Ritorno ad Akdamar
Inaugurata al termine di un lungo restauro la chiesa della Santa Croce, gioiello dell’architettura armena al centro del lago di Van. L’importanza di questo "splendido passo in avanti" nelle relazioni turco-armene. I limiti e retroscena, la cerimonia ufficiale
La chiesa della Santa Croce, costruita tra il 915 ed il 921 d.C. per volere del re armeno Gagik, sorge sull’isola di Akdamar, al centro del lago di Van, nell’Anatolia orientale. A lungo dimenticato e condannato ad un progressivo deterioramento, questo gioiello dell’architettura armena è tornato nei giorni scorsi ai suoi antichi splendori. Dopo un lungo lavoro di restauro coordinato da un architetto turco di origini armene, Zakaryan Mildanoğlu, che ha comportato un investimento superiore al milione di euro, la rinnovata chiesa di Akdamar è stata ufficialmente inaugurata lo scorso 29 marzo. Un gesto importante, "uno splendido passo in avanti" nelle relazioni bilaterali, come lo hanno definito i giornali turchi, ed il tentativo di migliorare l’immagine internazionale della Turchia incalzata dalle accuse di genocidio. Come spesso accade però, quando si tratta delle relazioni turco-armene, anche il restauro di Akdamar non ha fatto mancare piccole polemiche, ritorsioni e dibattiti.
Prima vi erano state in Turchia le proteste degli ambienti che non avevano apprezzato la decisione del governo di realizzare il restauro. Una volta terminati i lavori si era assistito poi al valzer dei ripetuti spostamenti della data della cerimonia di inaugurazione. Anche dopo la scelta della data del 29 marzo non sono mancati gli scontenti. Paradossalmente le proteste per la cerimonia di Akdamar hanno avuto tra i risultati quello di far trovare sulle stesse posizioni gli elementi più radicali dei due schieramenti.
Per prime le autorità dell’Azerbaijan, che hanno declinato l’invito a partecipare alla cerimonia per protesta contro l’occupazione armena del Nagorno Karabakh. Dopo le proteste azere quelle della diaspora armena i cui rappresentanti, invitati ad Akdamar, non si sono presentati in segno di protesta contro la decisione delle autorità turche di concedere alla chiesa lo status di museo e non quello di luogo di culto. Poi è toccato alle autorità della repubblica armena che hanno risposto positivamente all’invito inviando però una delegazione di basso profilo, in risposta alla decisione delle autorità turche di non riaprire nemmeno per questa occasione i confini tra i due paesi, chiusi dal 1992.
La delegazione armena, composta da venti persone guidate dal vice ministro della cultura Gagik Gyuriyan, ha raggiunto la Turchia via terra passando dalla Georgia. Prima di arrivare a Van, la delegazione ha visitato la città di Kars e le chiese di Anı, che sorgono in territorio turco a ridosso della frontiera armena e che rappresentano uno dei luoghi simbolo della storia e della cultura armena.
Anche la corretta trascrizione del nome dell’isola su cui sorge la chiesa è stata oggetto di discussione sulle pagine di alcuni quotidiani turchi. Alcuni lettori armeni hanno infatti fatto notare come secondo le regole della fonetica armena la trascrizione corretta del nome non è Akdamar ma Akhtamar oppure in alternativa Aghtamar.
Seppur ridotta dalle polemiche della vigilia, la presenza alla cerimonia di inaugurazione è stata importante. Assente il premier Erdoğan, a rappresentare il governo turco c’era il ministro della cultura Atilla Koç. Accanto a lui il patriarca armeno di Istanbul Mesrob II, giunto nell’isola con una delegazione di 25 persone, la delegazione dall’Armenia, i rappresentanti diplomatici di 45 paesi, la stampa turca e straniera.
Nel suo discorso Mesrob II ha tenuto innanzitutto a ringraziare il governo turco che nel volere fortemente il restauro "ha mostrato coraggio nell’affrontare dure critiche provenienti da ambienti diversi". Il patriarca ha poi ricordato che la chiesa è prima di tutto un luogo di culto chiedendo alle autorità di poter celebrare una volta l’anno una messa e accennando alla possibilità di organizzare in quell’occasione un festival di Akdamar. Mesrob II si è detto convinto che Akdamar potrebbe diventare in questo modo un importante centro per il turismo religioso, creando anche "condizioni favorevoli per un dialogo tra le comunità turca e armena".
Un altro particolare che aveva fatto scorrere molto inchiostro, e velate polemiche alla vigilia, era stata l’assenza dalla cupola della chiesa della croce. Su questo punto il patriarca ha preferito non rispondere alle domande dei giornalisti. Il ministro della cultura Koç ha ricordato che sulla questione si attendeva il parere del ministero degli esteri turco. La risposta, negativa, è arrivata nei giorni successivi. Il rapporto del ministero motiva il parere negativo citando l’esempio di Santa Sofia ad Istanbul. Quella che era stata una basilica bizantina, trasformata poi in moschea dagli ottomani, è attualmente aperta al pubblico come museo nel quale "non è possibile tenere cerimonie religiose" e sulla cui cupola non compaiono "simboli religiosi islamici". Poichè la chiesa di Akdamar si trova nella stessa condizione "non è opportuna la collocazione di una croce".
Al termine della cerimonia il viceministro armeno ha espresso la sua soddisfazione per la qualità del restauro, sottolineando che iniziative di questo genere rappresentano "un passo positivo importante nelle relazioni tra i due popoli". Il viceministro ha poi rivelato che il ministero della Cultura sta studiando la possibilità di restaurare una delle moschee "turco-islamiche" presenti sul territorio armeno. Anche i rappresentanti diplomatici stranieri hanno sottolineato l’importanza dell’occasione. Per l’ambasciatore tedesco Cuntz, "tutto il mondo è interessato a questa cerimonia che rappresenta un segnale importante per la comprensione turco-armena".
Praticamente nelle stesse ore in cui si inaugurava la chiesa di Akdamar, dall’altro capo della Turchia, dal tribunale penale di Şişli ad Istanbul, lo stesso che aveva condannato Hrant Dink per violazione dell’articolo 301, è arrivata la notizia dell’assoluzione per il professor Taner Akçam.
Akçam è uno storico che lavora negli Stati Uniti, autore tra gli altri del libro "La questione armena e l’identità nazionale turca", e rappresenta una delle voci più critiche rispetto alla versione ufficiale turca sui "fatti del 1915". Un suo articolo apparso sulla rivista armena AGOS nel quale sosteneva la tesi del genocidio gli aveva procurato l’accusa di vilipendio alla turchità. Il giudice di Şişli ha deciso per l’assoluzione motivandola con il fatto che le parole di Akçam costituiscono un’opinione scientifica che deve essere interpretata nel quadro della libertà di espressione.