Romania: ai whistleblowers serve qualcosa in più della legge

In Romania una legge sulla difesa dei whistleblowers esiste dal 2004. Ma quanti cittadini romeni ne hanno beneficiato? Qual è il peso reale di una "legge senza società"? L’analisi di Dilema Veche

27/11/2017, Stela Giurgeanu -

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“Ottavo comandamento: non rubare”. Foto di Dilema Veche

(Originariamente pubblicato da Dilema Veche , nostro media partner del progetto ECPMF)

In questi giorni la società romena è, ancora una volta, scossa dalle iniziative del governo per via della riforma fiscale e del progetto di modifica della legge sulla giustizia. Durante la marcia di protesta organizzata il 5 novembre a Bucarest per manifestare contro il “controllo politico sulla giustizia” lo slogan principale scandito dalla folla è stato “Non vogliamo essere una nazione di ladri”. Perché quello che vogliamo è, naturalmente, un paese in cui la corruzione non venga più incoraggiata dall’alto.

Detto questo, quanto siamo disposti a comprometterci per la causa? Che cosa faremmo se sul nostro posto di lavoro, per esempio, ci trovassimo ad assistere ad un comportamento illecito? Ad un capo che sperpera fondi, oppure a dei colleghi che violano leggi o regolamenti? Se fossimo testimoni di frodi, corruzione o fatti che potrebbero addirittura mettere in pericolo la sicurezza pubblica, chiuderemmo gli occhi o denunceremmo? Ci assumeremmo, forse, il peso di essere coinvolti personalmente? E se così fosse, sapremmo quali sono gli strumenti legali ai quali ci potremmo appellare per proteggerci da eventuali conseguenze che potrebbero andare da piccole ripercussioni alla perdita del posto di lavoro?

Sempre più spesso anche in Romania abbiamo sentito parlare dei casi denunciati dai cosiddetti whistleblowers, come lo scandalo “Lux Leaks” in cui sono emersi complessi schemi di evasione fiscale (2014), i “Panama Papers” in cui vengono rivelate informazioni finanziarie relative a migliaia di entità offshore (2015) o lo scandalo legato ai casi di doping degli sportivi russi scoppiato prima dell’inizio dei Giochi Olimpici del 2016. Ciononostante, non ci poniamo mai in maniera seria il problema di cosa implichino queste denunce, e non pensiamo nemmeno alle rappresaglie con cui si devono confrontare coloro che scelgono di denunciare.

La legge esiste, ma chi lo sa?

Alla fine di ottobre il Parlamento Europeo ha votato un’importante risoluzione riguardo la necessità di un quadro legale europeo per la protezione dei whistleblowers: quei cittadini che, testimoni di varie illegalità commesse nelle istituzioni pubbliche o private, decidono di denunciarle.

In Romania abbiamo già una legge simile: siamo il primo paese europeo ad aver previsto una norma che offre protezione ai whistleblowers e, a quanto pare, è anche una buona legge. Si tratta della Legge 571 del 2004, che difende gli interessi dei funzionari pubblici che denunciano comportamenti illeciti. Invocandola, quei vigilantes sono considerati dei whistleblowers e beneficiano quindi di una protezione legale nei confronti di eventuali rappresaglie come la perdita del posto di lavoro.

Nonostante sia una legge molto valida e allo stesso tempo uno strumento che, teoricamente, dovrebbe motivare il coinvolgimento dei cittadini nella lotta alla corruzione, essa non è molto conosciuta e nemmeno tanto adoperata.

Questo articolo è parte di un dossier tematico realizzato dalla rete dei mediapartner di OBCT: 14 testate giornalistiche con sede in altrettanti paesi. Il dossier completo è disponibile qui.

A tal proposito, l’anno scorso, Active Watch ha attirato l’attenzione sulla crescita dei casi di persecuzione nei confronti dei whistleblowers, segnalando il caso di Mariana Rădulescu, primo contabile del Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu. La donna aveva riportato una serie di irregolarità nella gestione delle attività e dei fondi del museo al direttore dell’istituto, accusandone il manager, il professor Sabin Adrian Luca. Egli avrebbe infatti creato un ambiente di lavoro “nocivo, degradante e ostile” tramite “frequenti e ripetute offese, discrediti professionali e umani, ingiustizie, trattamenti discriminatori, tentativi di discriminazione e persecuzione”. Poco dopo, però, la donna è stata sanzionata per aver sbagliato a redigere una fattura. Sebbene Rădulescu abbia fatto ricorso in tribunale, la sua contestazione è stata respinta, per poi ricevere una nuova sanzione a causa dell’assenza immotivata dal posto di lavoro – assenza dovuta proprio alla sua presenza in tribunale. Il manager del museo, Sabin Adrian Luca, ha inoltre avviato una causa civile contro la donna per danni d’immagine.

In una comunicazione indirizzata al ministero dei Beni Culturali, Active Watch rammenta che “la legge sui whistleblowers rappresenta uno strumento fondamentale nella lotta alla corruzione e all’inefficienza amministrativa, e i dipendenti che hanno il coraggio di segnalare simili misfatti devono essere protetti da eventuali persecuzioni. Pertanto, i direttori delle istituzioni che perseguitano i whistleblowers o tollerano atti di persecuzione nei loro confronti devono essere richiamati al rispetto della legge e portati a rispondere delle loro azioni”.

Come spesso accade, sebbene una legge ci sia, verrebbe da chiedersi a cosa serve. Ma il discorso è più ampio, perché anche nel caso in cui esista e funzioni uno strumento legale in grado di proteggere i posti di lavoro, una persona, per giunta lavorativamente subordinata, che decide di rischiare per rivelare delle irregolarità commesse nell’istituzione in cui è impiegata ha bisogno di poter contare su forti motivazioni. Una forza che può derivare solamente dall’idea di una società che merita, dal desiderio e dalla certezza di avere intorno una catena di solidarietà. Purtroppo, in società in cui lasciamo che l’insofferenza limiti la nostra esistenza alla nostra piccola realtà quotidiana, la teoria del cambiamento dal basso non regge, e gli anelli della catena non si saldano.

Chi sono i whistleblower?

Chi sono i whistleblower? Perché un lavoratore può decidere di diventarlo? E se agisce nell’interesse pubblico chi lo protegge? Per un quadro esaustivo sul dibattito europeo in corso leggi il dossier che OBCT ha curato utilizzando i materiali disponibili sul Resource Centre sulla libertà dei media.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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