di cui si compone. Una realtà che sembra incomprensibile fuori dai Balcani. La nonna di Fatima lo sapeva bene. Per questo si mise a correre.
La diversità di Sarajevo però non è una colpa, è la dote che questa città porta all’Europa. Se l’Europa sarà in grado di ascoltare il suo cuore.