Romania, buone notizie da un decennio perduto

Nel decennio 2000-2010 la Romania è stata spesso sotto i riflettori dei media internazionali per eventi negativi. Gli scorsi dieci anni, però, hanno segnato per il paese non pochi sviluppi positivi e niente affatto scontati, sotto i profili economico, politico e sociale. Nostra analisi

19/01/2011, Cornel Ban -

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In centro a Bucarest, capitale della Romania - frestivo/fickr

La Romania è da sempre una fonte sicura per chi è alla ricerca di cattive notizie. I media internazionali non sono certo teneri con il paese, con una copertura orientaleggiante favorita dal gusto locale per un’autocritica teatrale. Nonostante tutto, però, rovistando nel ginepraio di cattive notizie, si possono trovare non pochi elementi positivi. Le buone nuove non si limitano al fatto che una minoranza ristretta di rumeni (soprattutto nelle città più grandi) riceve salari a livello di quelli occidentali, salari che spesso vengono spesi senza badare troppo al domani. Storie di questo tipo occupano le prime pagine di riviste patinate e stampa economica, ma non sono indicatori attendibili di progresso economico

Le notizie positive, in realtà, vanno al di là dei meri dati economici. Fino all’esplodere della crisi, l’economia rumena segnava uno dei tassi di crescita più alti in Europa. Il PIL pro capite è salito dai 3mila dollari del 2000 ai 9mila di dieci anni più tardi. Secondo le statistiche dell’Ue, nel 2011 il PIL pro capite rumeno sarà pari al 46-48% di quello medio europeo. A giudicare da queste cifre, non ha molto senso definire la Romania “un paese povero”. D’altra parte, non bisogna tacere che, anche all’apice del boom economico, milioni di rumeni continuavano a vivere nell’indigenza, senza godere di servizi basilari. La buona notizia, però, è l’aver constatato che la Romania ha il potenziale economico per generare ricchezza a sufficienza per uscire dal ruolo di “cugino povero” della famiglia europea. Ma se guardiamo oltre i dati relativi al PIL, possiamo trovare altri segnali di speranza.

Tramonto degli estremismi e crescita economica

Politicamente, la scorsa decade ha segnato alcune sorprese positive. Innanzitutto, il rischio di violenza etnica in Romania sembra ormai molto remoto. La retorica etno-nazionalista è stata messa da parte, e il partito della minoranza ungherese è stato un pilastro dei vari governi succedutisi a Bucarest dal 1997, senza che questo provocasse troppi scossoni. Al tempo stesso la destra estrema ha perso terreno fino a diventare irrilevante, e ultranazionalisti come Corneliu Vadim Tudor e Gheorghe Funar hanno visto sfumare le proprie ambizioni politiche. Allo stesso tempo il progetto di destra populista lanciato dal tycoon Gigi Becali non ha trovato spazio, nonostante le ingenti somme investite sull’arena politica.

C’è poi da dire che, anche se i benefici dell’integrazione europea non sono ancora così visibili, questa in Romania rimane solida e popolare. Infine i potenziali rischi nelle relazioni con Ucraina, Russia e Ungheria non si sono mai trasformati in realtà. Le relazioni rumeno-russe potrebbero essere migliorate, ma ironicamente, il possibile principale antagonista, l’Ungheria, è divenuto uno dei partner più affidabili di Bucarest.

Sul fronte economico, lo sviluppo più importante per milioni di persone è stata la ricostruzione del sistema industriale, nonostante questo lavori ancora al di sotto del proprio potenziale. Non solo a partire dai primi anni 2000 il processo di deindustrializzazione è stato rovesciato, ma la produzione è aumentata garantendo all’economia un forte export, che ha tenuto a galla il paese durante la crisi.

Secondo il Romanian Center for Economic Modeling, nei primi otto mesi del 2010 le esportazioni sono salite di più del 30%, con l’aumento più significativo nell’automobilistico, settore in crisi nel resto d’Europa. La Romania è divenuta un elemento importante nell’industria automobilistica europea, e grazie a questa sono stati creati posti di lavoro più stabili, sindacalizzati e meglio pagati. Non solo la Renault ha ridato vita al vecchio stabilimento Dacia di Ploiesti, che oggi produce due dei modelli più venduti a livello continentale, ma ha anche dato vita ad un centro di ricerca e design industriale che dà lavoro a centinaia di ingegneri locali. La Ford produrrà presto le sue prime auto a Craiova, e decine di industrie dell’indotto producono oggi per i marchi europei leader.

Nokia ha costruito in Romania uno dei suoi stabilimenti più grandi a livello mondiale, e il settore delle telecomunicazioni ha registrato un vero boom: oggi vi sono impiegati 90mila rumeni, mentre altri 16mila lavorano come software designer. Nel 2010 Ernst &Young ha piazzato la Romania tra i primi trenta paesi per il potenziale energetico eolico, e una compagnia ceca sta realizzando un investimento di 1,1 miliardi di euro per costruire una delle più grandi centrali eoliche non lontano dalle coste del Mar Nero. Le vecchie fabbriche del periodo socialista, che secondo molti erano destinate alla scomparsa, perché obsolete e fortemente sindacalizzate, oggi competono sul mercato mondiale dell’acciaio, del tessile, della chimica, delle calzature e dell’energia.

Conquiste importanti, ma fragili

Alcune buone notizie hanno caratterizzato l’indice di sviluppo umano. Attraverso politiche ponderate la diffusione dell’HIV è stata significativamente ridotta, la mortalità infantile dimezzata, il numero di famiglie con accesso all’acqua corrente è aumentato di quattro volte, quelle che hanno accesso ad internet ha toccato il mezzo milione. L’estensione del sistema fognario e della distribuzione del gas alle campagne e ai distretti urbani più poveri ha favorito le classi socialmente svantaggiate. Anche se l’accesso ai servizi sanitari è peggiorato e il gap tra le cliniche private per ricchi e quelle pubbliche si è allargato, i pronto soccorso e l’uso di ambulanze ha visto un impressionante miglioramento.

Prima che fossero lanciati i piani di austerità anticrisi, le donne potevano beneficiare di due anni di maternità, mantenendo il proprio livello di entrate grazie a generosi sussidi pubblici. Migliaia di studenti universitari possono frequentare istituti europei a condizioni economiche vantaggiose, riviste internazionali sono disponibili on-line in molte biblioteche universitarie. Migliaia di scuole pubbliche sono state costruite o rinnovate, e il sistema stradale è stato sensibilmente migliorato. Abitando a Providence, città di 600mila abitanti nel nord-est degli USA, chi scrive può testimoniare che Cluj, la città rumena da cui proviene, ha strade ed edifici scolastici migliori.

A differenza di dieci anni fa, quando le umilianti procedure di visto avvantaggiavano solo falsificatori di documenti e trafficanti, viaggiare all’interno della Romania e all’estero è facile. Compagnie aeree low-cost connettono le città principali, tra loro e con decine di destinazioni europee. Sfortunatamente, attraverso il disimpegno dal sistema ferroviario e costosi investimenti in autostrade, la Romania ha perso la possibilità di sfruttare quello che era il quarto sistema ferroviario d’Europa. Molti treni pendolari sono stati soppressi, e quelli che restano sono in pessime condizioni. Al tempo stesso, però, i treni intercity sono spesso nuovissimi, accessoriati e con tanto di aria condizionata.

Tutti questi risultati non sono stati ottenuti con facilità. In qualche modo questi appaiono sorprendenti vista la combinazione di un sistema politico cronicamente malfunzionante, di nepotismo, politiche economiche dai risvolti distruttivi, e la perdita di quasi un terzo della forza lavoro giovanile dovuta all’emigrazione. Sfortunatamente, le misure di austerità adottate durante la crisi potrebbero azzerare buona parte di queste conquiste. Inoltre, se si volessero raccogliere tutte le storie di fallimenti economici, politici e sociali che hanno segnato la Romania nel passato decennio, il risultato sarebbe sconcertante. 

In ogni caso, le storie che raccontiamo di noi stessi spesso assumono una vita indipendente e influenzano il nostro futuro. Ecco perché è importante raccontare anche storie positive. Soprattutto se vogliamo puntare a una via d’uscita più sostenibile all’attuale vicolo cieco in cui sembra essersi cacciata la Romania.

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