Roma, Bologna, Torino e Milano: i romeni al voto

Ai cittadini comunitari residenti in Italia è concesso il voto alle amministrative. Ma sono ancora pochi quelli che esercitano questo diritto. Il caso della comunità romena

30/05/2016, Daniela Mogavero -

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Tessera elettorale (flickr/Luca Zappa)

“Quando mi sono candidata per la prima volta alle comunali del giugno 2009 abitavo in Italia dal 1984 e ho deciso di farmi avanti da sola, senza nessuno alle spalle, nello slancio del momento perché vedevo i cittadini stranieri sballottati e disorientati che non sapevano come fare per chiedere la residenza o registrarsi all’anagrafe. Volevo dare un punto di riferimento e mi sono proposta”.

Questa è la storia di Leontina Ionescu, la prima consigliera comunale romena eletta in Italia sette anni fa. Una storia personale ricchissima la sua, che racconta anche il processo di integrazione di una comunità negli ultimi 30 e passa anni di Italia. Una storia ancora più importante perché la partecipazione al voto dei cittadini stranieri alle amministrative è ancora bassa.

Il problema è da anni lo stesso: mancanza di informazioni, diffidenza e difficoltà per le registrazioni alle liste elettorali aggiunte. E oggi, che manca poco alle amministrative nei principali comuni italiani – Roma, Bologna, Torino e Milano, tra gli altri – la storia di Leontina, traduttrice e interprete nella vita, è ancora più importante. Il bacino di voti, potenziali, è davvero enorme, ma a conti fatti resta da anni in disparte.

“Quando mi sono candidata per ‘Mondi Nuovi’, lista civica che appoggiava il candidato sindaco Alfredo Ricci, medico pediatra di Marcellina, provincia di Roma, ho ricevuto 160 voti, divisi equamente tra italiani e romeni” e anche se possono sembrare pochi “rappresentavano una buona percentuale degli stranieri residenti e che si erano iscritti per votare”. Proprio questo è il nodo cruciale: essere residenti in un comune italiano non implica automaticamente il diritto di voto. “Ho provato tante volte a chiedere che diventasse automatico l’invio del certificato elettorale a chi diventa residente di un comune, come avviene per i cittadini italiani – spiega Leontina che ha sposato un italiano, Angelo, nel lontano 1983 e per lui ha lasciato tutto quello che aveva nella Romania comunista – uno straniero difficilmente perderà la giornata lavorativa per iscriversi alle liste aggiunte. Un altro grosso []e è che non esiste la possibilità di raccogliere le richieste di iscrizione e poi presentarle insieme al comune. Infine anche coloro che fanno il passo di iscriversi, poi non è detto che vadano a votare. Entra in gioco la paura di possibili ritorsioni da parte del padrone di casa, del datore di lavoro che magari ha indicato un candidato da appoggiare o la disillusione”.

Una realtà rilevante

“Quando si parla di romeni in Italia bisogna considerare sia l’elettorato attivo sia quello passivo e sia i cittadini residenti che quelli con doppia cittadinanza. Una realtà enorme e variegata che accede alle elezioni troppo spesso sotto forma di concessione piuttosto che come fruizione di un diritto”, sottolinea Miruna Cajvaneanu, giornalista e blogger romena, che a maggio si è occupata di formare alcuni candidati stranieri – romeni, polacchi e bulgari – che si sono presentati alle amministrative in diversi comuni di Italia, nell’ambito del progetto “Partecipation matters” organizzata dal Cospe.

Secondo l’Autorità elettorale permanente romena sono stati 109 i cittadini che hanno chiesto il nullaosta per candidarsi in Italia, ma questo non implica la certezza della candidatura. E’ l’esempio di una lista civica di Marino, comune in provincia di Roma, dove prima della scadenza era pronta una lista con 5-6 candidati romeni, ma poi non è andata a buon fine.

Tornando ai numeri, la partecipazione generale anche a queste elezioni amministrative non ha registrato un boom, eccezione fatta per Torino, dove rispetto ai 2.633 iscritti alle liste elettorali aggiunte nella scorsa tornata, è stato raggiunto il totale di circa 6.000 tra elenchi supplementari e cittadini con doppia cittadinanza. Nel capoluogo piemontese, dove risiedono 54.432 romeni, anche la lista del sindaco uscente, Piero Fassino, ha inserito una cittadina romena, Viorica Nechifor.

Il gap più significativo tra potenziale e realtà e quello di Roma. Nella capitale la comunità romena residente conta più di 80.000 cittadini di cui ben 72mila sopra i 18 anni e quindi potenziali elettori. Al 26 aprile 2016, ultimo giorno utile per l’iscrizione, secondo i dati dell’Ufficio elettorale centrale, erano 4.932 i romeni iscritti (2.912 donne e 2.020 uomini), pochi in più rispetto ai 4.416 delle elezioni di tre anni fa. “Un basso tasso di incremento legato sicuramente anche alla limitazione delle modalità per presentare le richieste – ha spiegato Cajvaneanu – quest’anno è stata tolta la possibilità di presentare i moduli online, via fax e nelle circoscrizioni. Mentre a Torino gli uffici sono stati aperti anche nei festivi, visto che il 26 aprile cadeva dopo un weekend e il 25 aprile”.

Dopo l’elezione

E se i numeri parlano ancora di un mancato godimento di un diritto, una storia altrettanto importante è quella che viene subito dopo il voto, per chi viene eletto. “Nella prima esperienza avevo una delega all’interazione multiculturale, il sindaco mi aveva dato anche il ruolo di ufficiale di stato civile e ho potuto unire in matrimonio due famiglie romene e far giurare un argentino e due romeni che hanno preso cittadinanza italiana – ha raccontato Leontina – a me si rivolgevano italiani che avevano dispute con romeni e altri stranieri. Nel 2009 a Marcellina vivevano 953 romeni, una novantina di nordafricani, 40 albanesi, 30 sudamericani e una ventina di polacchi. Li aiutavo ad accedere all’assistenza sociale, per trovare lavoro, per ottenere una mano dalla comunità. Uno dei miei traguardi più grandi è stato trovare il locale per la chiesa ortodossa di Marcellina e la concessione del terreno dove oggi sta nascendo la chiesa di Guidonia”.

Per questo, secondo l’ex consigliera, “bisognerebbe istituzionalizzare una figura di raccordo. A Roma, con Ramona Badescu, Gianni Alemanno aprì uno sportello di dialogo, ma è stata un’iniziativa finita lì – ha aggiunto – purtroppo spesso i candidati cercano visibilità ma non offrono qualcosa alla comunità”.

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