Romania: la vita al fianco dello scudo antimissile
Si trova dal 2016 nel sud della Romania. Rappresenta l’avamposto difensivo della Nato nell’est Europa. Un reportage dal villaggio di Deveselu che ospita lo scudo antimissile targato USA
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 26 aprile 2020)
Situato a circa 30 chilometri dal Danubio e dalla frontiera bulgara, Deveselu è una piccola città di 3.000 abitanti tipica del sud della Romania. In questo paesaggio di campi a perdita d’occhio è difficile immaginare che il famoso scudo antimissile integrato nel sistema balistico della Nato si trovi proprio qui. Da Deveselu, si scorge a malapena, come un miraggio in mezzo a un enorme base militare di 900 ettari. Tutti nella zona sanno però dove si trova. Ma da quando gli americani hanno preso il controllo dell’ex base aerea (lo scudo è stato inaugurato nel 2016) nessuno sa davvero cosa vi sta accadendo.
È l’inizio di aprile e fa abbastanza caldo e George e Piki, le cui case sono accanto alla strada principale che divide in due Deveselu, stanno mangiando all’aperto. Nel menu del giorno c’è il pesce che George ha pescato nell’Olt, il vicino fiume, cucinato dalla moglie. Piki, che lavora a Napoli, è tornato al villaggio per le vacanze. Per lui, la presenza dello scudo ha un significato completamente nuovo da quando è iniziata la guerra in Ucraina: "Certo che mi spaventa il fatto che sia lì, da qualche parte vicino a noi. Abbiamo visto che dà fastidio a Putin quindi, sì, c’è da preoccuparsi…".
George è d’accordo. Per lui non è un caso che "il russo", come lui chiama Vladimir Putin, abbia dimostrato al mondo di poter scatenare missili supersonici. "In sette minuti arriverebbero qui, posso dirvi che nessuno avrebbe il tempo di reagire". Sua moglie e figlia vivono per lo più nel Regno Unito: "Tutti qui hanno uno ‘sponsor’, come diciamo da noi, un membro della famiglia in Occidente, altrimenti non ce la fai”. Prima di trasferirsi a Birmingham, la figlia di George faceva la cameriera nel bar della base militare. Lei ha un bel ricordo degli americani, "persone rispettabili", dice. Suo padre non è sicuro di "come sia successo", ma sottolinea che "la strada, l’elettricità e le fognature sono stati fatti da quando sono arrivati".
Il sindaco di Deveselu, Nicolae Dobre, è convinto che gli abitanti apprezzano gli americani. "Hanno costruito un asilo e ristrutturato la scuola elementare, tutto con i loro soldi", spiega. Si è anche compiaciuto delle buone maniere dei soldati, che "vengono a salutare la giornata nazionale rumena o a scambiare qualche frase in inglese con i bambini di Deveselu. Ma per lui, il principale vantaggio della loro presenza nel comune è il fatto che la gestione della pace non è più di competenza della Romania: "Essere sotto l’ombrello della NATO è la cosa migliore che potesse capitarci. Senza di essa, Putin ci avrebbe invaso", dice il sindaco. Pensa anche ai posti di lavoro creati, anche se non sa dirci in quali campi sono stati creati. "Come non apprezzare questo scudo? Protegge tutta l’Europa ed è qui nel nostro villaggio! Per me, questa protezione è particolarmente necessaria oggi e penso che lo sarà per sempre", riassume il sindaco.
Tuttavia, per altri, non essere responsabili della propria sicurezza non è così positivo. Valerica Oprea staziona ogni giorno lungo la strada – chiusa al pubblico – che porta allo scudo missilistico. È lì che questo pensionato va a vendere il suo miele. L’uomo non capisce perché "un altro paese deve venire a mantenere la pace nel nostro paese al posto nostro". Valerica ha difficoltà a digerire il fatto che la Romania stia esternalizzando la sua sicurezza, "soprattutto perché non è nemmeno chiaro se questo scudo possa davvero proteggerci”. Sino ad ora infatti non è stato mai utilizzato. Lo scudo NATO è teoricamente in grado di intercettare i missili balistici intercontinentali. Come molti nella regione, Valerica ha lavorato per 15 anni nell’ex base aerea rumena dove è stato costruito. Nelle telecomunicazioni. Il pensionato ricorda che il suo paese non ha mai invaso nessuno e che, dopo tutto, "la guerra in Ucraina non dovrebbe essere affare della Romania".
Anche Octavian Mărgescu ha lavorato alla base, costruita durante l’era comunista. Questo ex comandante di squadriglia passa ora la sua pensione nel quartiere degli aviatori, dove si è trasferito quando ha iniziato a lavorare a Deveselu. In Romania si chiama "colonia", un quartiere creato dal nulla nel 1951 per ospitare la forza lavoro. Il quartiere degli aviatori esiste ancora oggi. Gli edifici, stanchi per gli anni trascorsi e per la mancanza di manutenzione, sono ancora in piedi.
Per quanto riguarda i piloti e l’ex personale della base, pochissimi vivono ancora lì. Ma Octavian ha preferito rimanere. Di fronte alla porta d’ingresso del suo edificio a tre piani si trova un MIG-21, uno degli aerei da combattimento russi che pilotava. Un monumento alle origini della colonia (e all’amicizia rumeno-sovietica) e dei 150 appartamenti costruiti qui, nel mezzo di un bosco di querce. Octavian è critico anche nei confronti dell’acquisto della base da parte di stranieri.
"All’epoca avevamo un esercito, ora non abbiamo nulla", dice. "La gente del posto che lavora nella base sono solo dei guardiani e non sappiamo nemmeno cosa succede lì dentro…". L’anziano critica fortemente la mancanza di visione delle autorità dopo la caduta del comunismo: "Non abbiamo più un esercito, è un fatto, ma almeno si sarebbe potuto fare qualcosa con tutti questi edifici militari in rovina e abbandonati… case popolari, qualcosa di un po’ utile almeno…".
Deveselu si trova a 7 km da Caracal, 30.000 abitanti, la città principale della zona. Daniel, 40 anni, vive lì da quando aveva sei anni. Suo padre si occupava della carrozzeria degli aerei MIG di una delle tante unità militari della città. Visto dal 2022, questo passato sembra lontano. "Ogni mattina c’erano decine di autobus che portavano dalle unità dei paracadutisti, dall’artiglieria, dalle unità corazzate, dall’aviazione. C’erano militari dappertutto, la banda militare degli ottoni suonava nel parco ogni domenica, era costantemente pieno", ricorda Daniel nel caffè all’ingresso del parco.
Secondo Daniel, lo scudo rimane qualcosa di molto astratto per la maggior parte delle persone qui. Come commerciale, è spesso in viaggio e non segue troppo le notizie di attualità. Non è felice della perdita di prestigio della sua città e sospira quando sente parlare delle persone che sono emigrate. "Quando vedi che non ci sono più bambini nella tua strada, ti chiedi…" Ma Daniel è resiliente e rifiuta di arrendersi. “Sarebbe troppo facile", spiega. Il quarantenne ricorda che quando lo scudo è stato costruito qualche anno fa “c’erano turchi, arabi, ceceni che venivano a lavorare qui, era fantastico. Ma nessuno poi, o quasi, è rimasto”.
Ion Dordulea, sindaco di Caracal, conosce perfettamente questo passato militare. "I primi reggimenti sono arrivati qui quasi 150 anni fa. Sotto il comunismo, i militari e le loro famiglie rappresentavano circa il 40% della popolazione locale. Erano 16.000 persone su un totale di 40.000”. Oggi vivono ancora in città 1.200 famiglie di pensionati. Ma il sindaco sottolinea che vi è una leggera crescita del personale impiegato nella base, ma non sono più di 200-300. "Posti di lavoro legati allo scudo. Inoltre quest’ultimo darà impulso all’economia contribuendo al bilancio dell’ente locale. Se si guarda alla nostra storia, abbiamo sempre protetto l’Europa dagli invasori, turchi o altro. Avevamo solo bisogno di aiuto per continuare a farlo", dice l’entusiasta ex uomo d’affari, che sogna di vedere i giovani tornare nella sua città e conta sui fondi europei per raggiungere questo obiettivo.
Cristian, ventenne, è uno di loro. Ha lasciato la Romania molto giovane e ha trascorso gli ultimi 17 anni della sua vita ad Alicante, in Spagna, con sua madre. Il motivo del loro ritorno è stato il basso livello di tasse in Romania, che ha reso più facile per lei e il suo nuovo marito spagnolo gestire la loro attività di trasporto di frutta e verdura dalla Romania.
Sei mesi fa è tornato al suo villaggio natale e ha trovato lavoro in un supermercato in città. "È più tranquillo che ad Alicante, siamo a nostro agio e c’è da lavorare con tutta la gente che parte per altri paesi", dice Cristian, che ha intenzione di stabilirsi a lungo termine. Ma la guerra non è mai lontana. "Alla fine di febbraio, quando gli anziani del villaggio hanno iniziato a parlare senza senso dello scudo, mia madre e suo marito sono andati nel panico. Ma alla fine la gente si è calmata e abbiamo deciso di restare. La sua ragazza lavora alla base di Deveselu e anche lui ha messo gli occhi su come entrare nell’esercito: "Per la stabilità e la pensione a 45 anni”.