Romania: democrazia senza partecipazione
“Resource Center for Public Participation” è un’ong che, in Romania, nasce per favorire la partecipazione dei cittadini al processo decisionale delle istituzioni: un obiettivo però tutt’altro che semplice. Abbiamo intervistato la sua direttrice Oana Preda
Può presentare l’associazione in cui lavora?
La nostra organizzazione si chiama Resource Center for Public Participation (CeRe). Vogliamo che i cittadini e le organizzazioni civiche siano in grado di far sentire la propria voce ai decisori politici. A tal fine, svolgiamo un’intensa attività di advocacy e di monitoraggio per assicurarci che le istituzioni pubbliche seguano le buone pratiche e le normative in termini di stato di diritto, libertà di informazione o di consultazione dei cittadini durante il processo decisionale.
Ad esempio, organizziamo un Gala Award per la partecipazione pubblica con il quale individuiamo le diverse iniziative di advocacy e premiamo quei cittadini o quelle ONG che sono riuscite a prendere parte ai processi decisionali in diversi modi, ad esempio convincendo un sindaco a servire un pasto caldo nelle scuole per i bambini delle famiglie più emarginate. Recentemente abbiamo iniziato a lavorare molto con i gruppi più marginali perché i problemi sociali tendono ad essere ignorati e non rientrano quasi mai nell’agenda politica. Abbiamo quindi deciso di lavorare di più con le persone che vivono senza fissa dimora o in altre forme di povertà, soprattutto nelle comunità rurali e isolate.
In collaborazione con altre organizzazioni abbiamo inoltre facilitato la coalizione NGOs for Citizens impegnata nel monitoraggio del rispetto dei principi democratici e dello spazio civico da parte del governo e delle istituzioni. Ci battiamo, in particolare, per l’ampliamento dello spazio civico, facendo pressione affinché venga migliorata la legge sulle riunioni pubbliche e sulla libertà di informazione.
Come è nata la coalizione NGOs for Citizens? Quanto è importante lavorare insieme ad altre organizzazioni della società civile a difesa dello spazio civico?
Abbiamo avviato questa coalizione in quelli che sono stati veri e propri tempi di crisi per la società civile in Romania, durante i quali abbiamo identificato tre livelli di offesa o abuso del nostro lavoro.
Il primo in termini di comunicazione pubblica. Molti funzionari pubblici o opinion leader hanno iniziato a diffondere l’idea che ONG sia sinonimo di interessi stranieri nel paese o di propaganda LGBT e così via. Ci sono poi stati molti abusi in termini legislativi, di tentativi da parte del parlamento di imporre nuove e gravose leggi per le ONG. Il terzo livello riguarda la marginalizzazione del settore nel processo decisionale.
Quando abbiamo fondato la coalizione, la nostra missione era quella di difendere lo spazio civico e cercare di ridurre tutti questi aspetti negativi. Dopo qualche tempo abbiamo iniziato a vedere qualche miglioramento e abbiamo deciso di adottare un approccio più proattivo: invece di pensare alla società civile come ad un attore da difendere, abbiamo iniziato a concepire noi stessi come un attore in grado di promuovere lo spazio civico, migliorando le leggi e la loro attuazione. La nostra prima grande campagna di advocacy è stata dedicata al miglioramento della legislazione sulle riunioni pubbliche, ad esempio.
Dopo qualche tempo, le cose sono cambiate di nuovo. E’ arrivata una nuova coalizione molto forte al governo e un’opposizione molto debole e questo ha reso i nostri sforzi di advocacy sempre più difficili.
Poi c’è stata la pandemia, durante la quale molti principi democratici sono stati ignorati. Quando il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, ad esempio, una delle prime misure adottate è stata quella di raddoppiare il tempo in cui le istituzioni sono tenute a rispondere alle richieste di informazioni pubbliche, portandolo da 30 a 60 giorni. Questo non solo per le istituzioni che si occupano di salute, ma per qualsiasi altro tipo di istituzione. Il problema è che non c’è stata alcuna discussione pubblica al riguardo. Questo è un esempio di come il governo ha agito durante la pandemia. La cosa peggiore è che, almeno all’inizio, nessuno ha contestato nulla. Quando dico nessuno, mi riferisco soprattutto ai media. Non c’è stata nessuna contestazione delle decisioni governative. In quel momento è stato preoccupante vedere che tanti principi democratici venivano ignorati senza che nessuno presentasse obiezioni di sorta.
A fine maggio avete pubblicato il rapporto sullo Stato della Democrazia 2021. Quali sono i principali risultati di questo rapporto? Ci sono stati cambiamenti o sviluppi significativi rispetto agli anni precedenti?
Il primo anno che abbiamo analizzato è stato il 2020, l’anno della pandemia, quando in Romania c’era lo stato d’emergenza. Pensavamo che il 2021 sarebbe stato l’anno della normalizzazione, ma così non è stato.
Una delle questioni che il rapporto prende in considerazione è la trasparenza dei processi decisionali e i mezzi che le persone e le ONG hanno a disposizione per impegnarsi ed essere coinvolte. La legge sulla trasparenza in Romania è abbastanza buona: gli organi governativi, a livello centrale e locale, sono tenuti a pubblicare qualsiasi bozza di decisione 30 giorni prima dell’adozione ufficiale. In questo arco di tempo i cittadini e le organizzazioni possono presentare raccomandazioni o richiedere un dibattito pubblico. Naturalmente ci sono molte eccezioni, per emergenze o altro, ma la regola di base è questa.
Ciò che accade in realtà è che la legge viene rispettata solo formalmente, solo per spuntare una casella su una lista. Per fare un esempio, alla fine dell’anno scorso il governo ha pubblicato una bozza di decisione relativa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per cui è stato richiesto un dibattito pubblico. Il ministero responsabile ha organizzato la consultazione, ma il governo ha programmato l’adozione della decisione all’ordine del giorno nella stessa data in cui si sarebbe dovuto svolgere il dibattito. Di fatto, la decisione è stata adottata prima che scadesse il limite di 30 giorni e senza tenere in considerazione le raccomandazioni dei cittadini. Questo è un esempio di quello che accade a livello centrale.
A livello locale le cose vanno ancora peggio; nel comune di Bucarest, ad esempio, solo nel 3-5% dei casi le decisioni prese dal Consiglio comunale seguono le regole relative alla partecipazione pubblica. Inoltre, a partire dal 2022 il governo ha deciso di modificare questa legge senza alcuna consultazione attraverso un’ordinanza d’urgenza, quindi senza coinvolgere i cittadini, addirittura senza informarli. Come coalizione, abbiamo rilasciato alcune dichiarazioni in merito e abbiamo raccomandato al difensore civico di rivolgersi alla Corte Costituzionale, perché pensiamo che una simile procedura non sia conforme alla Costituzione. Il difensore civico l’ha fatto, ma siamo ancora in attesa della sentenza.
Un’altra questione è la libertà di accesso alle informazioni. In questo caso abbiamo notato che il GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati, è diventato uno dei nemici del FOIA, la legge sulla libertà di informazione. Sempre più istituzioni citano infatti il GDPR come motivo per non rilasciare varie informazioni. Ad esempio, qualche tempo fa volevamo inviare una lettera a ciascun consigliere locale di uno dei distretti della città, così abbiamo consultato il sito web dell’istituzione pensando che le e-mail dei consiglieri locali fossero pubbliche, come ci si aspetterebbe. Non era così. Allora abbiamo inviato una lettera al sindaco raccomandandogli di pubblicare gli indirizzi e-mail dei consiglieri sul sito web. La risposta che abbiamo ricevuto è stata che gli indirizzi e-mail sono protetti dal GDPR e non possono essere resi pubblici. Questo è uno degli effetti assurdi del regolamento, perché ovviamente dovrebbe esserci un mezzo di comunicazione diretta tra i cittadini e i rappresentanti locali. Al di là del GDPR, molte istituzioni pubbliche e partiti politici si rifiutano semplicemente di offrire informazioni quando vogliono tenere nascosto qualcosa. Purtroppo il disegno di legge che andrebbe a migliorare l’attuale legge sulla libertà di informazione è bloccato in parlamento ormai da molto tempo.
Un altro campo che abbiamo monitorato è quello relativo alla libertà di riunione. Abbiamo una legge che regola la libertà di riunione pacifica, casi di protesta o qualsiasi altro tipo di raduno pubblico o nello spazio pubblico. In questo caso, una delle questioni più problematiche è che il governo ha mantenuto restrizioni sproporzionate per le riunioni pubbliche durante tutto il 2021, anche se tali restrizioni sono state allentate per eventi simili come concerti o eventi religiosi, per andare al cinema o in un centro commerciale. Le restrizioni per le riunioni pubbliche sono state allentate molto più lentamente. Non ricordo più quante volte abbiamo presentato denunce e cercato di convincere il governo a riconsiderare le restrizioni imposte. Abbiamo avuto problemi con l’organizzazione del pride LGBT a Bucarest e in un’altra grande città della Romania, dove i sindaci hanno cercato di usare la pandemia come pretesto per vietare o deviare il percorso del pride.
Un altro problema rispetto alla libertà di riunione è legato alla legge stessa, ormai piuttosto datata e scritta dal ministero degli Interni pensando alla sicurezza pubblica piuttosto che alla libertà di riunione come diritto dei cittadini. In base alla legislazione attuale, un’assemblea pubblica può essere vietata per i motivi più svariati: è troppo vicina alla stazione ferroviaria, è troppo vicina alla stazione della metropolitana, disturba i dipendenti pubblici… ma le proteste a volte sono organizzate per disturbare, cosa che è ampiamente accettata, compresa e difesa dal diritto internazionale ed europeo. Sono passati tre anni da quando abbiamo iniziato a chiedere il miglioramento di questa legge. Con il precedente parlamento a un certo punto c’è stato qualche progresso, la proposta di legge era stata approvata in una delle due camere. Con la nuova maggioranza in parlamento però c’è il rischio che la proposta venga respinta.
Ben tre capitoli riguardano da vicino le questioni legate alla libertà di stampa. In particolare, si dice che gli attacchi contro i giornalisti in Romania provengono frequentemente dal mondo della politica. Come diceva lei stessa, spesso i giornalisti rinunciano al loro ruolo di controllo del corretto andamento della vita pubblica e della trasparenza, per paura di ritorsioni. Queste sono tutte questioni che vengono analizzate nella Relazione sullo stato di diritto della Commissione europea pubblicata a luglio. Come viene accolta la Relazione sullo stato di diritto in Romania? Pensa che la società civile e i giornalisti parlino abbastanza di questo processo?
No, non direi. Questo è sicuramente una fonte di delusione per noi, perché vediamo che molte questioni legate allo spazio civico, alla libertà dei media e allo stato di diritto non solo non entrano nel dibattito o nell’agenda pubblica, ma nemmeno in quella dei giornalisti o della maggior parte delle organizzazioni della società civile.
Il Resource Center o la coalizione NGOs for Citizens lavorano anche a livello europeo o internazionale? Come sfruttate gli strumenti o gli spazi europei per la partecipazione civica? Avete qualche tipo di rapporto con le istituzioni europee o utilizzate strumenti e spazi offerti dall’UE?
Onestamente, non lo facciamo. Purtroppo, non riusciamo a lavorare a livello europeo o internazionale perché siamo un piccolo team e con le risorse che abbiamo, abbiamo deciso di focalizzarci su altre priorità. Alcune ONG della coalizione NGOs for Citizens lo fanno, anche se in misura ridotta.
Ha parlato di risorse, ci sono altre sfide o ostacoli che impediscono questo tipo di lavoro a livello transnazionale o europeo?
Un problema fondamentale è la mancanza di risorse umane. Siamo un piccolo team e questo paese ci tiene molto occupati. Con la coalizione ONG for Citizens cerchiamo di monitorare costantemente ciò che accade qui e di reagire il più rapidamente possibile, quindi spesso sono il governo e le altre istituzioni pubbliche a dettare la nostra agenda.
Allargando il quadro al panorama rumeno, in che misura ritiene che le organizzazioni della società civile vedono l’Unione Europea e gli strumenti che essa offre per la partecipazione civica come un alleato nelle loro lotte politiche?
Ora non molto, direi. Prima del 2006, quando la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea, la società civile, in qualità di “cane da guardia” – watchdog – e di sostenitore del processo di integrazione, si affidava di più all’UE, ai suoi strumenti e alle sue opportunità. Credo fosse più facile usare gli spazi e gli strumenti europei come una sorta di “minaccia”, perché il governo aveva un interesse reale a far entrare il paese nell’UE, la Romania era monitorata e doveva adottare gli standard europei. Dopo l’integrazione, è diventato più difficile utilizzare questi strumenti di advocacy; ad oggi manca un vero e proprio meccanismo di controllo per gli stati membri.
Certamente gli spazi e gli strumenti europei sono utili, ma non so fino a che punto. Da un lato penso che sia importante che gli organismi internazionali o l’UE reagiscano a ciò che accade in Romania. Dall’altro, a volte ho l’impressione che a questo governo non importi nulla. Ad esempio, quando ci siamo battuti per migliorare la legislazione sulle riunioni pubbliche, abbiamo usato molte sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come argomenti per dimostrare che tutto ciò che dicevamo si basava su diverse decisioni della CEDU. Abbiamo usato le linee guida europee… Tutto è stato ignorato. Non gliene importava nulla. Certo, per noi è stato un bene poter citare alcuni documenti. Tuttavia, possiamo usarli solo in misura limitata perché per lo più vengono ignorati.
Quindi, la mancanza di risposta e il disinteresse del governo scoraggiano in qualche modo il settore civile dall’utilizzare gli spazi europei?
Sì, ma questo non vuol dire che sia inutile farlo, anzi, è comunque importante. Noi cerchiamo di sfruttare ogni occasione che ci viene offerta per denunciare ciò che non funziona. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, molti organismi internazionali sono venuti in Romania per valutare la situazione. Abbiamo pensato che fosse utile denunciare le mancanze delle istituzioni ad ogni delegazione che ci ha fatto visita.
Esiste un transnazionalismo tra società civili di diversi paesi? La vostra organizzazione intrattiene rapporti o collaborazioni con altre ONG o organizzazioni della società civile di altri Stati membri dell’UE?
Ci abbiamo provato. Ma ancora una volta, non lavoriamo molto a livello internazionale, non perché pensiamo che non sia utile, ma perché siamo un piccolo team e cerchiamo di concentrare le nostre risorse. Tuttavia, se avessimo più persone e fossimo più organizzati queste collaborazioni sarebbero molto utili e d’aiuto. Poter dire che una nostra dichiarazione è sostenuta da 20 ONG in tutta Europa renderebbe sicuramente la nostra voce più forte.
La coalizione NGOs for Citizens è nata grazie al contributo di CIVITATES – un’iniziativa filantropica per la democrazia e la solidarietà in Europa, che fornisce supporto alla società civile per difendere lo spazio civico e rafforzare il suo ruolo all’interno della democrazia europea.