di Nando Sigona ("Medeura", n.2, 2004)
Un villaggio rom della campagna slovacca, o polacca, o ceca, un giornalista che si aggira tra le case malandate e a tutti pone la stessa domanda: "ma voi cosa farete quando il vostro paese entrerà nell’UE?". E la risposta è sempre: "stiamo già preparando le valigie!".
Sono ormai settimane che servizi del genere vengono diffusi sui media europei. Si tratta di una campagna di stampa in grande stile. Per anni, la libertà di circolazione dei cittadini europei all’interno dei confini dell’Unione è stato un valore cardine intorno al quale si è costruita l’idea stessa di UE. Ma evidentemente una cosa è la retorica, un’altra sono i fatti, soprattutto quando ci sono di mezzo gli zingari. Così quella per tutti gli altri è libera circolazione, quando sono i Rom a muoversi diventa un’invasione. E dire che l’Unione Europea e la sua avanguardia, il Consiglio d’Europa, avevano cercato di prevenire questo "rischio". Sono almeno dieci anni, ma con maggiore decisione dall’inizio dei negoziati per l’allargamento dell’UE, che comitati intergovernativi, gruppi d’esperti, fondazioni internazionali hanno concentrato i loro sforzi, e soldi, per imporre ai paesi aspiranti interventi volti al miglioramento delle condizioni di vita delle minoranze etniche e culturali residenti nei paesi: tra queste i Rom, di gran lunga la più numerosa minoranza transnazionale europea, con la poco velata speranza che questi poi non abbandonino i paesi a frontiere aperte.
Allarmano, soprattutto, i circa quattro milioni di Rom residenti nei nuovi stati membri e in Romania e Bulgaria. Ma anche i Rom hanno ragioni per essere preoccupati. Se appare chiaro, infatti, il limite alla libera circolazione, impedendo ai Rom – e agli altri neo-cittadini – di beneficiare quindi della possibilità di muoversi alla ricerca di migliori condizioni di vita, anche la possibilità di chiedere asilo politico per coloro che provengono da questi paesi è già da tempo assai limitata.
L’erosione della convenzione di Ginevra è un dato di fatto. L’attuale ministro degli interni britannico, David Blunkett, commentando la possibilità di rimpatrio immediato per i richiedenti asilo provenienti dai dieci paesi candidati prevista nella nuova legge sull’immigrazione, ha scritto: "È francamente assurdo che qualcuno possa dichiarare di essere in pericolo di vita in Polonia o repubblica Ceca. Questi sono paesi democratici, governati dalla legge". Peccato che l’Onu, la Commissione Europea e lo stesso ministero degli esteri britannico non siano della medesima opinione. Un rapporto della commissione per i diritti umani dell’Onu dello scorso anno mostra "profonda preoccupazione per le discriminazioni e le violenze subite dai Rom". Dal ministero degli esteri aggiungono che le nuove norme antidiscriminazione adottate dai paesi candidati "non hanno eliminato questi comportamenti"; ma è soprattutto l’ultimo rapporto annuale dell’Ue sui progressi dei paesi aspiranti (ora membri), rileva un articolo apparso sul Guardian, a contraddire l’ottimismo di Blunkett.
La commissione, ad esempio, parla di "rischio di essere vittima di violenze e di pratiche discriminatorie nella scuola" in repubblica Ceca, "buone intenzioni" ma limitati risultati in Polonia, "violenze a sfondo razziale" in Slovacchia. L’Unione fa pressione sui nuovi e prossimi membri. Cospicui fondi del budget comunitario sono destinati alla lotta contro la discriminazione dei Rom. Ma con l’adesione ormai ottenuta, queste pressioni perderanno molto del loro mordente. D’altra parte, come ha recentemente detto il commissario per i diritti umani dell’Osce, gli standard di tutela delle minoranze nazionali voluti dall’Ue per i nuovi membri e per gli aspiranti tali sono superiori e più chiari di quelli richiesti agli stessi paesi membri. Tale squilibrio, ha aggiunto, "è incoerente con i valori dichiarati dall’Unione e solleva seri dubbi sui fondamenti normativi dell’UE stessa".
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