Russia, le ONG diventano “agenti stranieri”

Oggi, 21 novembre, entra in vigore in Russia una legge sulle Ong che, in pratica, obbliga le organizzazioni che si occupano di diritti umani a iscriversi in un registro degli "agenti stranieri". Una misura presa apparentemente in reazione all’ondata di proteste contro le frodi elettorali della scorsa primavera e che rischia di colpire gravemente il lavoro delle Ong, soprattutto nel Caucaso

21/11/2012, Irina Gordienko - Mosca

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(flickr )

Il 7 novembre, il tribunale di Karabulak (Inguscezia) si è pronunciato sul caso di Zelimkhan Chitigov, venticinquenne arrestato perché sospettato di coinvolgimento in un attacco t[]istico. Chitigov è stato sottoposto a torture per quattro giorni. Non ha firmato la confessione semplicemente perché non aveva niente da confessare. Ora è vivo, ma invalido per tutta la vita. Ilez Nalgiev, uno dei poliziotti torturatori, è stato condannato a otto anni di colonia penale.

A fine settembre sono stati condannati a tre anni i torturatori di Ahed Makhmudov, 14 anni, Daghestan, accusato di furto di un trapano. Non sono riusciti a dimostrare il furto, ma solo a rendere il ragazzo sordo da un orecchio. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha conferito status prioritario al caso del ceceno Umarpashaev, rimasto 4 mesi ammanettato ad un radiatore in una sede della polizia antisommossa (OMON).

Si tratta di casi senza precedenti per il Caucaso. Le denunce di torture e pestaggi da parte delle forze dell’ordine, pur oggetto di innumerevoli segnalazioni, di regola non arrivano in tribunale, ma cadono a pezzi nella fase d’inchiesta: fa parte del sistema. Se in rarissimi eccezioni si arriva alla condanna dei responsabili è merito delle organizzazioni per i diritti umani ("Memorial ", "Grazhdanskoe sodejstvie ", "Comitato contro la tortura "), che da decenni lavorano nel Caucaso. Chi ci lavora accoglie le denunce, fornisce assistenza legale gratuita, svolge il ruolo di difensore e, "combatte" con il sistema sostenendo ostinatamente che la legge non ammette eccezioni.

La nuova legge sulle ONG

Ma da oggi, secondo le nuove modifiche alla legislazione russa, tutte queste organizzazioni e le persone che le rappresentano dovranno essere iscritte in un apposito registro degli "agenti stranieri", una definizione che per l’orecchio russo è sinonimo di "spie". Ora il governo, del tutto legalmente, può in pratica chiudere qualsiasi ONG che si occupa di diritti umani, multarla per somme ingenti o incarcerarne i dirigenti. Il principale "pericolo" della nuova legge, tuttavia, non sta di per sé nelle sanzioni, ma nella vaghezza delle formulazioni.

D’ora in poi, ogni organizzazione no-profit impegnata nella "formazione dell’opinione pubblica" e finanziata dall’estero (che lo sappia o no, come è spesso il caso se le donazioni sono anonime), è un "agente straniero" che deve entrare in uno speciale registro. In cosa consista la "formazione dell’opinione pubblica", non è specificato. A questo si aggiungono le modifiche del codice penale in materia di tradimento e spionaggio, che ora include anche il reato "al fine di trasmettere informazioni". Questo amplia notevolmente il concetto di alto tradimento e comprende la "raccolta di tutte le informazioni che minacciano la sicurezza della Russia", senza chiari criteri. La valutazione di ogni singolo caso rimarrebbe quindi al giudice.

La legge sugli "agenti stranieri" in Caucaso del nord

Come può funzionare in pratica la nuova legge? Prendiamo ad esempio un’organizzazione che si batte contro le torture e organizza manifestazioni: abbiamo già la "formazione dell’opinione pubblica". Se presenta un esposto al pubblico ministero e si istruisce una commissione d’inchiesta tenuta a rispondere alle accuse e agli elementi di prova, ecco la "raccolta di informazioni". Se il caso arriva in tribunale, abbiamo "l’impatto sul processo decisionale degli enti pubblici", ed ecco che l’organizzazione diventa un "agente straniero" colpevole di "spionaggio". Volendo, persino una denuncia alla Corte europea dei diritti dell’uomo può essere considerata tradimento, se il giudice decide che le informazioni in essa contenute minacciano la sicurezza del paese.

Il primo campanello d’allarme era suonato pochi mesi fa, a dimostrare che in Caucaso si intendeva utilizzare ampiamente la nuova legge contro le organizzazioni per i diritti umani. Mentre la nuova legge era ancora solo in esame, Yuri Seryshev, capo dell’FSB (i servizi segreti russi, eredi del KGB) in Inguscezia, aveva improvvisamente annunciato che negli ultimi 15 anni erano state chiuse 20 ONG che "lavoravano sotto la copertura della tutela dei diritti umani per raccogliere informazioni per conto dei servizi segreti stranieri". Dichiarazione alquanto sorprendente, visto che l’Inguscezia, è la repubblica più piccola del Caucaso, e certo non la più importante strategicamente. In ogni caso, secondo la logica delle forze di sicurezza, qualsiasi organizzazione che cerca di proteggere i diritti umani lavora "nell’interesse dell’Occidente" e "difende i ribelli", comprese le tre operative ad oggi in Inguscezia: "Mashr ", la sezione locale di "Memorial" e l’organizzazione "Iniziativa per la legalità ".

Nel Caucaso del Nord, che attraversa il secondo decennio di ininterrotti spargimenti di sangue, è spesso necessario proteggere i diritti di chi cerca di proteggere i diritti degli altri: persone ostinate e di solidi principi, il cui lavoro contro torture, uccisioni e rapimenti è fumo negli occhi per le forze dell’ordine.

"Chiediamo e cerchiamo solo una cosa: il rigoroso rispetto della legge da parte delle forze dell’ordine", afferma Igor Kalyapin, di Nizhny Novgorod, leader del "Comitato contro la tortura". Dopo l’assassinio dell’attivista per i diritti umani Natalya Estemirova nell’estate del 2009 e di Alik Dzhabrailov e Zarema Sadulajeva a Grozny (tutti e tre ancora senza colpevoli), l’attivismo per i diritti umani è rimasto paralizzato per oltre un anno, finché Kalyapin non ha creato dei gruppi mobili che lavorano a turni nella Repubblica cecena, operando secondo regole rigorose. Il loro ufficio si trova nel centro di Grozny e i rappresentanti escono solo in due, per poter più facilmente chiedere aiuto in caso di un tentativo di rapimento. Costantemente muniti di registratori audio e video, operano il più possibile pubblicamente.

In Daghestan, con gli avvocati che seguono i casi più complessi, in particolare coloro che difendono gli accusati di "estremismo", non si va per il sottile. Due anni fa, l’avvocato Sapiyat Magomedova, è finita in ospedale con una commozione cerebrale e contusioni multiple: era stata picchiata dalla polizia per aver cercato di andare dal suo assistito in prigione. Successivamente, era stato aperto un caso in cui si cercava di argomentare che era stata lei ad aggredire i poliziotti. Il 10 novembre scorso, a Stoccolma, ha ricevuto il premio internazionale "Per Anger" per la tutela dei diritti umani.

Questa estate, a Makhachkala, i poliziotti hanno sparato all’avvocato Omar Sagidmagomedov direttamente sulla porta di casa. Nel rapporto ufficiale si parla di ribelli uccisi dopo aver opposto resistenza, ma testimoni raccontano che "uomini mascherati hanno sparato all’avvocato sulla soglia di casa sua". In Kabardino-Balkaria, gli avvocati difensori degli imputati in un famoso processo per un attacco t[]istico nella capitale nell’ottobre 2005 (il processo è ancora in corso) ricevono minacce esplicite: uno di loro è stato costretto a lasciare il paese.

Certo le sole ONG non possono migliorare radicalmente la situazione nel Caucaso, in un contesto in cui le istituzioni dello stato hanno un potere molto maggiore, di cui spesso abusano. Tuttavia, l’eventualità di una loro "scomparsa" non può che aumentare il livello di violenza e insicurezza in buona parte delle repubbliche del Caucaso del nord. Ora che il governo apre legalmente la stagione di caccia ai difensori dei diritti umani, alle vittime non rimarrà più nessuno a cui rivolgersi.

 

* Irina Gordienko è corrispondente speciale della Novaja Gazeta, Mosca

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