Romania e Italia: soluzione scaccia-crisi?

Dopo l’onda lunga della crisi, la spinta dell’Europa e la ripartenza di un paese in cui le aziende italiane hanno investito molto. Intervista a Giulio Bertola, vice presidente vicario di Confindustria Romania.

03/06/2014, Matteo Tacconi -

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Dennis Jarvis/Flickr

La crisi globale non ha risparmiato né l’Italia, né la Romania. Entrambi i paesi, quando nel 2008 è iniziata l’attuale congiuntura, la più grave dalla grande depressione del 1929, hanno avuto contraccolpi pesanti. Le conseguenze, dati i legami economici profondi tra Roma e Bucarest, sono subito emerse nella loro portata. C’è stato un rallentamento degli investimenti italiani e un parallelo indebolimento del retroterra romeno, dove molte delle imprese italiane, specialmente quelle con sede nel Nordest, hanno messo le radici nel corso degli anni. Ma oggi, con la crisi che sembra volgere verso la fine, com’è la situazione? Le attività italiane sono sulla via della ripresa? La Romania s’è messa alle spalle i problemi economici? Lo abbiamo chiesto a Giulio Bertola, vice presidente vicario di Confindustria Romania.

Il dato sulla presenza economica italiana in Romania è superiore o inferiore rispetto a quello pre-crisi?

La congiuntura economica mondiale ha influito negativamente anche sulla presenza delle imprese a partecipazione italiana in Romania. Oggi ci sono circa 17mila imprese, mentre prima del 2008 erano sulle ventimila. Tutto questo, comunque, non ha intaccato l’importanza storica che la Romania riveste come polo attrattivo degli investimenti italiani. L’Italia continua a essere, da oltre dieci anni, il principale paese investitore per numero di aziende registrate (a livello di volumi totali la Banca centrale romena indica che nel 2012 l’Italia era il quinto paese investitore).

L’area di Timișoara, un polo molto importante per gli investimenti italiani, che dinamiche ha registrato in questi ultimi tempi?

È difficile disporre di dati precisi, specie quando, come nel caso italiano, si ha a che fare con tante piccole e medie imprese. I numeri di cui si dispone rivelano in ogni caso che negli ultimi anni si è assistito a un leggero calo della presenza italiana a Timiş, il distretto che si snoda intorno a Timișoara. Nel 2010 le aziende operanti erano 2462, oggi ce ne sono 2076. L’importanza del distretto, dove c’è il tasso di disoccupazione più basso del paese (neanche il 2%), non è comunque in discussione. A Timiş e nelle contee limitrofe (Arad, Bihor, Cluj) si concentra oltre un terzo della presenza imprenditoriale italiana in Romania.

Si tende a dire che la Romania non sarebbe più così attraente per le aziende italiane, dato che, da quando Bucarest è entrata nell’UE, i salari e il costo del lavoro sono aumentati. Al tempo stesso c’è la concorrenza che arriva da paesi come la Serbia, la Bulgaria o gli stati del Maghreb, dove un’impresa, sul fronte dei costi, può trarre maggiori vantaggi. È così?

No, non credo sia questo il caso. Per un investitore italiano la Romania rimane la scelta migliore, al di là del discorso sui costi del lavoro. Il Maghreb pone sicuramente dei dubbi sulla stabilità politica, per un investimento a lungo termine. Per quanto riguarda la Bulgaria, dal 2007 a oggi la produzione industriale nel paese ha subito un lieve calo mentre in Romania, nonostante la congiuntura economica internazionale sfavorevole, ha continuato a crescere. Questo dato è significativo e sta a indicare come l’ambiente economico-industriale romeno sia stato in grado di reagire bene alla crisi. Da non tralasciare poi il fatto che Bucarest, sulla base della nuova programmazione europea, che copre il periodo 2014-2020, registrerà un afflusso di fondi strutturali maggiore che in passato.

L’Italia è un caso sui generis, o anche gli altri investitori hanno rallentato le attività?

Gli investimenti diretti esteri in Romania registrano da tre anni un trend decrescente e hanno ormai raggiunto il livello minimo degli ultimi sei anni. Ma, detto questo, gli investimenti di un certo peso non mancano. La Bosch per esempio sta investendo a Jucu (Cluj) in una fabbrica di componenti elettriche per autovetture. L’investimento ammonterà a circa 77 milioni di euro e dovrebbe portare alla creazione di duemila posti di lavoro. Il gruppo statunitense ICCO ha inaugurato nel parco industriale di Ghimbav, nella provincia di Brasov, il primo tipo di progetto privato di “rete intelligente” in Romania, investendo undici milioni di euro. La società ceca CEZ ha completato il parco eolico di Fantanele-Cogealac, il più grande dell’Europa continentale, con una capacità installata di 600 megawatt. Tra i nostri gruppi, invece, De Longhi ha acquistato a fine 2011 lo stabilimento produttivo dal gruppo finlandese Nokia, che ha lasciato la Romania. L’investimento è di circa 30 milioni di euro. Circa mille i posti di lavoro generati. Insomma, c’è una certa vivacità anche al tempo della crisi.

La Romania sta tornado a crescere. Nel 2013 il Pil ha avuto un’espansione importante, superando il 3% e andando oltre le migliori previsioni. Nelle città principali c’è ormai una classe media che guarda ai consumi e ai prodotti di qualità. Le imprese italiane stanno tentando di promuovere, in virtù di questo, anche attività orientate a servire il mercato? 

Le aziende italiane in Romania hanno superato da almeno cinque anni quella fase in cui il principale scopo era la ricerca del semplice vantaggio sul costo del lavoro. La nuova e più moderna visione di business è caratterizzata da un’internazionalizzazione più evoluta, finalizzata a posizionare l’azienda italiana in modo permanente nell’economia romena. C’è da auspicarsi che la maggior parte degli imprenditori italiani adottino questa strategia nel futuro prossimo. La Romania è il maggiore mercato del sudest europeo, i redditi pro-capite sono in costante crescita, come la domanda interna e il consumo finale.

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