Rete Progetto Pace: la solidarietà contagiosa

La storia della nascita della Rete Progetto Pace di Treviso, attraverso una consegna di aiuti in un campo profughi di Postojna, che ha avviato una lunga esperienza di sostegno e cooperazione con i paesi della ex-Jugoslavia. Una testimonianza raccolta grazie al crowdsourcing Cercavamo la pace

22/01/2014, Marco Provenzale -

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Alcuni ragazzi volontari di Rete Progetto Pace

Nel 1994 giunge all’Istituto Besta di Treviso una richiesta di aiuto e sostegno da alcuni volontari in contatto con un campo profughi di Postojna in Slovenia, dove erano rifugiate famiglie provenienti dalla Bosnia ed installato all’interno di un’ex caserma: in particolare veniva chiesto materiale didattico per avviare una scuola e permettere ai ragazzi di studiare.

Due studentesse, Katia e Irene, non si accontentarono di animare una raccolta di cancelleria, che aveva incontrato il favore e la generosità di tanti studenti e di tante cartolerie di Treviso e provincia, ma chiesero di poter consegnare personalmente i 15 scatoloni pieni di zaini, quaderni, penne, matite, ecc. recandosi al campo di Postojna.

Il desiderio si realizzò grazie ad un furgone che portava aiuti umanitari proprio in quel Campo, guidato da un volontario del Movimento Internazionale Umanità Nuova che effettuava periodicamente viaggi nell’area. Le due studentesse tornarono cambiate da quell’esperienza: mostravano una carica ed un entusiasmo contagiosi. Giunse proprio opportuna l’occasione di un’assemblea d’Istituto durante la quale loro vollero raccontare questa avventura a tutti gli studenti della scuola. 
Il clima che si venne a creare, di ascolto profondo e commosso, era davvero insolito in un tale contesto. Le ragazze, con l’aiuto di alcune diapositive, illustravano i vari momenti vissuti: la gioia dei bambini, l’accoglienza dei profughi, lo scarico degli scatoloni, la consegna della cancelleria.

Il racconto terminò con un interminabile applauso, poi, altro colpo di scena imprevedibile, una cinquantina di studenti si avvicinarono al palco quasi per farsi vicini a Katia e Irene, e manifestarono, con la carica esplosiva che hanno i giovani, il desiderio di poter a loro volta fare direttamente quell’esperienza.
 Quanto accaduto in quell’assemblea non fu un fuoco di paglia: qualche mese dopo infatti partiva dal Besta un pullman pieno di studenti e di aiuti umanitari per quello stesso Campo Profughi e si ripeterono, moltiplicate, le scene mostrate nelle diapositive da Katia e Irene.

Il viaggio diventò una consuetudine: almeno una volta all’anno c’erano sempre studenti che prendevano il testimone dai loro compagni e davano continuità ad un’esperienza che cominciava a diventare una testimonianza importante per la città e trovava ampi spazi nella stampa locale.

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