Ricordo del gusto: il pomodoro bulgaro della conoscenza
Il vero pomodoro bulgaro, gusto che richiama la terra natia e che s’oppone alla marcia degli OGM. Un racconto ironico di Alek Popov, uno dei principali scrittori bulgari contemporanei, intervistato da OB nei giorni scorsi. La traduzione dal bulgaro è di Andrea Ferrario
di Alek Popov
C’era una volta un vecchio che si era recato in visita da sua figlia in Inghilterra. O forse in Olanda? O in Canada? O negli Stati Uniti? Fa lo stesso – da qualche parte in Occidente. Sua figlia viveva là da otto anni e non riusciva mai a tornare, oppure non lo voleva. E allora, come diciamo qui, in Oriente, se la montagna non va a Maometto, sarà Maometto a recarsi alla montagna… Nonostante le rigide limitazioni relative alla produzione agricola, in particolare quelle americane, questo patriottico vecchio è riuscito in qualche modo a portare con sé un pomodoro. Un normalissimo pomodoro bulgaro, coltivato nel suo giardino, vicino a Novi Iskar. Le diverse leggende narrano che le dimensioni del pomodoro in questione variavano da mezzo chilo a due chili, pertanto possiamo dare per scontato che si trattasse di un esemplare bello grossetto. Nulla indica che il vecchio portasse altri prodotti, ma questo non è importante dal punto di vista pratico. La sera tutti si sono riuniti e hanno tagliato il pomodoro-viaggiatore con la dovuta solennità.
E allora… Mamma mia santissima!
Si è diffuso quell’aroma irripetibile, che è andato a leccare fino all’ultimo angoletto della casa. Mangiavano e piangevano. Piangevano e mangiavano. Dopo di che la linea dell’intreccio si biforca. Secondo una versione: l’intero pomodoro è stato mangiato tra lacrime e nasi colanti, la figlia si è ricordata delle sue radici ed è tornata in Bulgaria. Secondo l’altra: la figlia ha messo da parte l’ultima fetta, ne ha estratto i semi e li ha piantati nel cortile dietro casa. Suo marito, che era native, qualunque cosa significhi questa parola, aveva però letto da qualche parte che le piante straniere costituiscono una minaccia per la flora locale. Preso da un improvviso impeto patriottico, ha sradicato il pomodoro bulgaro. La moglie non ha potuto sopportare una tale grettezza di spirito. Gli occhi le si sono aperti: ha sputato sul suburb e su tutto il resto e se ne è tornata in Bulgaria. E’ difficile valutare quale delle varianti sia più attendibile, ma in fin dei conti entrambe portano a un risultato analogo. Dopo avere nuovamente provato l’autentico pomodoro bulgaro, la donna ha avuto un’illuminazione e ha volontariamente abbandonato l’Eden consumistico.
Questa leggenda contemporanea sembra essere stata concepita nello spirito della tradizione degli apocrifi segreti, particolarmente popolari nelle terre bulgare durante il Medioevo. Se ai nostri giorni l’industria alimentare globale incarna il mito della "Cornucopia dell’abbondanza", il "pomodoro bulgaro" apocrifo libera lo spirito della resistenza contro il suo diktat. E non è certo qualcosa di casuale. Quando una persona è cresciuta con il gusto autentico delle cose è molto più difficile ingannarla. Ritrovandosi in mezzo alla varietà instabile di merci e confezioni, vomitata dalle linee continue di produttori lontani e impersonali, l’uomo diventa vittima di un’illusione di eterogeneità. Soprattutto se viene da un’epoca e da un luogo dove gli articoli nei negozi si limitano ad alcuni componenti alimentari di base, avvolti in carta da imballaggio grigiastra. Poco a poco, tuttavia, quando l’estasi lascia il posto all’abitudine, un pensiero eretico comincia a maturare nella tua coscienza. Lotti contro di esso, ti sforzi di soffocarlo, ma lui si gonfia e schiocca come una goccia di catrame che cade in un barile di miele.
Tutto ha lo stesso gusto…
Lo sussurri a bassa voce, come se temessi di essere intercettato dai globi neri che pendono dal soffitto e sorvegliano che ogni merce esca dal supermarket esclusivamente attraverso i nastri delle casse. Si tratta di un pensiero molto pericoloso. Per te, per chi ti sta intorno, per l’intero sistema. Forse non oserai mai pronunciarlo ad alta voce. Ma da questo momento in poi diventi un cliente abituale dei piccoli negozietti arabi e turchi relegati nelle aree di mercato, un cliente di malincho.com e di ogni tipo di ristorantino che prometta una cucina nazionale originale. Lì si può trovare tutta una serie di prodotti della nostalgia: dal formaggio sirene nelle scatole di latta, fino alle foglie di vite in conserva e alla turšija. Ma non i pomodori bulgari! Secondo la leggenda il vecchio ha portato un unico pomodoro. Non un vagone intero, e nemmeno una cassetta. Un fatto che ha una sua spiegazione razionale. In primo luogo, non è un importatore di verdure, ma il portatore della coscienza della propria stirpe. Un messo della memoria, e non un commesso viaggiatore. In secondo luogo, la specificità del pomodoro bulgaro rende quest’ultimo non concorrenziale sul mercato globale. Se vuole diventare concorrenziale deve privarsi proprio delle qualità che lo definiscono come "pomodoro bulgaro". Per assomigliare infine a tutti gli altri mutanti, privi di gusto e di odore, ma con un’etichetta che ne dichiara la provenienza: made in BG.
C’è una differenza essenziale tra il pomodoro Made in BG e il BG-pomodoro!
Il primo pomodoro geneticamente modificato, il famigerato favr-savr, è uscito dal laboratorio all’inizio degli anni ’80 del XX secolo. A differenza delle specie ibride, create mediante la tradizionale selezione, si distingue per le sue caratteristiche commerciali qualitativamente nuove. Lasciato in frigorifero, il favr-savr conserva la sua freschezza per svariate settimane, mentre la sua solidità e la sua resistenza consentono di trasportarlo per migliaia di chilometri. Il suo gusto viene spesso definito come di plastica, ma secondo gli esperti è più che altro neutrale. Da un certo punto di vista si tratta addirittura di un vantaggio: ognuno può proiettare i propri gusti sulla sua piattaforma impersonale. Sempre che se li ricordi, naturalmente! Da allora sono passati più di 20 anni. Le prime generazioni nutrite con pomodori OGM hanno ormai il diritto di voto. Ma non hanno memoria del gusto. Puoi rifilare loro di tutto, basta che sia confezionato nella maniera adatta. Sono il consumatore ideale del futuro. Il pomodoro bulgaro non educa consumatori. Ha però i suoi fan. Migliaia di essi confluiscono ogni estate nella loro piccola patria assolata per gustare questo elisir di identità. Per versare le loro lacrime sull’insalata šopska, per cantare un po’, per sentire la differenza e per esclamare:
No, le cose non sono tutte uguali!
Fino a quando vi saranno ancora persone che si rimpinzano di pomodori veri, nulla sarà perduto.
Vai all’intervista ad Alek Popov realizzata da Andrea Ferrario e Marinela Nikolova
© Alek Popov, 2005
© Traduzione dal bulgaro di Andrea Ferrario