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Romania: una generazione resiliente
La scelta di emigrare per ragioni economiche ha costretto molti cittadini romeni a lasciare i loro figli crescere da soli, rendendoli più vulnerabili ma spesso anche più decisi a combattere gli ostacoli
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 29 dicembre 2014, titolo originale Romania’s Resilient Generation: The Kids ‘Left Behind’ Who Get Ahead)
La storia di Madalina Oprisan sembra avere tutte le caratteristiche di uno degli innumerevoli reportage spettacolarizzanti sui ragazzi romeni “abbandonati” da genitori emigrati all’estero in cerca di lavoro: un’infanzia turbolenta passata a Bacau, segnata dalla mancata presenza del padre e dalla violenza del patrigno; un carattere introverso e disinteresse per la scuola; la difficile situazione economica che costringe la madre a trasferirsi in Israele in cerca di lavoro; la separazione dalla sorella andata a vivere con una zia.
Tuttavia, la sua storia non finisce come tanti di quei reportage che negli ultimi anni hanno riempito i media locali e internazionali, mettendo in primo piano i casi estremi di violenza o di suicidio. Al contrario, contiene una svolta decisiva. Dopo la partenza della madre, Madalina trovò la forza per andare avanti: si impegnò sempre di più nelle attività scolastiche, ottenne l’opportunità di redigere una pagina del giornale locale, vinse una borsa per studiare giornalismo a Bucarest.
“E’ stato difficile crescere così, vedendo mia madre solo su Skype, ma allo stesso tempo quest’esperienza mi ha resa più forte”, dice la 26enne Madalina, che negli ultimi 13 anni ha avuto la possibilità di incontrarsi con la madre solo quattro volte.
La storia di Madalina e sua sorella Ioana è una di molte che testimoniano l’ostinazione e la persistenza dei ragazzi romeni nello sfidare il destino della generazione “abbandonata”, storie di successo che appaiono raramente sulle prime pagine e nei dibatti pubblici sull’immigrazione e sui suoi effetti sulle famiglie.
Nel tentativo di approfondire e rendere visibili tali storie abbiamo parlato con più di 30 giovani professionisti e studenti, tra i 18 e i 28 anni, provenienti dalla Romania e dalla vicina Moldavia, tutti cresciuti lontano dai loro genitori che hanno deciso di tentare la fortuna in diversi paesi occidentali.
Le loro testimonianze ci hanno aiutato a capire meglio i retroscena delle scelte dei loro genitori e i conseguenti costi emotivi.
“L’intenzione dei nostri genitori era quella di migliorare il nostro status sociale”, ci spiega Madalina. “Sono andati all’estero come lavoratori non qualificati con la speranza di poter garantire a noi giovani un futuro migliore nel nostro paese”.
Oggi ricorda con amarezza i tempi in cui sua madre fu costretta a vendere giornali, alimenti confezionati importati dalla Turchia o sigarette moldave per sopravvivere. “Se avesse continuato a lavorare per 300 euro al mese, non avrebbe mai potuto pagare i miei studi, lezioni private o viaggi”, confessa Madalina. “Ho visto Parigi prima di Bucarest”.
Dopo essersi laureata, Madalina ha trovato lavoro come reporter nella maggiore emittente commerciale del paese, ProTV, mentre oggi si occupa del management di un’Ong impegnata nel promuovere l’utilizzo dei mezzi tecnologici nel settore non-profit.
“Vittime” della migrazione
Nel corso degli ultimi 25 anni, milioni di romeni hanno lasciato il loro paese per cercare lavoro all’estero. La prima grande ondata di emigrazione fu provocata dal crollo del muro di Berlino nel 1989, mentre la seconda iniziò circa un decennio dopo con la liberalizzazione dei visti da parte dell’Unione europea, che consentì ai cittadini romeni di circolare liberamente nell’intera area Schengen.
La decisione di tentare la fortuna in Occidente, come muratori, braccianti agricoli, addetti alle pulizie o alla cura della persona, costrinse molti romeni, insieme ai cittadini di altri paesi ex-socialisti, a lasciare i loro figli crescere con un solo genitore o con i parenti, spesso anche da soli se considerati capaci di prendersi cura di se stessi.
Secondo le stime dell’Autorità nazionale per la Protezione dei Diritti dei Bambini, più di 84mila bambini romeni vivono separati da uno o entrambi i genitori che lavorano all’estero, mentre le Ong sostengono che questo numero ammonti a circa 350mila, il che farebbe della Romania il paese europeo più colpito da questo fenomeno.
La situazione è simile anche in Moldavia, dove all’incirca 177mila ragazzi si trovano nella stessa condizione.
Abbiamo incontrato Olga Gavrilita, studentessa moldava che aveva solo 7 anni quando i suoi genitori decisero di emigrare all’estero. “E’ stata una scuola di vita molto intensa”, ci spiega Olga, attualmente corsista del master in economia all’Università Friedrich Schiller di Jena. “Tuttavia, la loro partenza mi ha aiutata a capire come e dove avrei voluto costruire il mio futuro.”
Il destino della “generazione abbandonata” è finito sulle prime pagine dei media nazionali sette anni fa a seguito di un servizio, realizzato dall’emittente ProTV, intitolato “Vi siete mai chiesti come stanno i vostri figli?” e dedicato ai bambini i cui genitori non sono mai tornati in patria, spesso costruendo una nuova famiglia all’estero.
Qualche anno più tardi, un documentario intitolato “Soli a casa – la tragedia romena”, ha raccontato le storie di tre ragazzi suicidatisi perché abbandonati dai genitori, suscitando sconcerto nell’opinione pubblica e ulteriore interesse sensazionalistico dei media.
Ne è seguita una vera e propria pletora di articoli con titoli allarmistici del tipo “Bambini sull’orlo dell’abisso”, “Terribile dramma degli ‘orfani bianchi’ romeni”, “Paese dei bambini abbandonati”, che offrono un’immagine distorta del fenomeno e provocano una forte indignazione nei confronti dei genitori andati all’estero.
“Nonostante i casi tragici siano isolati, i media tendono a spettacolarizzarli per attirare l’attenzione del pubblico”, spiega Victoria Nedelciuc, esperta in materia di fenomeni migratori presso l’Open Society Foundation di Bucarest, aggiungendo che i vantaggi dell’emigrazione sono numerosi. Le rimesse dei genitori immigrati significano per i loro figli la possibilità di usare tecnologia, di scegliere quali scuole e università frequentare, di viaggiare all’estero.
Molti di questi ragazzi etichettati come “abbandonati” si sentono incompresi. Andrei Dobra, veterano tra i blogger romeni, ci racconta come – nonostante i suoi genitori siano andati in Spagna 15 anni fa, lasciandolo con la zia, e nonostante abbia la possibilità di vederli solo nel periodo delle vacanze – non ha mai provato una sensazione di abbandono, tantomeno di odio nei loro confronti. “So che hanno fatto tutti questi sacrifici per me”, dice il 28enne blogger.
A seguito del nostro incontro, Andrei ha scritto un post sul suo blog, intitolato “Un ragazzo ‘abbandonato’ offre spiegazioni”. “Ho sentito dire molte volte che i miei genitori non avrebbero potuto sopportare la separazione se mi avessero voluto bene davvero”, si legge nel post. “Tale atteggiamento mi ha fatto molto arrabbiare”, continua Andrei. “Chi si permette di giudicare i ragazzi i cui genitori lavorano e faticano a sopravvivere in Occidente, dovrebbe pensarci due volte prima di etichettarli ‘abbandonati’ e dare tutta la colpa ai genitori, perché ogni singola storia è molto più complessa”.
Secondo Adrian Lupu, professore di sociologia all’Università Alexandru Ioan Cuza di Iasi e uno degli autori del primo studio dedicato al fenomeno dei bambini left behind, il termine più appropriato sarebbe “resilienti” in quanto molti di questi ragazzi hanno saputo combattere gli ostacoli e prosperare in ambito accademico e professionale.
Forti conseguenze sul piano emotivo
Alcune differenze tra ragazzi cresciuti con i genitori e quelli left behind sembrano tuttavia innegabili. Come rilevato dagli studi condotti da diverse organizzazioni, come Save the Children e Soros Foundation Romania, il 15 per cento dei ragazzi con entrambi i genitori all’estero ha avuto problemi con la polizia, mentre questo tasso scende al 10 per cento tra i ragazzi che vivono con i genitori. Più significativi, tuttavia, sembrano i parametri psicologici. Il 36 per cento dei bambini left behind dichiara di sentirsi solo, mentre il 22 per cento crede di non essere amato da nessuno. Inevitabile, quindi, il rischio del deterioramento della relazione tra genitori e figli.
Lo dimostra il caso delle sorelle Oprisan, che hanno reagito in maniera diversa all’assenza della madre. Ioana, più giovane, ha mantenuto stretti rapporti con lei, mentre Madalina è diventata più riservata. “Siamo rimaste lontane per troppo tempo”, ci spiega Madalina che ha dovuto affrontare le sfide dell’adolescenza senza la madre. Tuttavia, è riuscita a costruire una solida rete di sostegno tra parenti e amici, dedicandosi sempre di più allo studio, ma le forti preoccupazioni economiche, che spinsero sua madre a cercare lavoro all’estero, condizionano tuttora il loro rapporto. Madalina non vuole infatti rinunciare alle sue scelte sentimentali e continua a gestire una bottega di biciclette con il suo ragazzo che non ha altre fonti di reddito, provocando la disapprovazione della madre per la quale è essenziale trovare un uomo che porti a casa i soldi.
Ioana, invece, molto giovane quando loro madre decise di partire, reagì piangendo ininterrottamente per ore e aveva bisogno di più affetto per riuscire a superare un tale shock. “Avevo semplicemente bisogno di parlare con qualcuno”, ci racconta. “Una zia non potrà mai sostituire la madre”. A volte si rifugiava a casa dei vicini per trovare un po’ di compagnia, mentre a scuola immaginava che le maestre potessero sostituire sua madre.
Oggi, 20enne di rara franchezza, Ioana ricorda la prima visita della madre, avvenuta quattro anni dopo la partenza per l’Israele. “I suoi cappelli erano bianchi come neve”, ci racconta, “talmente bianchi che, nonostante il suo viso non fosse cambiato, non riuscivo a riconoscerla”.
Con molta tristezza si ricorda anche del periodo in cui sua sorella decise di trasferirsi a Bucarest per studiare, mentre lei rimase ad abitare da sola in un appartamento minuscolo e poco accogliente.
Quel periodo ormai appartiene al passato perché oggi anche Ioana vive nella capitale, dove studia stomatologia con una borsa vinta grazie a grandi sacrifici, sia suoi che di sua madre. Con evidente orgoglio ci mostra il suo nuovo appartamento, spazioso e centrale, confessando che deve tutto a sua madre: “Se lei fosse rimasta in Romania, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile”.
Nonostante non esista alcuna statistica ufficiale, il sociologo Adrian Lupu sostiene che molti studenti in Romania riescono a pagare le tasse universitarie solo grazie alle rimesse dei genitori che lavorano all’estero. Lo conferma anche una delle sue studentesse, Irina Visin, spiegandoci che tra i suoi 34 colleghi del Master in protezione dei diritti dei bambini ben 20 hanno i genitori che lavorano, o lavoravano all’estero.
Sostegno alla resilienza
Diverse organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti dei bambini lottano da anni per una maggiore tutela legislativa dei diritti dei bambini left behind. Dopo aver respinto ben otto disegni di legge, il Parlamento romeno ha finalmente approvato nel settembre 2013 una nuova legge in materia di protezione e promozione dei diritti del bambino.
Una delle novità di questa legge sono le sanzioni, che vanno dai 500 ai 1000 lei rumeni (115-230 euro), per i genitori che mancano di avvisare le autorità della loro partenza per l’estero e di assicurare, almeno 40 giorni prima di partire, una nomina ufficiale del tutore per i loro figli.
Tuttavia, la nuova normativa non pone nessun obbligo per le scuole di segnalare alle autorità competenti eventuali casi di bambini left behind. Lo sottolinea Victoria Nedelciuc della Open Society Foundation, spiegando che la scuola rimane completamente esclusa dalla nuova legislazione, nonostante rappresenti un contesto in cui le problematiche in questione diventano subito evidenti.
Allo scopo di aiutare i bambini ad affrontare al meglio la lontananza dei genitori, l’organizzazione Save the Children ha avviato in 16 scuole in tutto il paese un progetto intitolato “Crescere insieme”. Dopo tre anni di attività – in cui vari specialisti si sono impegnati ad assicurare a più di duemila bambini l’assistenza nello svolgimento dei compiti, l’accesso ai mezzi tecnologici ai fini di migliorare la loro comunicazione con i genitori, nonché un sostegno psicologico individualizzato – i risultati resi pubblici nel 2013 sembrano incoraggianti: il 70 per cento dei bambini coinvolti nel progetto ha mostrato un notevole miglioramento nei risultati scolastici, mentre il 46 per cento di loro ha partecipato con successo a varie competizioni scolastiche.
La maestra sostituisce le madri
Esistono tuttavia alcune scuole che hanno mostrato grande sensibilità per la questione dei bambini left behind, impegnandosi senza alcun sostegno (istituzionale) ad aiutarli.
Nel villaggio di Rudacaneni situato nel nord del paese, dove le grandi case costruite di recente contrastano con le vecchie strade percorse da carri con cavalli, quasi un terzo delle famiglie è afflitto dalle conseguenze dell’emigrazione economica.
Ben cosciente di questo problema, Coco Codreanu, direttrice della scuola locale, ci racconta della loro dedizione nel diventare un punto di riferimento per i bambini i cui genitori sono lontano. “Come scuola, stiamo facendo del nostro meglio per garantire loro quello che manca: attenzione genitoriale, ambiente sano, amicizia”, spiega Codreanu elencando tutta una serie di attività facoltative organizzate dalla scuola.
Nella vecchia aula scolastica, riscaldata con una stufa a legna, abbiamo parlato con Alexandra Ladan, dieci anni, una dei sei bambini della sua classe con almeno un genitore all’estero.
Alexandra ci racconta come sua madre è partita per l’Italia quando lei aveva solo sette mesi. Ora sono amiche su Facebook. E’ così che Alexandra sa che la madre sta bene e che ha un’altra famiglia. "Posta alcuni brevi video con il nuovo figlio", dice Alexandra. A volte, di domenica, chatta con lei via Facebook. Ma sua madre non la chiama mai. Nemmeno il giorno del compleanno. E’ a questo punto che Alexandra, che vive con il padre e i nonni, inizia a piangere.
Alcuni mesi dopo il nostro incontro, Alexandra ha finalmente avuto l’opportunità di incontrare sua madre, tornata in Romania per la prima volta dopo dieci anni, e ci ha raccontato su Skype quanto è stato “strano” conoscerla.
Nonostante un’infanzia pervasa da traumi, Alexandra è tra i migliori alunni della sua classe. Gli esperti sostengono che il successo scolastico e la stabilità emotiva dei bambini left behind dipendono da diversi fattori, incluso il loro carattere, ma anche il supporto di figure educative adulte.
“Ho incontrato molti bambini che crescono senza genitori e ciononostante sono bravi alunni, sia perché spinti da una forte motivazione e amore per la scuola sia perché fortunati ad avere qualcuno che li aiuta, una maestra, un compagno di classe o una nonna”, spiega Luminita Costache, coordinatrice dei progetti educativi di Unicef Romania.
Ricominciare da zero
Molti dei genitori emigrati all’estero per lavoro coltivano la speranza che i loro sacrifici basteranno per garantire ai loro figli un futuro sicuro in Romania. Tali speranze, tuttavia, si scontrano spesso con la realtà.
La 25enne Georgiana Panca lavorava come reporter per uno dei principali quotidiani di Bucarest, ma quando nell’estate 2013 a sua sorella venne diagnosticato un tumore della pelle e i suoi genitori che da anni lavoravano in Spagna si trovarono in una situazione economica molto difficile, Georgiana decise di raggiungerli e trovare un lavoro qualsiasi.
“Mi hanno sempre aiutata molto, dandomi la forza di andare avanti e diventare la persona che sono oggi”, ci racconta a Madrid nella casa dei genitori dove la trasmissione della corsa dei tori a Pamplona fa da sottofondo ad una tipica cena rumena. Suo padre, un uomo grande, dai capelli grigi, ci spiega quanto è diventato difficile trovare un lavoro in Spagna al giorno d’oggi, mentre sua madre ricorda i motivi che l’hanno spinta ad emigrare lasciando la figlia da sola. “Aveva 15 anni quando decisi di venire in
Spagna”, ci racconta. “Fu una decisione difficile, ma volevo che mia figlia andasse all’università e che costruissimo una bella casa nella nostra città”.
Georgiana visse da sola per nove anni e ricorda con piacere quel periodo. “Al liceo tutti sapevano che vivevo da sola e le feste si facevano sempre a casa mia”.
La sua nuova vita a Madrid è molto meno divertente. Dopo aver lavorato come babysitter per una famiglia spagnola e come cameriera in un bar, Georgiana ha recentemente trovato lavoro come addetta alla ricezione in un ostello. La precarietà di quest’esperienza l’ha resa consapevole di quanti sacrifici abbiano dovuto fare i suoi genitori per assicurarle una vita migliore. “È difficile ricominciare da zero”, conclude Georgiana.
Lina Vdovîi è una giornalista del Romanian Center for Investigative Journalism. Quest’articolo è stato prodotto grazie al programma Balkan Fellowship for Journalistic Excellence sostenuto da ERSTE Foundation e Open Society Foundations, in cooperazione con Balkan Investigative Reporting Network.