Republika Srpska: lungo la strada del referendum
Regna l’incertezza sul referendum indetto dai serbi di Bosnia a sostegno della propria festa nazionale del 9 gennaio. Una rassegna
La Corte Costituzionale bosniaca ha deciso, sabato 17 settembre, di rigettare la richiesta del parlamento di Banja Luka di rivedere la sentenza dello scorso 25 novembre in cui definiva discriminatoria verso gli altri popoli costitutivi – e pertanto incostituzionale – la festa nazionale della Republika Srpska, celebrata il 9 gennaio: giorno di Santo Stefano per il calendario ortodosso e anniversario della proclamazione unilaterale della Republika Srpska di Bosnia ed Erzegovina nel 1992, alla vigilia della guerra.
Allo stesso tempo, la Corte ha anche deciso di prendere in considerazione la richiesta del capo di stato di turno, Bakir Izetbegović, in cui si chiedeva di valutare la costituzionalità dell’indizione del referendum nell’entità a maggioranza serbo-bosniaca. Nell’attesa di una decisione sul merito, i giudici costituzionali hanno ingiunto all’entità di soprassedere alla consultazione referendaria.
Le autorità di Banja Luka non l’hanno presa bene, in primis il presidente Milorad Dodik, che l’ha definita una sentenza politica. "Non mi aspettavo niente di diverso da un organo politico che si fa chiamare Corte Costituzionale. Non possono sospendere la nostra decisione. Solo il Parlamento [della RS] può farlo, e il Parlamento non si riunirà a tal fine, e terremo il nostro referendum".
Nelle scorse settimane, dopo grande attivismo diplomatico, una soluzione di compromesso sembrava possibile: se la Corte Costituzionale avesse deciso di riaprire il caso, i politici di Banja Luka avrebbero potuto sospendere il referendum e modificare la legge sui giorni festivi, ad esempio rendendo solo opzionale la festa del 9 gennaio (oggi giorno festivo obbligatorio per tutti).
La decisione di sabato dei giudici costituzionali ha chiuso tale strada, e a due settimane dalle elezioni locali del 2 ottobre, è improbabile che i politici della RS siano pronti a lasciarci la faccia. La calendarizzazione del referendum così vicino alle urne a molti è parsa funzionale a sfruttarne l’effetto di mobilitazione a favore del partito di Dodik al governo, l’SNSD, ed evitare la vittoria delle opposizioni nelle principali città in Republika Srpska, come avvenuto nel 2014 per la posizione nella Presidenza statale rotativa. L’SNSD ha addirittura sospeso la campagna elettorale per concentrare la propaganda politica sul solo referendum.
Benché si tratti solo di un referendum consultivo (il quesito è "volete voi che il 9 gennaio sia celebrato come Giorno della Republika Srpska?"), e come tale non abbia valore legale contro la sentenza della Corte Costituzionale ormai passata in giudicato, l’ingiunzione della Corte ha innalzato la posta in gioco. Come ha ricordato l’OHR (l’Ufficio dell’Alto Rappresentante internazionale, che detiene ancora formalmente poteri esecutivi in Bosnia ed Erzegovina), "non si tratta più solo di una festività della RS, ma di una sfida diretta al sistema giudiziario statale " – e alla comunità internazionale che lo sostiene.
Allo stesso tempo, i politici di Sarajevo temono che il voto del 25 settembre sia solo un primo passo in un piano secessionista che Dodik non ha mai avuto timore di nascondere. Le autorità della Republika Srpska hanno confermato di aver stilato autonomamente le proprie liste elettorali, dopo che le autorità statali si sono rifiutate di consegnare le banche dati. Ugualmente, secondo Banja Luka, i cittadini bosniaci residenti a Brčko potranno votare nei comuni circostanti, dopo che l’autorità internazionale nel distretto autonomo aveva rifiutato di permettervi lo svolgimento della consultazione.
L’UE ha fatto appello alle istituzioni bosniache a rispettare lo stato di diritto e ad agire solo attraverso procedimenti legali e un dialogo costruttivo, astenendosi da ogni atto a rischio di escalation. Ma ad una sentenza passata in giudicato la Republika Srpska potrebbe fare opposizione in maniera legale solo facendo ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In tal caso, i giudici di Strasburgo potrebbero essere chiamati a pronunciarsi sulla compensazione tra il principio di diritto costituzionale bosniaco dell’eguaglianza dei popoli costitutivi – che dalla sentenza U-5/98 della Corte Costituzionale mette sullo stesso piano serbi, croati e bosgnacchi anche all’interno della Republika Srpska – e il più generale principio europeo di non discriminazione (art.14 e Protocollo XII) che permette un ampio margine di manovra alle autorità nel definire festività legate alla storia, tradizioni e cultura degli stati firmatari.
Se invece, come sembra sempre più probabile, Dodik decidesse di andare fino in fondo nella sua sfida referendaria , le autorità della Republika Srpska si porrebbero in violazione della legge – e dello stesso trattato di pace di Dayton. UE e USA non potrebbero che prenderne atto e reagire tramite sanzioni, mentre Dodik saprebbe già a chi chiedere sostegno. Se la Serbia infatti nicchia – il premier Vučić ha affermato di non sostenere il referendum ma permetterà comunque ai serbo-bosniaci espatriati di votare da varie località della Serbia – altri non stanno ad aspettare. Il 22 settembre, a tre giorni dal voto, Dodik ha in calendario un incontro con il presidente russo Vladimir Putin.