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Romania, paura immigrati
In un forno di Ditrău, cittadina della Transilvania a maggioranza ungherese, lavoravano due operai dello Sri Lanka. La popolazione locale, sindaco in testa, ha fatto in modo che venissero allontanati. Una vicenda in cui si interseca emigrazione, scarsi diritti sul lavoro e razzismo
Si sono presentati in 350, il 1 febbraio scorso, presso la sede del consiglio municipale di Ditrău (in ungherese Ditró), 5mila anime, nella regione della Transilvania, in Romania. Il motivo della riunione era discutere della petizione – che ha raccolto oltre 2mila firme – contro l’assunzione di due operai immigrati dallo Sri Lanka nella locale panetteria industriale.
Un video della riunione mostra una signora bionda che, con una disarmante tranquillità, sostiene: “Il problema è che dobbiamo immaginare che l’azienda potrebbe assumere sei operai stranieri, che porterebbero qui le loro famiglie, e nel giro di cinque o sei anni ci troveremmo circondati da neri”.
Altri interventi della serata ruotavano attorno allo stesso tono: i migranti potrebbero mettere in pericolo la sicurezza e le tradizioni culturali della comunità.
Il sindaco di Ditrău, che ha moderato l’incontro, ha ribadito come il liceo professionale locale ha ben due corsi di formazione per fornai e che sono questi giovani che dovrebbero essere assunti nella zona, oltre a lamentarsi della cattiva pubblicità che la cittadina ha ricevuto per questa storia. Della quale, bontà sua, non accusa i due operai, ma il proprietario dell’azienda.
A cerimoniare la riunione di preoccupati cittadini Bende Sandor, deputato dell’Alleanza Democratica degli Ungheresi, minoranza in Romania attorno al 6 percento della popolazione, ma che nella regione della disputa contro gli immigrati dallo Sri Lanka supera il 90 percento della popolazione. Sono gli Székelyek in ungherese, Secui in rumeno, che foneticamente ricordano i ‘siculi’, come venivano chiamati nell’800, discendenti di popolazioni magiare mandate a difendere i confini. Storie di altre migrazioni e di altri confini.
La presenza di Sandor e l’origine della maggioranza della popolazione locale, secondo alcuni media rumeni, come Adevarul , è la dimostrazione di come la propaganda contro le migrazioni di Viktor Orban, primo ministro ungherese, abbia una forte influenza sulle comunità ungheresi di oltre confine. Ma Sandor, a margine della riunione per chiedere all’azienda di allontanare i due operai stranieri, ha tenuto a precisare che l’evento “non ha alcuna connotazione razzista, anzi, riguarda le condizioni dei salari che l’azienda pratica. Nessuno vuole lavorare per una paga da fame con turni massacranti e allora assume chi accetta queste condizioni”.
Il conflitto di classe in un borgo della Transilvania, la globalizzazione della porta accanto. O il razzismo che attraversa sempre più le vene aperte di un’Europa in grande affanno democratico. Difficile dirlo.
Per il Consiglio nazionale rumeno per la lotta alla discriminazione (CNCD) non ci sono dubbi e ha presentato una denuncia per incitamento all’odio e alla discriminazione razziale contro gli organizzatori della raccolta firme e dell’evento. Il presidente del CNCD, Asztalos Csaba, ha chiesto tolleranza e ha condannato gli atteggiamenti discriminatori a Ditrău. La magistratura rumena ha comunicato l’inizio di un’indagine mentre il governo ha risposto con le dichiarazioni di Violeta Alexandru, ministro del Lavoro di Bucarest.
Dopo aver ordinato dei controlli sulle condizioni dei lavoratori nella panetteria, Alexandru ha aggiunto: “Quello che mi sorprende è l’atteggiamento della comunità locale rispetto al fatto che due persone vogliono lavorare qui", ha detto. "Forse dimenticano che molti rumeni lavorano all’estero e potrebbero essere in pericolo di essere trattati allo stesso modo?".
Domanda legittima, anche e soprattutto in un paese che, come reso noto nel dicembre del 2013 da Cristian David, all’epoca ministro per i Romeni all’estero, ha un numero compreso tra i 6 e gli 8 milioni di cittadini che vivono fuori dei confini della Romania.
L’azienda si difende, sia in merito alle condizioni di lavoro che per il fatto di essere ricorsa a lavoratori stranieri solo dopo l’inutile ricerca di manodopera locale. E ha ribadito, in una lettera mandata all’assemblea del 1 febbraio, senza presenziare, che le sue porte sono aperte ai lavoratori locali, mentre ha promesso di ‘sistemare’ i due lavoratori dello Sri Lanka, non chiarendo in qual modo: abitativo (fuori città) o lavorativo? Alla fine l’azienda ha ceduto allontanando i due fornai.
Non tutto il mondo dell’imprenditoria, però, è concorde. L’eccentrico imprenditore rumeno Stefan Mandachi, diventato famoso dopo aver costruito a spese sue un’autostrada di un metro per protestare contro le scarse infrastrutture del paese, ha affermato – come riporta il sito romania-insider-ro – che avrebbe assunto lui i due lavoratori dello Sri Lanka in uno dei suoi ristoranti, non per ‘buonismo’, come ha tenuto a sottolineare in un post su Facebook, ma “come forma di protesta contro lo Stato che ha spinto tutti i rumeni oltre confine. Lo Stato ha molestato sia i dipendenti che i datori di lavoro, fino a quando il paese si è svuotato".
Al di là della versione locale del conflitto globale tra diritti dei lavoratori e chiusura verso gli immigrati, resta un dato che rende l’idea del totale cortocircuito narrativo che vive la regione. Mentre dalla Croazia all’Albania i paesi si svuotano drammaticamente, come già raccontato da OBC Transeuropa, si alimentano lotte tra poveri e chiusure all’arrivo di lavoratori stranieri.
La vicenda di Ditrău, nel suo piccolo, racconta un mondo intero. Secondo kronikaonline.ro , media locale, “quest’anno la Romania ha bisogno di non meno di 30mila lavoratori stranieri per riempire i vuoti lasciati dall’emigrazione. Mentre le grandi città sono più permeabili a questi cambiamenti, in posti come Ditrău non mancheranno i problemi.” E hanno evidentemente ragione.