Rompere il ghetto balcanico
Un nuovo appello dell’ESI, centro studi con sede a Bruxelles, Berlino e Istanbul, a favore dell’integrazione dei Balcani nell’UE. Occorre modificare drasticamente lo strumento dei fondi pre-accessione e mirare ad un allargamento entro il 2014. Non più tardi
Queste ultime sono state settimane di ansia crescente per il destino dell’Europa. Un futuro d’unità che sembrava impossibile da bloccare e che, seppur a ritmi che hanno alternato rallentamenti ad accelerazioni, sembrava essere percepito come l’unica opzione possibile. Non sembra più essere così.
Forti preoccupazioni sono naturalmente emerse anche nei Balcani il cui futuro europeo sembrava, almeno a parole, oramai chiaro fin dal Consiglio europeo di Salonicco, nel giugno del 2003, dove i capi di Stato dei Paesi membri dell’Unione, avevano sancito il "comune destino europeo" degli Stati dei Balcani.
Da allora in realtà poco è cambiato. Solo Bulgaria e Romania hanno continuato rapide per la loro strada, ed il loro ingresso è previsto per il primo gennaio 2007. La Croazia è divenuta Paese "candidato" ma le negoziazioni conseguenti, in vista dell’adesione, sono state bloccate nel marzo scorso per il mancato arresto del generale Ante Gotovina, accusato dal Tribunale dell’Aja di crimini di guerra; la Macedonia dovrebbe diventare ufficialmente "candidata" alla fine dell’anno od al più tardi all’inizio del 2006. L’Albania non ha ancora sottoscritto un Accordo di stabilizzazione ed associazione, passaggio precedente alla candidatura, pur avendo iniziato le negoziazioni nel 2003. Bosnia Erzegovina e Serbia e Montenegro sono ancora più indietro, non avendo avviato neppure queste ultime.
L’ESI – centro studi con sede a Bruxelles, Berlino ed Istanbul – ha recentemente pubblicato un breve rapporto che fa il punto della situazione sul percorso dei Balcani verso l’UE. Un documento molto puntuale che basa la sua analisi su una proposta resa pubblica dalla Commissione europea di regolamentazione dell’IPA (Instrument of Pre-Accession Assistance): documento che va a regolare sia la quantità che la qualità dell’assistenza finanziaria a favore dell’area del sud est Europa dal 2007 al 2013.
Un documento chiave, che dovrà passare al vaglio del Parlamento europeo, dal quale emerge come l’UE guarda a quest’area geografica ed alle relazioni reciproche dei prossimi anni. L’ESI non è tenera con gli estensori della proposta e ne evidenzia tutti i limiti.
Innanzitutto in termini quantitativi. Il budget totale proposto dalla Commissione obbligherà infatti l’UE a ridurre nei prossimi anni l’assistenza ai Paesi dell’area. E questo – sottolineano gli analisti dell’ESI – avverrà proprio nel momento in cui l’Unione deve far sentire tutta la sua presenza e credibilità perché si stanno avviando processi fondamentali per il sud est Europa, basti pensare al probabile avvio dei negoziati sullo status finale del Kosovo.
Questo implica che nessuno sforzo particolare verrà fatto per lo sviluppo dell’area dove rischiano di crearsi ulteriori spaccature tra i Paesi già incamminati verso l’UE, Romania e Bulgaria, e gli altri. Un solo esempio. Nel 2003 la Bulgaria (8 milioni di abitanti) riceveva 300 milioni di euro di assistenza da parte dell’UE, la Serbia (sempre 8 milioni di abitanti) 240. Nel 2006 la prima ne riceverà 430, la seconda 161, nel 2009 il divario sarà ancora maggiore: 1.600 per la prima e 117 per la seconda. E’ evidente che si rischi di creare un vero e proprio "buco nero" nel cuore dell’Unione.
Ma l’ESI non ferma la sua analisi puramente a considerazioni quantitative. Anzi. Si insiste sul fatto che ancor peggiore della limitatezza delle risorse a disposizione è il fatto che – per altri 5 anni – non saranno a disposizione dei "potenziali" candidati. Questo significa che l’UE non aiuterà a creare le strutture necessarie per avviare politiche economiche e sociali di coesione – con un impegno diretto della Commissione nell’assistere i Paesi candidati – ma continuerà a proporre i cosiddetti CARDS, programmi di finanziamento i cui risultati negli ultimi 5 anni nei Balcani sono stati – secondo l’ESI – altamente insoddisfacenti.
Secondo il centro studi di Berlino sarebbe invece fondamentale che i Paesi dei Balcani potessero accedere alle politiche di pre-adesione fin dalla firma degli Accordi di stabilizzazione ed associazione e non dal momento in cui divengono ufficialmente Paesi "candidati".
Da un’analisi dell’IPA emerge con una certa chiarezza che l’UE non si aspetta un’adesione della maggior parte dei Paesi dei Balcani prima del 2020. Tempi che l’ESI ritiene rischierebbero di destabilizzare ulteriormente l’area. L’UE si troverebbe allora a spendere in sicurezza ed azioni di peacekeeping più di quanto spenderebbe con un impegno serio a favore del sud est Europa.
Le conclusioni del documento: "Se si avviassero fin dal 2007 politiche di coesione e pre-adesione potrebbe essere possibile per i Paesi della regione di divenire membri dell’UE nel 2014, in coerenza con l’ambiziosa agenda proposta dalla Commissione Internazionale per i Balcani. Nonostante la fatica "da allargamento" che caratterizza l’UE, in pochi dubitano che il successo dei Balcani sia una delle priorità dell’UE, non solo perché potrebbe rappresentare uno dei principali successi di politica estera dell’Unione (o il suo più costoso ed imbarazzante fallimento), ma anche perché rappresenta un’alternativa migliore ed in ultimo meno costosa, che non guardare la regione slittare nuovamente nell’instabilità politica".
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