Republika Srpska: il catasto e la pulizia etnica

Nell’entità bosniaca della Republika Srpska una legge di riforma del catasto sta rafforzando gli esiti della pulizia etnica. A farne le spese, una volta ancora, le comunità minoritarie

14/02/2020, Edvard Cucek -

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La chiesa di Mahovljani (foto gentilmente concessa da Paolo Perotto, ricercatore della storia trentino-bosniaca e custode della memoria dei trentini da Mahovljani)

La Republika Srpska si sta impossessando illegalmente di proprietà dei suoi ex residenti. E il tutto grazie ad una legge di riforma del catasto approvata nel 2012 e con successive modifiche intervenute nel 2016, 2018, 2019. La denuncia è arrivata nel dicembre scorso dalla Conferenza episcopale della Bosnia Erzegovina

La legge contestata

Come può accadere che un legittimo proprietario di un bene immobile da un giorno all’altro perda i propri diritti di proprietà? Il tutto avviene attraverso una procedura che obbliga i proprietari di immobili nelle aree in cui si procede con la revisione del catasto a presentare ad un’apposita commissione i propri titoli di proprietà entro 30 giorni dall’affissione, presso la bacheca del comune dove avviene la revisione, dell’avvio della procedura stessa. Per chi non si presenta la commissione nomina un rappresentante legale temporaneo cui spetterebbe rintracciare gli interessati.

“Le esperienze di numerose persone fisiche e giuridiche dimostrano che la procedura non è trasparente e che perdite della proprietà avvengono perché i diretti interessati generalmente non vengono nemmeno informati", sostiene però la Conferenza episcopale della Bosnia Erzegovina direttamente coinvolta nella vicenda.

Nel caso della scadenza di tutti i termini previsti dalla procedura – anche per l’eventuale ricorso – la proprietà degli immobili viene registrata a favore della stessa Republika Srpska.

Proteste contro la legge contesa

La legge, secondo chi ne denuncia gli abusi, sarebbe stata concepita espressamente per sottrarre gli immobili a chi, negli anni ’90, è stato obbligato a lasciare la Bosnia Erzegovina. Lo si evidenzia anche in una nota di protesta inviata dalla Diocesi di Banja Luka alle autorità locali e all’Ufficio Centrale del Catasto a Banja Luka. Nota a cui è seguita, poi, la sopracitata forte presa di posizione della Conferenza episcopale della Bosnia Erzegovina.

I vescovi cattolici ritengono che la legge non sia altro che una scusa per il “sequestro legale” delle proprietà della Chiesa cattolica in quella parte della Bosnia Erzegovina. Una copertura giuridica sotto la quale si stanno sottraendo beni immobili privati di croato-bosniaci e bosgnacchi espulsi dall’esercito serbo-bosniaco durante la guerra degli anni Novanta e dei legittimi eredi delle vittime della pulizia etnica.

Inoltre gli stessi vescovi accusano il Catasto della RS di continuare con i passaggi di proprietà all’Entità di beni immobili appartenenti alla Bosnia Erzegovina senza che vi sia un accordo sulle proprietà delle due istituzioni coinvolte.

Mahovljani

Le proteste più recenti sono legate dopo la decisione di ascrivere come proprietà della RS una serie di terreni agricoli nella zona di Mahovljani, a circa 20 chilometri da Banja Luka – dove viveva una rilevante comunità trentina – proprietà della Diocesi di Banja Luka.

Secondo le istituzioni della RS si sarebbe trattato di “un’armonizzazione dei dati immobiliari – relativi a terreni, edifici, appartamenti e locali commerciali – che i tribunali registrano come proprietà dell’Entità solo se non è possibile determinarne il proprietario”.

La Conferenza episcopale e in precedenza la Comunità islamica in Bosnia Erzegovina, nonché numerose associazioni di rimpatriati in RS, hanno però confutato più volte queste affermazioni del governo della Republika Srpska. Tra l’altro le comunità penalizzate sottolineano come il Parlamento della Republika Srpska ha in passato abrogato una legge simile, ampiamente contestata dalla Corte costituzionale che ne ha sospeso l’applicazione, per poi votarne un’altra ancora più penalizzante per le minoranze croato-bosniaca e bosgnacca.

Se non bastasse…

Laddove le “sottrazioni” sopra descritte avrebbero potuto causare troppa attenzione mediatica le istituzioni della RS sembra abbiano adottato una strategia diversa. Un altro strumento utilizzato, più sofisticato e giuridicamente difficilmente attaccabile, è quello del piano regolatore.

È capitato diverse volte che in alcune città della RS, Banja Luka in primis, siano stati approvati piani regolatori che prevedevano in alcune aree l’esproprio di beni appartenenti a minoranze nel nome di un “evidente interesse pubblico”.

Una volta confermato il piano anche dal ministero dell’Urbanistica si è poi preceduto con esproprio e demolizioni. Salvo poi vendere all’asta quello che era ormai un terreno libero da vincoli ed edificabile – e spesso in zone pregiate – a privati o aziende. Il fenomeno è stato, a partire ancora dal 2002, abbondantemente descritto dalla giornalista e scrittrice bosniaca Snježana Mulić Bušatlija.

Quanto è grande il fenomeno?

Non vi sono dati sulla quantità di beni immobili già intestati all’Entità o in procinto di esserlo ma la Conferenza episcopale teme che il caso non si fermerà alle proprietà della “chiesa italiana” di Mahovljani, definendo questa legge una continuazione della pulizia etnica dei cattolici dalla Republika Srpska.

La Commissione “Iustitia et pax” (Giustizia e pace) della Conferenza episcopale della Bosnia Erzegovina ha definito la legge “uno strumento perfido per ‘consentire’ alla maggioranza di impossessarsi delle proprietà dei legittimi proprietari sotto la ‘maschera’ della registrazione e dell’armonizzazione”.

La conferenza episcopale denuncia anche un’altra legge – che riguarda le confische di proprietà effettuate dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale (LINK) – la cui implementazione rischia di portare allo sradicamento definitivo della minoranza dalla Republika Srpska.

Il mese scorso hanno commentato la situazione, per Aljazeera Balkans, Muharem Cero e Francisko Brdarić. Secondo Muharem Cero, ex membro della Commissione statale per la proprietà della Bosnia Erzegovina, questa politica della RS andava fermata prima che entrasse in vigore la Legge sulle foreste.

Cero ricorda che le autorità della RS sono passate indenni dall’approvazione – a livello di Entità – di una legge secondo la quale le foreste dello stato della Bosnia Erzegovina divenivano proprietà della Republika Srpska. Pur essendo stata approvata nel 2005 una legge da parte dell’Alto rappresentante in Bosnia Erzegovina che ne vietava la gestione da parte della RS sino all’approvazione di una legge statale in merito.

Francisko Brdarić, presidente di “Hrvatski Blok”, partito dei croato-bosniaci, ritiene che i più colpiti da queste “soluzioni legali” in RS saranno proprio i croati bosniaci dell’area della Posavina (pianura a nord est del paese). Un numero importante di loro hanno dovuto lasciare le loro case e proprietà durante l’ultima guerra. Il censimento del 1991 per quanto riguarda la Posavina bosniaca riporta i seguenti numeri: croato-bosniaci 135.640, bosgnacchi 72.126, serbo-bosniaci 79.643. Rapporti pesantemente stravolti in seguito ad una fuga massiccia dei non serbi da quelle parti ed un programma di ritorno costantemente ostacolato proprio dalle istituzioni RS. Brdarić ha chiesto alla Presidenza della Bosnia Erzegovina e alle istituzioni internazionali di presentare un ricorso indirizzato alla Corte costituzionale sulle leggi discriminatorie approvate in RS.

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