Ritorni dal passato
Tito è tornato. E’ questa l’impressione che si è avuta quest’anno nel quale si sono susseguite le celebrazioni in sua memoria. Ugo Vlaisavljevic, docente di filosofia all’Università di Sarajevo, commenta il riemergere del passato, le nuove guerre per la memoria. Una nostra traduzione
Di Ugo Vlaisavljevic, Nezavisne Novine, 28 maggio 2005 (tit. orig. Povratak iz mrtvih)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Di recente non è più strano trovare sui quotidiani notizia della nascita di una qualche nuova associazione "dedicata all’immagine e all’opera di Josip Broz Tito". Tutti hanno già avuto modo di notare che quest’anno gli anniversari della sua morte e della sua nascita sono stati marcati in modo piuttosto forte.
Quasi si tattasse dei primi anni dopo la sua morte, quando il dispiacere per il presidente era ancora un affare di Stato ed un sentimento di massa. Kumrovec e Kuca cvijeca (la Casa dei fiori) erano luoghi molto visitati dai pellegrini. Ma in nessun luogo la tristezza per Tito ha mostrato un aspetto così corposo ed evidente come in Bosnia ed Erzegovina. Più di venti associazioni con non pochi aderenti, quasi in tutti i luoghi più importanti di questo Paese, affermano in modo eloquente che "Tito è di nuovo fra noi". Che la Bosnia ed Erzegovina fosse per l’ex Jugoslavia il centro di ravvivamento dell’"immortale leader", lo dice in modo convincente anche la recente fondazione dello "Stato virtuale Titoslavia" a Rakovica, nell’esatto centro geografico dell’ex federazione socialista.
Jezdimir Milosevic, membro dell’organizzazione non governativa "Azione di pace degli umanisti", afferma orgoglioso – e lui stesso stupito del successo che ha ottenuto la sua proposta – che già nel primo giorno della campagna su Internet per l’iscrizione alla cittadinanza della nuova repubblica, si sono iscritte quarantamila persone.
Molti diranno che in tutto questo resuscitare di Tito non c’è nulla di strano, vista la sua indubbia popolarità nella maggior parte della popolazione. Nei momenti di difficile crisi politica, di povertà e di mancanza di prospettiva, il ricordo del recente passato in cui "si viveva bene", può rappresentare una grande consolazione. I tempi passati sono sempre milgiori, generalmente nei nostri ricordi rimangono le cose più belle, e ciò accade specialmente quando il presente non offre niente di positivo ed il futuro incute persino timore. Tuttavia non bisognerebbe trascurare il significato di questo nuovo processo di resurrezione di Tito: si tratta davvero di un improvviso ritorno che è stato particolarmente violento, rumoroso, solenne, persino pomposo… Abbiamo visto i busti e le lapidi addobbati coi fiori, circondati da gente commossa ed entusiasta. Come se le grandi parole, i profondi sospiri e gli sguardi pensosi avessero restituito lo splendore e con forza ridato vita all’eroico personaggio del passato. Questa volta la commemorazione ha rappresentato quasi un magico ritorno dalla morte.
Tutto ciò potrebbe essere spiegato con la particolare vicinanza del tema della "guerra", portata da quest’anno giubilare della celebrazione del sessantesimo anniversario della vittoria sul fascismo. Il calendario di quest’anno, vi è stato anche il venticinquesimo anniversario dalla morte di Tito, certamente ha richiesto che si sistemassero i conti con un passato non tanto lontano. Non solo. Ha anche spinto alla valutazione di un passato burrascoso rispetto ai vertiginosi orientamenti politici del presente. Niente ha dato così tanto vigore alla memoria come lo stupore davanti alle forze vitali del "passato oscuro".
Altro fattore di forte impatto è stato il risveglio dei cetnici. In realtà, non è giusto parlare di "risveglio", perché le recenti guerre hanno mostrato tutta la loro forza vitale (ma è meglio parlare di "forza mortale"). Per i seguaci di Tito è stato però molto irritante il loro riconoscimento ufficiale: prima da parte del governo serbo (su grande scala) e poi anche dal governo americano, "simbolicamente", con la medaglia d’onore (su piccola scala). Ciò che per i titoisti è veramente insopportabile di questo riconoscimento è il cambiamento della principale chiave di interpretazione della nuova storiografia sul passato: confondendo fascismo con antifascismo.
Questo è vero anche per il passato più recente, anche per il "dopo Srebrenica" quando la cetnicità è diventata un vessillo sotto il quale si sono proseguite politiche fasciste. Quindi, niente più del risveglio del capo dei cetnici poteva far tornare in vita anche Tito e i suoi compagni di battaglia.
La domanda è: potrà mai Tito resuscitare da solo? Non bisogna trascurare la profonda inquietudine causata dal suo ritorno in vita. L’immortalità che ci si aspettava da lui vi è stata, ma si è mostrata diversa dalle aspettative. La vita eterna si è mostrata inquietante e non pacifica, fatta di lotte continue, e non di pace eterna. Sembra che questa vita eterna la debba innanzitutto ai suoi nemici – e non perché sia riuscito a batterli una volta per tutte – ma perché i nemici una volta sconfitti si sono mostrati ancora vivi e imbattuti. Se i nemici principali sono rimasti in vita, allora neanche la guerra è finita. Come recentemente aveva fatto notare l’antropologo francese Bougarel, su questo territorio le guerre non finiscono, ma si trasformano in nuove guerre per la memoria. Ogni influente politica del dopo guerra si manifesta come una politica di guerra, più precisamente come la politica della memoria collettiva della guerra precedente: essa ai suoi accoliti dice cosa e in che modo devono ricordare. In tal senso Ravna Gora, Blajburg, ma anche Neretva e Sutjeska, non sono soltanto le principali scene dell’attuale vita politica, ma anche i fronti sui quali si stanno conducendo le battaglie decisive contro i nemici mortali.
Non sarebbe però meglio lasciare i morti, anche se sono stati dei leader eternamente meritevoli, alla loro pace eterna? …. Adesso vagano fra noi come fantasmi ai quali i politici di oggi non concedono affatto la pace. Si potrebbe dire persino che l’intero popolo soffre di questo, che un gran numero di persone mostra i segni di uno stato che si può definire patologico. Richiamandosi a Freud, lo si potrebbe chiamare processo interminabile di sofferenza per i morti. Il padre della psicoanalisi ha introdotto la differenza fra il processo sano di sofferenza, che dura un tempo determinato, diciamo nell’odierna prassi d’uso comune circa un anno, e il processo malsano nel quale la perdita non può essere in alcun modo superata. Niente più dell’insuperabile tristezza per i leader può spiegare meglio lo stato malsano della società in cui viviamo e la sua politica necrofila. Forse c’è qualcosa di peggio della guerra: le guerre dei fantasmi nella memoria.