Romania: il giornalismo sul crinale
Giornalismo e libertà d’informazione sono in pericolo in Romania? Lo stato dell’editoria e il rapporto tra media e potere nell’intervista a Ioana Avadani, direttrice del Centro per il giornalismo indipendente romeno
Secondo l’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere la Romania è al 42esimo posto nell’indice sulla Libertà di stampa e ha guadagnato cinque posizioni in un anno. E’ d’accordo con questa piccola promozione?
Non do molta importanza a questo tipo di classificazioni, perché sono estremamente parziali. Un paese può guadagnare posizioni soltanto perché gli altri scendono. Non è la posizione in classifica che conta ma il punteggio: lì si estrinseca il vero valore di questo indice.
Applicando la stessa metodologia di anno in anno si possono davvero misurare i progressi del sistema dei media nei diversi paesi. Se si guarda al punteggio della Romania negli ultimi due anni si può vedere facilmente che il reale incremento è di appena mezzo punto percentuale. E noi percepiamo che si progredisce troppo poco: mi fa piacere che nel Report si noti.
Per quanto riguarda la libertà di stampa non gareggiamo contro gli altri paesi ma contro noi stessi. Siamo in una situazione così penosa che sembra quasi che anche se corressimo da soli arriveremmo comunque secondi.
La libertà di stampa in Romania, come in molti paesi, è tutelata dalla Costituzione ma nella pratica è indebolita dalla poca indipendenza finanziaria dei gruppi editoriali e dagli interessi politico-economici nel settore. Il culmine si è avuto nel 2012 nello scontro tra Traian Băsescu e Victor Ponta. Qual è la situazione adesso?
La situazione è la stessa se non addirittura peggio. L’insicurezza finanziaria è ancora presente e anche gli effetti della prolungata crisi economica sono ancora ben visibili nel sistema dei media romeni. Il mercato della pubblicità ha continuato a contrarsi anche nel 2013, arrivando a 295 milioni di euro dai 540 milioni del 2008. Le entrate pubblicitarie si sono praticamente dimezzate e nessun imprenditore può essere pronto a sopravvivere senza conseguenze a un impatto del genere.
Di fatto lo stato è diventato uno dei principali player, per non dire il principale, sul mercato pubblicitario. Non si tratta solo di soldi pubblici, ma per la maggior parte di progetti europei. Secondo uno studio condotto dal Centro per il giornalismo indipendente, di cui sono direttore, circa l’80% di contratti di pubblicità firmati con le autorità statali sono collegati o pagati da fondi europei.
Con lo stato come grande inserzionista è chiaro che gli interessi della politica e delle imprese predominano e si intrecciano. I nostri studi mostrano che, in questo caso, la volontà delle autorità di "comprare" media compiacenti si incontra con quella di alcune imprese editoriali che vogliono essere "comprate".
La diffamazione non è più un reato in Romania dal 2010, dopo una sentenza della Corte di Cassazione. Ma questa decisione ha davvero migliorato la situazione dei giornalisti?
La situazione è molto complessa. A luglio 2006 l’articolo 205 (offesa) e il 206 (calunnia) sono stati abrogati come parte degli sforzi della Romania per armonizzare la legislazione agli standard sui diritti umani in vista dell’adesione all’Ue nel 2007. A gennaio 2007, pochi giorni dopo l’ingresso nell’Ue, la Corte costituzionale ha però emesso una sentenza di incostituzionalità sulla depenalizzazione dei due articoli. L’Alta corte ha sancito che la dignità umana è un diritto troppo alto per non essere protetto da una norma del Codice penale.
Fino al 2010 ha regnato l’ambiguità, poi la Corte di Cassazione (l’ultimo grado della giustizia romena) ha emesso una sentenza secondo cui i due articoli vengono abrogati.
Dal primo febbraio 2014 è in vigore il nuovo Codice Penale nel quale non esistono disposizioni “sui crimini contro la dignità umana”. Dal punto di vista legale si potrebbe dire che è un affare chiuso. Ma la sentenza della Corte Costituzionale secondo cui la dignità umana deve essere tutelata secondo il Codice Penale resta. E’ una minaccia permanente, una base su cui chiunque può creare un meccanismo legale che può rimettere in discussione anche la penalizzazione del reato di diffamazione o calunnia.
Il National Audiovisual Council (CNA), che sulla carta ha il compito di “garantire che gli operatori di radio e tv lavorino nel rispetto della libertà d’espressione e della competitività”, è stato duramente criticato per il suo “atteggiamento politicizzato” ed è stato giudicato un organo inadeguato…
I membri del CNA sono nominati dai partiti, dal primo ministro e dal presidente, e alcuni di loro pensano di dover ripagare questa nomina con la loro lealtà.
Non credo che i leader politici controllino direttamente il lavoro del Consiglio, ma non posso fare a meno di notare che le affiliazioni politiche o le simpatie influenzano le decisioni.
Inoltre esiste un conflitto di interessi morale, se non addirittura legale, quando i membri del CNA espongono le loro idee politiche sui media o commentano quello che accade in qualche talk show.
Credo che il Consiglio potrebbe avere un ruolo davvero importante in un paese dove l’80% della popolazione guarda la tv e apprende le notizie dalla televisione, ma fin quando questa istituzione non lavorerà in maniera indipendente non potrà proteggere l’interesse pubblico.
Il settore dei media in Romania è, per la parte privata, in mano a imprenditori che hanno spesso interessi sia nella politica che nell’economia. Per esempio Antena 1, in mano al politico Dan Voiculescu. Oppure la rete OTV, controllata dal magnate Dan Diaconescu, noto come il Berlusconi romeno. O ancora il tycoon Dinu Patriciu che, dopo le accuse di riciclaggio, ha venduto il suo Adevărul a Cristian Burci. Nello stesso tempo il settore dei media online spesso manca di risorse per portare avanti inchieste indipendenti. E’ questa l’immagine del settore editoriale romeno?
Alcuni anni fa temevamo che si creassero delle concentrazioni di imprese editoriali. Adesso, guardando al passato, le nostre preoccupazioni ci fanno sorridere. Dove sono i magnati romeni? Uno è in prigione, uno in bancarotta, un altro è condannato in attesa di appello.
I grandi investitori stranieri hanno abbandonato il paese, stanno per vendere o si concentrano su riviste patinate. I grandi imperi si sono sbriciolati e ridotti a piccoli, irrilevanti e vulnerabili operazioni editoriali che fanno quello che possono per restare a galla.
I media online non sono un modello d’impresa di successo per il momento. I romeni si sono abituati ad avere le notizie gratis, e non c’è nessun segnale che siano pronti a pagare. Esistono iniziative di crowd-funding di successo, ma sono limitate a progetti specifici, portati avanti da giovani giornalisti che sono capaci di attrarre l’attenzione di un pubblico di nicchia che cerca un giornalismo di qualità.
La mia speranza è che i media possano educare il pubblico al valore dell’informazione. Soltanto allora potremo avere una rinascita del giornalismo e dei suoi standard. Sono fiduciosa? Sì, se non lo fossi non farei questo lavoro: monitorando lo stato dei media, formando i lettori e i giornalisti, le autorità, i giovani, lottando per internet libero e aperto e per la libertà d’espressione. Per queste cose bisogna ancora lottare, e questo spiega molto.