Risiera di San Sabba: non luogo a procedere

Claudio Magris ha raccontato le tragedie legate alla Risiera di San Sabba a Trieste nel suo "Non luogo a procedere". Una recensione

16/12/2015, Michele Nardelli -

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Immagine tratta dalla copertina di "Non luogo a procedere"

(Pubblicato originariamente sul blog michelenardelli.it)

“Non luogo a procedere” è un bel titolo, lo è ancora di più per un romanzo che narra di una delle rimozioni più pesanti del Novecento italiano, quella della “Risiera di San Sabba” ovvero del campo di sterminio che sorse durante la Seconda guerra mondiale a Trieste. Un buco nero nella coscienza di una città e di un intero paese. Una rimozione che continua ancora oggi, nonostante i responsabili di quella tragedia siano morti e sepolti e nonostante il riconoscimento seppure tardivo da parte della storiografia ufficiale come luogo della memoria. Andateci a Trieste e ne avrete l’immediata percezione.

Anche per questa ragione, il bel titolo dell’ultimo romanzo di Claudio Magris indica lo stato dell’arte ovvero il senso di una resa. La sconfitta (o forse la vittoria, non cambia) di una città che vive con fastidio la Risiera. Quel luogo di cui volentieri si libererebbe, cancellandolo definitivamente dalla falsa coscienza di una comunità che passati settant’anni non ha ancora elaborato quella tragedia. Tanto che, senza clamore, il tempo l’ha fatta scomparire anche dall’orizzonte visivo, fra lo stadio, un grande supermercato e una tangenziale.

Non so se il romanzo di Claudio Magris servirà a far riflettere una città che non ne ha intenzione. E che ha deciso, ben prima di un qualsiasi tribunale, il proprio “non luogo a procedere”. Troppi i buchi neri nelle storie familiari, troppe le pagine sgradevoli come quelle raccontate sui muri delle celle della Risiera nei graffiti lasciati prima di finire presi a mazzate e passare per il camino o dell’ultimo viaggio per Auschwitz, fatte di interessi privati, connivenze con gli aguzzini e delazioni per pararsi il culo. E per questo cancellate dalla calce in tempo di pace. Scomparse, come il taccuino di appunti di Diego de Henriquez che nella trascrizione di quelle testimonianze estreme aveva dato un senso alla raccolta maniacale di strumenti di guerra per un improbabile Museo che invitasse alla pace.

Non è solo un rogo ad aver incenerito quel quaderno e quei segni disperati. E’ la falsa coscienza di una comunità che deve fare i conti con se stessa. Il romanzo di Claudio Magris spero possa contribuire a quell’autocoscienza collettiva che ancora Trieste (ma a guardar bene un intero paese) non hanno saputo compiutamente fare.

Un romanzo come una poesia possono aiutare, soprattutto laddove le lacerazioni sono ancora vive e la politica non ha ancora smesso di dire quel che i loro rappresentati vogliono sentirsi dire. La tirannia del consenso non aiuta ad elaborare i conflitti, né a ricostruire narrazioni condivise. Vale per la politica come per la letteratura. Senza bisogno di invocare il “non luogo a procedere” anche per chi ha il privilegio di scriverne mettendo nero su bianco i nomi di quella Trieste che mentre il camino della Risiera ancora fumava, festeggiava a Miramare il compleanno del Führer. Sarebbe come arrendersi una seconda volta.

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