Romania: randagismo, lontani dalla soluzione
Ad un anno e mezzo dall’approvazione della contestata legge sul randagismo quale la situazione nel paese? I particolari incroci Romania-Italia
Il 10 settembre del 2013 il parlamento romeno ha adottato a maggioranza assoluta la legge che liberalizza l’eutanasia per i cani randagi. A un anno e mezzo da quella data la polemica e le conseguenze del voto non sono cessate e continuano anche le richieste delle associazioni animaliste che operano in Romania, come Save the dogs e che, pur promuovendo la sezione della normativa su sterilizzazioni e microchippatura, condanna la legge che lascia mano libera ai sindaci di eseguire veri e propri massacri di randagi.
Dopo l’approvazione del testo, infatti, la Romania ha fatto un salto all’indietro nel settore della gestione del randagismo endemico, tornando alla situazione del 2001 e buttando al vento parte dei passi avanti fatti.
La legge
Un’accelerazione sul voto era stata determinata dall’onda emotiva legata alla morte di un bambino di quattro anni nell’estate del 2013, dopo un morso di un randagio. Ma più importante è il quadro in cui questa nuova legge, definita da molte associazioni animaliste criminale, si inserisce: un quadro di povertà endemica, oltre che di randagismo endemico, in cui è più facile per le municipalità affidarsi alla cattura e all’eutanasia che al programma di sterilizzazione e microchip che porterebbe alla vera risoluzione del problema.
I cani catturati, infatti, dopo 14 giorni nel canile di pertinenza possono essere soppressi. Nella sola Bucarest, l’unica amministrazione che ha comunicato un primo dato ufficiale, sono stati uccisi 16mila cani da gennaio ad agosto del 2014. La nuova legge ha cancellato il principio del testo precedente, datato 2008, e non rispetta elementi fondamentali della Convenzione europea sugli animali da compagnia che specificano come l’eutanasia non sia la soluzione efficiente al problema.
Save the dogs
Di cosa accada in Romania, a un anno e mezzo dall’approvazione, parla Sara Turetta, responsabile di Save the dogs che da 13 anni lavora in Romania e in collaborazione con altre realtà europee.
“La mia avventura è iniziata sull’onda dell’entusiasmo e della rabbia nel 2001: adesso in Romania abbiamo 55 dipendenti, tutti stipendiati, siamo una piccola e media impresa sociale che promuove il rapporto di solidarietà tra Italia e Romania con questo progetto. Le best practise che vengono usate già in Italia possono essere introdotte nel tessuto romeno per accelerare i progressi e superare gli []i fatti – ha spiegato – sul problema dei randagi, infatti, non è cambiato quasi nulla da 13 anni fa ad oggi, soltanto l’intensità con cui i randagi vengono uccisi”.
Per questo Sara Turetta ha lasciato Milano e la sua carriera da pubblicitaria per andare a vivere a 200 chilometri ad est di Bucarest, nei pressi di Cernavoda, dove ha creato quella che adesso è diventata l’associazione di punta per la tutela degli animali in Romania. “Abbiamo 700 cani nei tre rifugi che gestiamo nel paese, attuiamo 3.000 sterilizzazioni all’anno e circa 500-550 cani l’anno vengono adottati in vari paesi Ue attraverso i nostri progetti, che sono transnazionali e coinvolgono anche la Svizzera e i paesi scandinavi”.
Tornando alla legge sul randagismo del 2013 Sara Turetta parla di due aspetti che la compongono: “Nel testo ci sono degli elementi positivi su cui noi stiamo investendo tempo e denaro, si tratta della sterilizzazione e della microchippatura obbligatoria dei cani di proprietà. Lo chiedevamo da più di 10 anni, ma anche adesso che esiste lo strumento normativo la popolazione che vive per gran parte sotto la soglia di povertà ha difficoltà ad affrontare i costi e non ha accesso ai servizi veterinari soprattutto nelle campagne e nella provincia”. Per questo motivo “è una legge che è destinata a non essere applicata nella realtà in questi aspetti, ma soltanto nella parte delle uccisioni, quella più demagogica che dà l’impressione per alcuni mesi di aver risolto il problema. I sindaci che hanno deciso di rastrellare i cani su base settimanale e quotidiana lo stanno facendo con modalità che noi come Ong non possiamo neanche verificare”.
Save the dogs si sta “sostituendo alle autorità nella provincia di Costanza, nel raggio di 22 comuni, facendo un lavoro porta a porta, gratuito, per la sterilizzazione e la chippatura”. Una strada difficile che potrebbe ottenere una grossa mano con l’interessamento di Bruxelles, che al momento latita, per mancanza di competenza diretta sul tema. “Gli animali da compagnia sono una questione fino ad oggi considerata culturale e che ogni stato può gestire come ritiene – ha sottolineato la responsabile del progetto che oltre ai cani si occupa anche degli altri randagi, come cavalli e asini, per i quali ha realizzato un vero rifugio, ‘Impronte di gioia’, con progetti di onoterapia dedicati ai bambini orfani o con handicap e alle scuole – esistono implicazioni economiche e sanitarie evidenti: la rabbia è un problema oggettivo e in Romania ci sono rischi sanitari per la popolazione. Ma ciò nonostante non sono stati fatti piani europei sulla sterilizzazione e il controllo della popolazione canina, raccomandati anche dall’Oms nelle linee guida del 1991”.
Romania-Italia
Una storia quella di Save the dogs che ha raggiunto l’eccellenza in Romania portando quelle che sono le buone pratiche che in Italia esistono da anni, anche grazie a realtà come quella della Fondazione Prelz Onlus, nata nel 2003 per assicurare un futuro all’attività di assistenza e ricovero dei cani abbandonati, iniziata da Xenia Prelz nel 1985 e che oggi, alle porte di Roma, a Campagnano Romano, ha un cuore oltre che italiano fortemente romeno. Nella struttura che ospita fino a 300 cani in estate, quando è al completo anche la pensione, lavorano infatti sei cittadini romeni da anni in Italia che portano avanti il lavoro della fondatrice Xenia.
L’energica ottantenne ha da sempre l’obiettivo di salvare i randagi e dare loro una seconda possibilità. Nella struttura sono presenti una clinica veterinaria dove si effettuano ogni anno “1.200 sterilizzazioni” e vengono mediate centinaia di adozioni in tutta Italia e un canile d’eccellenza. La Fondazione “ospita una media di 150 cani, sia cuccioli trovati nei cassonetti o in campagna, che cani bisognosi di cure perché incidentati o malati. Questi animali vengono curati, riabilitati e sterilizzati dalla Fondazione e una volta ristabiliti ci si prodiga in ogni modo per trovare una buona adozione”, ci tiene a precisare Xenia Prelz e le fa eco anche Monica Iacomini che si occupa del settore tramite i due siti dedicati alle adozioni www.adottauncane.it e www.amiciconlacoda.com .
Decebal Draguser, uno dei lavoratori romeni, coordinatore dei dipendenti della Fondazione, illustrando il centro sottolinea l’importanza di strutture di questo tipo, con standard che garantiscono ai cani, sia in pensione che abbandonati o randagi, di vivere bene la permanenza con cucce riscaldate e recinti di grandi dimensioni all’aperto, fino a 100 metri quadrati per le taglie più grandi: “I box e le cucce vengono puliti e disinfettati due volte al giorno, i cani curati e rieducati quando necessario. E’ un lavoro costante che mi ha appassionato negli anni. In Romania avevo una carriera nel rugby, poi ho deciso di trasferirmi in Italia e per un po’ ho lavorato con i cavalli, poi è nata questa storia di vita e di lavoro presso la Fondazione”.
Un lavoro che prende il cuore perché “un cane è un impegno – ha sottolineato Xenia Prelz – spesso dopo un’adozione i nuovi proprietari vogliono dare indietro il cane. Per questo non diamo in adozione con troppa disinvoltura e nei nostri ‘contratti’ è stabilito che in caso il cane debba tornare alla nostra struttura”. Per il chirurgo della clinica veterinaria, Elisabetta Contri, anche in Italia ci sono ancora stereotipi e modalità che vanno combattute per limitare la piaga del randagismo: “Si crede ancora che sia fondamentale far fare la prima cucciolata e poi, però, i piccoli vengono abbandonati. E poi un cane o un gatto sono un impegno che troppo spesso si sottovaluta”.