Rifiuti: l’Adriatico punta sull’economia circolare
Se c’è un elemento che unisce tutti coloro che si affacciano allo stesso mare, sono i rifiuti che lo rovinano. Sei paesi che si affacciano sull’Adriatico hanno unito le proprie forze nel progetto europeo Bluecircle per minimizzarne la presenza sulle proprie spiagge

Rifiuti-l-Adriatico-punta-sull-economia-circolare-1
© Maryshot/Shutterstock
Non solo micro plastiche, ma anche mozziconi di sigaretta e cotton fioc, pezzi di polistirolo, salviettine, vetro e ceramica, sdraio e pezzi di ombrelloni. Le spiagge dell’Adriatico sono fortemente “frequentate” da rifiuti e, al contrario dei turisti, molti le occupano tutto l’anno, segnando numeri di presenze che superano abbondantemente quanto tollerato dall’Unione Europea.
Non esistono numeri specifici per le coste adriatiche ma le entità del fenomeno si possono in parte intuire da quelli medi nazionali italiani. Se la quantità massima di rifiuti (“beach litter”) che una spiaggia europea deve ospitare per essere considerata “sana” è di 20 elementi antropici ogni 100 metri, infatti, quelle del Bel Paese ne accolgono almeno 10 volte tanto.
Secondo ARPA nel 2023 tra Tirreno e Adriatico si superavano le 250 unità e quando lo scorso anno Legambiente le ha ricontate assieme ai suoi volontari, è arrivata anche a picchi di 900, fornendone anche una caratterizzazione per lo meno indicativa.
Oltre a confermare il quasi scontato trionfo della plastica, questo lavoro certosino è servito a sottolineare la presenza permanente degli oggetti monouso: dal mercato sono ufficialmente spariti da anni, dalle nostre acque non ancora.
Stessa spiaggia, stesso mare, diverso rifiuto
Causa profilo concavo e scarsa profondità, l’Adriatico è condannato all’accumulo di rifiuti sulle spiagge e i fiumi, che a nord ne portano anche dall’interno, Po in primis, non fanno che aggravare il problema e non solo nelle vicinanze della foce.
Non esistono latitudini o confini, coste UE o non ancora: l’interscambio di acque è continuo e ogni elemento che vi galleggia, viaggia di costa in costa come una nave da crociera. Quando finisce nello stomaco di pesci, uccelli e altri organismi marini, attraverso la rete trofica, può giungere anche sulle nostre tavole, causando danni alla salute.
Massimiliano Falleri, responsabile divisione sub di Marevivo, da anni monitora e combatte questo fenomeno con campagne di sensibilizzazione e attività di rimozione dei rifiuti sia dal mare che dalle spiagge ed è sempre più convinto che serva un lavoro collettivo.
“Tutti dovrebbero contribuire sia riducendo l’uso di plastica e sia smaltendo più correttamente i rifiuti, altrimenti questo resterà un ciclo senza fine", spiega. "Nonostante negli ultimi cinque anni la consapevolezza da parte di governi, organizzazioni e cittadini sia cresciuta, la quantità di rifiuti resta elevata, soprattutto a causa di pratiche di smaltimento scorretto e di un ostinato utilizzo di plastica monouso”.
La pandemia di COVID-19 ne aveva fatto inevitabilmente aumentare la presenza, ma il calo che si sperava di vedere nel post-COVID non è mai arrivato. Il “beach litter” nell’Adriatico, secondo Marevivo, rimane quindi “una sfida importante: la sua recente evoluzione conferma anzi la necessità di intensificare gli sforzi sia di prevenzione che di gestione”.
Attraversando il mare, la quantità di rifiuti trovati in spiaggia non cambia di molto ma la tipologia sì, mostrando come la pulizia di queste strisce di terra dipenda da ciò che accade sia in mare, sia sulla terra, nella propria e in quella altrui.
Analizzando i beach litter delle coste albanesi, per esempio, emergono delle specifiche caratteristiche che aiutano a ipotizzare interventi mitigatori mirati al territorio in oggetto. Grazie a un recente studio scientifico che l’Università di Cadice ha dedicato al beach litter solo albanese, si è notato per esempio che prevalgono i frammenti e gli oggetti in plastica (82%) come altrove, ma in questo Paese sono legati soprattutto al turismo locale e mescolati a elementi arrivati attraverso le acque reflue.
Giorgio Anfuso Melfi, uno degli autori della ricerca, in mezzo ai “soliti” rifiuti come mozziconi di sigaretta, tappi e frammenti di plastica, racconta infatti di aver incontrato anche arredi da spiaggia abbandonati, come vecchie sedie a sdraio e ombrelloni “non comuni altrove e tutti collegabili principalmente agli stabilimenti balneari”.
Seppur a ondate stagionali, in Albania il turismo sembra quindi essere l’origine principale del beach litter mentre la pesca contribuisce in modo poco rilevante. Secondo Anfuso Melfi “serve quindi studiare interventi mirati a migliorare la sensibilità dei frequentatori delle spiagge e potenziare le attività di pulizia da parte dei Comuni e degli stabilimenti balneari”.
Non solo pesci: le spiagge sporche minacciano tutti
Che siano ancora in mare o che approdino in spiaggia, che siano plastica o mozziconi, molti dei rifiuti presenti nell’area dell’Adriatico “rischiano di essere confusi con il cibo dai pesci ma anche dagli uccelli, dalle tartarughe e da molti altri organismi marini, causandone anche la morte, per esempio se la plastica blocca il sistema digestivo o rilascia sostanze tossiche", spiega Falleri.
"Il beach litter può danneggiare anche gli stessi habitat naturali, come le biocenosi coralligene e le praterie di fanerogame, compromettendo la loro capacità di sostenere la vita marina. In tal caso sarebbero una minaccia anche per spugne, briozoi, coralli e gorgonie che, rimanendo intrappolati, perderebbero la possibilità di alimentarsi”.
Anche le comunità costiere sono tra le vittime dei rifiuti da spiaggia, in primis di quelle che vivono di pesca e turismo. “Dipendendo dal mare, spesso si trovano costrette ad effettuare e supportare economicamente interventi di pulizia per ridurre l’impatto visivo, paesaggistico ed economico", racconta ancora Falleri, riportando la voce soprattutto di Marevivo Puglia, "senza contare che anche questo tipo di inquinamento può provocare danni alla salute: alcuni rifiuti possono infatti ferire, oppure intossicare se sono in plastica o in altri materiali nocivi ed entrano nella catena alimentare”.
Questo è un pericolo per chiunque viva nelle vicinanze di spiagge coperte di rifiuti, chi poi fa il pescatore di mestiere deve mettere in conto alcuni danni finanziari aggiuntivi. Le reti e gli attrezzi possono infatti restare impigliati o venire danneggiati dai rifiuti di plastica galleggianti, riducendo le quantità di pesce catturato e aumentando i costi di manutenzione delle attrezzature.
Bluecircle: economia circolare con i rifiuti in circolazione
Pesci e altri organismi marini, pescatori e altri abitanti costieri: con i rifiuti in spiaggia tutti ci perdono in salute, alcuni anche economicamente, nessuno sicuramente ne trae guadagno. Eppure non c’è campagna di sensibilizzazione e raccolta che abbia ridotto in modo significativo il fenomeno, finora.
Ecco perché da una decina di mesi si sta sperimentando un approccio in chiave di economia circolare grazie al progetto europeo interregionale Bluecircle (Boosting Circular Economy Solutions for Marine Litter Collection and Recycling in the Adriatic-Ionian Regions).
Rivolgendosi a Italia, Albania, Montenegro, Croazia, Grecia e Bosnia Erzegovina, questa iniziativa non gioca in difesa e non si limita a pulizia, raccomandazioni e controlli ma testa nuovi metodi di trattamento dei rifiuti spiaggiati “che trasformino una criticità in una opportunità”.
L’obiettivo è ambizioso ma c’è tempo fino a fine estate 2027 e ci sono oltre un milione e mezzo di euro di budget Ue per provare a raggiungerlo. Non tutti e sette i partner del progetto sono ugualmente ottimisti, chi si sbilancia di più è quello scientifico, l’autore stesso dell’impianto sperimentale, il Politecnico di Bari.
Michele Notarnicola guida il team coinvolto in Bluecircle e basta ascoltare il tono con cui ne parla per percepire quanto sia convinto che il sistema mobile ideato a tavolino possa funzionare sulle spiagge. Nei prossimi mesi lo si scoprirà testandolo sul campo prima in Italia e poi negli altri Paesi partecipanti al progetto essendo un impianto piccolo e replicabile in ogni contesto, su ogni sponda.
Il primo aspetto fondamentale riguarda la possibilità di raccogliere e trattare i rifiuti spiaggiati direttamente sulle coste adriatiche. “Per noi è fondamentale intercettarli prima che diventino classificabili come rifiuto urbano, perché finirebbero per essere considerati come ‘indifferenziato’, causando una forte perdita di risorse e un alto costo economico", spiega Notarnicola.
"Per questo siamo attrezzati con dei mini robot che aspirano tutti gli oggetti trovati e li portano in un mini container dove selezioniamo le varie frazioni attraverso tre diverse tipologie di apparecchiature”.
Anche se per chi guarda le spiagge deturpate, sembrano accumuli informi galleggianti tutti uguali, per chi vuole provare a farli rientrare nelle filiere minimizzando i veri scarti, è fondamentale poter fare delle differenze.
Negli ammassi rinvenuti plastica, vetro, alluminio e legno si mescolano con elementi naturali come posidonia, piante acquatiche, alghe in putrefazione e con sabbia, conchiglie e altro materiale di diversa granulometria e serve almeno dividere in tre categorie: inorganica, organica naturale e antropica.
Per ciascuna serve una tecnica di separazione: quella densimetrica separa sabbia e ghiaia, puntando sul loro diverso peso specifico, per poi reintrodurle nell’ambiente o riutilizzarle come materia prima seconda per produrre calcestruzzi, per esempio.
La separazione aeraulica, invece, usa dei getti di aria e isola le frazioni più leggere o ad elevata superficie solitamente composte da alghe o posidonie, per poi restituirle al mare o trasformarle in compost, a seconda del livello di degrado raggiunto.
Il terzo sistema, detto tribo-elettrostatico, il più innovativo messo in spiaggia dal Politecnico di Bari, ha infine il compito di separare la componente più critica del beach litter: quella plastica.
“Sfruttando l’attrito, in questo caso le particelle vengono caricate positivamente o negativamente dal punto di vista elettrostatico e poi separate in base al loro comportamento superficiale", spiega Notarnicola. "La plastica che riusciamo così a separare può essere smaltita attraverso i normali circuiti di raccolta differenziata”.
Con questo tridente di economia circolare che prova a ridurre la quota irrecuperabile dei rifiuti da spiaggia, Bluecircle vuole arrivare a regime a trattare 100 kg di beach litter all’ora, con un camion di minimo ingombro e trasferibile in due o tre giorni.
Per ora si sta testando un impianto pilota da dieci chilogrammi all’ora per capire se il concept funziona in un tour che toccherà ogni sponda adriatica, portando anche campagne di sensibilizzazione e standard di caratterizzazione. Perché nel bacino adriatico tutto possa girare meglio, tranne la spazzatura.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
Tag:
I più letti
- Transizione energetica