Rinnovabili in Bulgaria: i paradossi del successo
La Bulgaria è tra i pochi paesi europei ad aver annunciato il raggiungimento degli obiettivi della strategia “Europa 2020”sul consumo di energia verde. Al tempo stesso, si parla di crisi del settore e situazione insostenibile. Paradossi, sfide e potenzialità nel reportage del nostro corrispondente
Dati ufficiali che raccontano di pieno raggiungimento – con largo anticipo – degli obiettivi della strategia “Europa 2020” sul consumo di energia da fonti rinnovabili. E al tempo stesso, un settore che parla di crisi, confusione amministrativa e possibile disastro, se non si mette mano in fretta ad una strategia sostenibile sul lungo periodo.
E’ questa l’equazione che riassume la situazione, al limite del paradosso, delle rinnovabili in Bulgaria, sospesa tra uno sviluppo veloce, tumultuoso e non privo di risultati importanti, un presente fatto di incertezze e ruvidi assestamenti e un futuro ancora tutto da disegnare. Un percorso che proviamo a ripercorrere con alcuni dei suoi protagonisti.
Un inizio promettente
“Nel 2007-8, quando abbiamo iniziato a studiare le possibilità di investimento, le rinnovabili apparivano un campo ricco di opportunità, anche se non mancavano rischi e sfide aperte”. A raccontare, nel suo ufficio nella centralissima piazza Narodno Sabranie con vista sulla cattedrale Aleksander Nevski, è lo statunitense Kenneth Lefkowitz, attivo nell’economia bulgara da due decenni e vice presidente dell’Associazione dei produttori di energia eolica in Bulgaria.
“Le rinnovabili, all’epoca, erano un settore sottosviluppato. Al tempo stesso, esistevano ottime prospettive grazie agli obiettivi di ‘Europa 2020’, che richiedevano alla Bulgaria forti passi avanti nello sviluppo di energia verde. E non bisogna dimenticare”, conclude Lefkowitz, “che prima dello scoppio della crisi la propensione agli investimenti nella regione era molto alta”.
Un settore da inventare da zero (con l’esclusione dell’energia idroelettrica), prospettive di lungo termine garantite dagli obiettivi europei, buona disponibilità di denaro da investire. Queste quindi le promettenti condizioni con cui il settore delle rinnovabili si presentava in Bulgaria all’ingresso del paese nell’Unione europea, avvenuto il 1 gennaio 2007.
Nel giugno dello stesso anno l’allora governo di coalizione, a guida socialista, ha varato la prima legge quadro per regolamentare il settore, legge che, come in altri paesi, prevedeva generosi sussidi sotto forma di prezzi preferenziali, contratti di lungo termine (20-25 anni) e acquisto garantito e prioritario dell’energia verde.
Una crescita veloce e caotica
“Gli investitori, soprattutto stranieri, non hanno tardato a mostrare il proprio interesse. Molti progetti però erano irrealistici, frutto più della febbre speculativa che ha interessato la Bulgaria in quel periodo che di una visione sostenibile”. Così tratteggia quel periodo in un affollato caffè della capitale bulgara Georgi Stefanov, esperto del WWF Bulgaria sui temi dell’energia e dei cambiamenti climatici.
Un periodo, secondo Stefanov, caratterizzato da un atteggiamento molto “generoso” da parte dello stato nel dare luce verde a nuovi progetti, ma anche da confusione e scarso coordinamento tra le istituzioni preposte a gestire e sostenere lo sviluppo delle rinnovabili.
“Col passare dei mesi, siamo arrivati ad una situazione paradossale”, ricorda Stefanov, “in cui la comunità degli ambientalisti in Bulgaria si è trovata a lottare contro la realizzazione di centrali solari ed eoliche. Progetti spesso pianificati – per i costi minori di acquisto dei terreni – su aree protette e sensibili, come quelle tutelate dalla rete europea ‘Natura 2000’”. Un contrasto iniziale, quello tra Ong ambientaliste e investitori interessati allo sviluppo delle rinnovabili, che verrà sanato negli anni a seguire grazie ad un tavolo di discussione creato tra le parti.
Nonostante la mancanza di una strategia precisa a livello centrale, diveniva realtà a ritmi accelerati il “nuovo” settore delle rinnovabili in Bulgaria, fatto soprattutto di centrali eoliche e solari (e in misura minore di nuove centrali idroelettriche), col picco di potenza installata toccato nel 2012.
La Bulgaria, leader nell’Europa sud-orientale
A rivendicare il ruolo positivo e le potenzialità assunte dell’energia verde nella Bulgaria di oggi è Meglena Rusenova, presidente dell’Associazione bulgara del fotovoltaico. “In pochi anni è stato creato dal nulla un settore innovativo, ad alta tecnologia e rispettoso dell’ambiente. Con capitali esclusivamente privati sono stati creati posti di lavoro per personale giovane e qualificato, altrimenti condannato a lasciare la Bulgaria. E il paese è divenuto leader nelle rinnovabili in Europa sud-orientale, con capacità di esportare il proprio know-how anche al di fuori dei propri confini”.
Nell’ufficio dell’associazione, sul trafficato viale pedonale Vitosha, nel cuore di Sofia, la Rusenova snocciola i dati che tratteggiano la crescita delle rinnovabili in Bulgaria. Dal 2009 al 2012 sono stati investiti nel settore più di 4 miliardi di euro (di cui 2 provenienti dall’estero); oggi le compagnie impegnate sono più di 1900, con almeno 10mila occupati (dati 2012). La potenza installata supera oggi i 2,2 Gwh, e nel biennio 2013-2014 le stime mostrano che il 13% della sola energia elettrica consumata in Bulgaria è stata prodotta da fonti rinnovabili.
Per capire di più sviluppo e impatto delle rinnovabili a livello locale visitiamo la centrale solare di Mokresh, sonnolento villaggio adagiato sulla piana che fiancheggia le rive del Danubio, in Bulgaria settentrionale. Ad accompagnarci è Sasho Dimitrov, ingegnere e direttore responsabile della “Greentech Engeneering Solutions”, società attiva nella realizzazione e gestione di impianti di energia rinnovabile.
“Quella di Mokresh in Bulgaria può essere considerata una centrale medio-grande, con potenza installata pari a 4 Mwh, quanto basta a dare energia a tre o quattro villaggi dell’area”, spiega Dimitrov, mentre passeggiamo tra lunghe file di pannelli.
Quantità di luce solare, possibilità di potersi agganciare comodamente alla rete, status del terreno. Queste le principali caratteristiche da valutare nella fase di progettazione. “L’energia prodotta qui viene consumata sul posto, senza bisogno di trasformare la corrente ed utilizzare la rete ad alta tensione. Anche questo è un elemento importante, quando si valuta l’impatto delle rinnovabili sul consumo di energia”, conclude Dimitrov.
Il vero boom delle rinnovabili ha permesso alla Bulgaria di annunciare, con ben otto anni di anticipo, il raggiungimento della propria quota di energia (non solo elettrica) verde su quella complessiva consumata, fissato dall’Ue al 16% entro il 2020. A fine 2012, infatti, secondo l’istituto di statistica bulgaro, la quota era già stata superata (16,3%). Un risultato che, a livello europeo, può essere vantato soltanto da altri due paesi, la Svezia e l’Estonia.
Un successo ottenuto a costi insostenibili?
Se in pochi mettono oggi in dubbio l’apporto positivo delle nuove centrali sull’impatto ambientale, l’impostazione permissiva e i pochi filtri posti dalle autorità su controllo e indirizzo del settore hanno dato vita a crescenti polemiche su costi ed efficienza delle politiche di sussidio alle rinnovabili.
L’acquisto obbligatorio di energia rinnovabile da parte della rete di distribuzione è uno degli elementi che, in questi anni, ha portato alla sensibile crescita del prezzo finale dell’energia consumata da famiglie e imprese. La differenza col costo di mercato viene coperta dalla Compagnia elettrica nazionale (NEK), che accumula così perdite e si rifà, almeno in parte, sui consumatori finali.
In Bulgaria, paese che continua a rappresentare suo malgrado il “socio più povero” dell’Unione europea, l’aumento delle bollette ha fatto crescere in fretta il malcontento e la tensione sociale. Un fenomeno che ha conosciuto il suo apice nel febbraio 2013, quando il governo di centro destra – guidato dal carismatico Boyko Borisov – è stato costretto alle dimissioni proprio a causa delle proteste di strada contro le “bollette impazzite”, tra accuse di speculazione lanciate contro le società di distribuzione, a capitale estero, che gestiscono la rete elettrica.
“Per recuperare il ritardo nelle rinnovabili la Bulgaria ha puntato, come altri paesi e con buoni risultati, su prezzi preferenziali”, argomenta nel suo ufficio Dan Berg, direttore della filiale bulgara della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD), che in questi anni ha finanziato importanti progetti energetici in Bulgaria, soprattutto all’interno della sua Sustainable Energy Initiative. “Purtroppo questo ha coinciso col momento di picco dei costi di pannelli solari e turbine eoliche. Questo significa che i prezzi sovvenzionati risultano alti, per coprire alti costi di produzione”. Al tempo stesso, secondo Berg, il forte rallentamento dell’economia e il calo della domanda hanno fatto sì che le rinnovabili divenissero in fretta “una fetta troppo grande di una torta divenuta più piccola”, andando quindi a pesare in modo molto più significativo sul prezzo finale del paniere energetico.
Nonostante i contratti decennali firmati, il governo di Sofia ha iniziato ad elaborare possibili strade per limitare la crescita dei costi, mentre la NEK accumula debiti, che secondo le stime nel 2015 potrebbero raggiungere i 4 miliardi di leva (2 miliardi di euro). Citando proprio i costi crescenti e il raggiungimento anticipato degli obiettivi, i sussidi alle rinnovabili sono stati progressivamente tagliati, e nell’agosto del 2012 e stata imposta una moratoria sui nuovi allacciamenti alla rete, mentre dal luglio 2013 è stato decretato lo stop ai prezzi garantiti per le nuove centrali. A fine 2013 il nuovo governo socialista ha tentato di imporre una tassa del 20% sulle entrate di produttori di eolico e solare, poi impugnata dal presidente della Repubblica e dichiarata incostituzionale nell’agosto 2014.
“Si è passati da un eccessivo permissivismo ad un vero e proprio muro. Formalmente i contratti non sono stati toccati, ma sono sempre di più le misure punitive e retroattive contro gli operatori delle rinnovabili. Un ‘elastico’ che ha caratterizzato anche altri paesi della regione, ma che in Bulgaria ha assunto tratti parossistici, e che rischia di avere ricadute molto pesanti per il futuro del settore”, sostiene preoccupato Lefkowitz. “Lo stato ha abdicato al suo ruolo di controllo, permettendo la creazione di un sistema spesso poco efficiente. E ora, tenta di correre ai ripari facendo pagare il costo degli errori agli investitori”.
Chi paga?
Secondo Georgi Stefanov “l’aumento dei costi dell’energia non dipende solo dalle rinnovabili. Anche le centrali a carbone hanno sussidi e contratti decennali, per non parlare delle enormi somme spese per progetti mai realizzati, come la centrale atomica di Belene. Eppure, la rabbia popolare viene diretta quasi solo contro l’energia verde”. Per l’esperto del WWF, il vero problema risiede però nella mancanza di visione sul lungo periodo: agli sforzi fatti per dare vita al settore “verde” è mancato il coraggio di chiudere o ristrutturare infrastrutture vecchie e inefficienti, come molte termocentrali costruite nel periodo socialista. Centrali che danno lavoro, ma costano, inquinano e sono senza prospettive nel mercato energetico europeo.
Anche le trionfali cifre sul raggiungimento degli obiettivi “Europa 2020”, usate dal governo come argomentazione per giustificare il dietro-front sulle rinnovabili vengono messe in discussione da più parti. Secondo i critici i dati non sono attendibili, e parte significativa del risultato è dovuto all’uso massiccio della legna da ardere per il riscaldamento delle case. Per Stefanov si tratta di “un altro paradosso”. “L’uso di tecnologie antiquate, e la stessa ‘povertà energetica’ del paese vengono spacciate per segnale di progresso”.
Con le istituzioni di Sofia limitate da forte instabilità politica è difficile intravedere oggi una via d’uscita all’attuale impasse. “La situazione è complessa: senza un quadro legislativo chiaro molte società rischiano il fallimento. Il settore va ristrutturato dalle fondamenta, altrimenti si va incontro alla catastrofe”, denuncia Lefkowitz. Che propone due elementi forti per ripartire: un tavolo di discussione tra istituzioni e operatori delle rinnovabili, e piena trasparenza nel settore. “Bisogna creare un vero mercato energetico, che in Bulgaria di fatto ancora non esiste”.
Per le organizzazioni di settore, il costo sociale dell’energia non può essere risolto attraverso l’imposizione di prezzi dell’energia controllati artificialmente, la risposta data dalle autorità dopo lo scoppio delle proteste. “La politica dei sussidi va rovesciata: bisognerebbe concentrarsi sui consumatori più deboli, e non distribuire denaro a pioggia, sia a produttori verdi che a quelli ad alto impatto ambientale”, sostiene la Rusenova. “In Bulgaria l’energia costa molto meno che nel resto d’Europa. Il problema vero, è far ripartire l’economia e aumentare le entrate delle famiglie”.
Per la Rusenova il problema nel settore energetico è squisitamente politico. “Oggi la Bulgaria è totalmente dipendente dalle importazioni russe e da grandi infrastrutture. Parte dell’élite non vuole concorrenti locali, flessibili e privati, perché sono poco controllabili e forniscono meno occasioni di corruzione”.
Alla ricerca di un modello sostenibile
“E’ evidente a tutti che il sistema non è attualmente sostenibile”, conferma Berg. “Aumentare i prezzi, per quanto impopolare, è inevitabile, magari sostenendo al tempo stesso i consumatori più deboli. Si potrebbero rimuovere dal sistema alcune vecchie centrali che non rispondono ai criteri ambientali europei, e chiarire questioni importanti che pesano oggi sulla NEK, come la responsabilità del progetto, mai realizzato, della centrale nucleare di Belene”. Rimossi i principali ostacoli, conclude Berg, gli attori del sistema energetico dovrebbero quindi sedere al tavolo e trovare un nuovo equilibrio, anche sulla questione dei prezzi.
Il nuovo governo di centro-destra ha annunciato una serie di misure, che dovrebbero limitare almeno in parte il buco finanziario del settore: tra le altre, il dirottamento di tutti gli introiti generati dalla vendita delle quote sulle emissioni di gas serra verso la NEK, per limitare i costi legati all’acquisto di energia rinnovabile da parte della compagnia elettrica nazionale.
Nel lungo periodo, però, a preoccupare è soprattutto la totale mancanza di una visione di largo respiro. “Dal mio punto di vista, questo è il problema più grave. Semplicemente, non esiste alcuna strategia che guardi oltre il 2020”, sostiene Stefanov. “La Bulgaria è un paese piccolo e con un consumo relativamente basso di energia. Con interventi calibrati alle caratteristiche del paese – come ad esempio il grande potenziale delle biomasse – nei prossimi decenni potrebbe davvero divenire un esempio di totale trasformazione del modello energetico. Il nostro obiettivo è quello di chiudere entro il 2040 tutte le fonti tradizionali di energia”. Un obiettivo “molto ambizioso, ma possibile”, conclude convinto Stefanov.