Renzi in Albania: selfie, politica e contraddizioni

Lo scorso 30 dicembre Matteo Renzi si è recato a Tirana ad incontrare il suo omologo Edi Rama. Tra i due un’intesa forte, a partire dallo stile politico, ma tra i due paesi il rapporto non è scevro di contraddizioni. Un commento

07/01/2015, Nicola Pedrazzi -

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Renzi e Rama - dal web

Ventiquattr’ore prima dei botti di Capodanno, Matteo Renzi è atterrato in Albania. Il semestre italiano di Presidenza dell’Ue si è chiuso là dove tutto era cominciato: lo scorso luglio la ministra degli Esteri Mogherini aveva lanciato proprio da Tirana il suo tour balcanico, un viaggio intrapreso nel tentativo di sottolineare la centralità della regione nella politica estera dell’Italia, una priorità puntualmente ripresa dal programma della Presidenza italiana.

Dipendentemente dall’angolazione da cui la si guarda, la visita di Renzi assume diversi significati: al di sotto del quadro europeo e delle priorità dettate dalla politica di allargamento, vi è infatti una consolidata partnership bilaterale, arricchitasi nel corso dell’ultimo anno del feeling politico-stilistico che intercorre tra i due neopremier. Purtroppo, qualsiasi scala d’analisi si scelga – Europa, paesi, persone – quest’incontro è risultato emblematico anche della contraddizione di fondo su cui Albania, Italia e Europa stanno costruendo le loro reciproche relazioni.

Italia e Albania nel quadro europeo

Dal 24 giugno 2014 l’Albania è il sesto candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione. Così come ammesso ironicamente dallo stesso Rama, si è perso il conto di quante volte il Consiglio europeo ha rinviato la candidatura del paese: “Anche sul numero effettivo di questi rifiuti abbiamo divergenze di vedute con l’opposizione”.

Scevri da qualsiasi faziosità politica, è invece possibile ripercorrere l’accaduto. Una volta effettuata domanda di adesione (aprile 2009) e incassato il parere favorevole della Commissione (novembre 2012), per ottenere lo status di paese candidato – che, lo ricordiamo, è necessario all’apertura dei negoziati di adesione – l’Albania doveva incassare il consenso unanime dei 28 governi seduti nel Consiglio: ciò è avvenuto, appunto, solamente lo scorso giugno, dopo due rifiuti consecutivi (novembre 2012 e dicembre 2013) e, piacevole coincidenza, alla vigilia del semestre italiano di Presidenza.

Durante questa travagliata fase di avvicinamento – che è lungi dall’essersi conclusa, come dimostra la storia della Macedonia, che a dieci anni dalla candidatura attende ancora l’apertura dei negoziati – l’Italia non ha mai fatto mancare il suo appoggio, in nessuna sede istituzionale. In vista del Consiglio europeo del 17 Dicembre 2013, già Enrico Letta aveva ricevuto Rama a Palazzo Chigi al fine di concordare la linea diplomatica con cui recarsi a Bruxelles: “Per noi non c’è nessun dubbio, ci sono le condizioni per un risultato positivo… Abbiamo valutato forme e modi per un lavoro di convincimento verso alcuni Paesi che hanno ancora resistenze su dossier e aspetti particolari”, si era sbilanciato l’allora Presidente del Consiglio.

La lettera-appello in favore del «sì» che venne firmata dall’Italia e da altri otto governi (Austria, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Estonia, Lituania e Irlanda) non sortì però l’effetto sperato: le resistenze olandesi e danesi non furono vinte e il Consiglio europeo decise di rimandare ogni decisione a giugno. Toccò così al nuovo governo Renzi, insediatosi a febbraio e legittimato dallo straordinario risultato elettorale di maggio, il piacere di assistere alla tanto agognata unanimità: il 24 giugno scorso, mentre il governo Rama si godeva il successo d’immagine, il governo italiano non mancava di porre l’accento sulla vincente partnership italo-albanese.

I rapporti bilaterali: le cifre

Senza scadere nella trita retorica dell’amicizia interadriatica, sulla base dei dati ufficiali disponibili si può affermare che i rapporti che l’Italia intrattiene con l’Albania non sono comparabili a quelli intessuti con gli altri paesi balcanici: probabilmente non hanno eguali nel mondo.

Partiamo dall’economia. L’Italia è il primo investitore straniero per numero di imprese presenti sul territorio albanese (circa 400, attive soprattutto nel manifatturiero, nelle costruzioni e nei servizi, tra cui spiccano gruppi industriali medio-grandi come Italcementi, Coca-Cola Albania e Conad), e il secondo per valore degli investimenti (subito dietro la Grecia). Il 12% degli investimenti esteri diretti in Albania è italiano e due banche tricolore come Intesa Sanpaolo e Veneto Banca sono rispettivamente la terza e la dodicesima banca del paese. Ancor più indicativi sono i dati inerenti al commercio: nel 2013 l’Albania ha importato dall’Italia il 33% delle sue merci e ha indirizzato verso l’Italia il 46% del proprio export. Con il 37% della quota complessiva di mercato albanese e un interscambio pari a 5,4 miliardi di euro, l’Italia è di gran lunga il primo partner commerciale – al secondo posto troviamo la Grecia, con una quota pari al 7%, seguita da Cina (6,11%) e Turchia (5,53%).

Anche dal punto di vista politico, dall’ottobre 2013 al dicembre 2014 – ovvero nei mesi che hanno preceduto e seguito la concessione all’Albania dello status di paese candidato – si è assistito ad una vera e propria escalation diplomatica. Tralasciando le numerose sortite del neo-premier Edi Rama in Italia, ben prima di Matteo Renzi hanno reso visita all’Albania l’allora ministra degli Esteri Emma Bonino (8-9 ottobre 2013), il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (4-5 marzo 2014), il Presidente del Senato Pietro Grasso (5-6 maggio), l’allora ministra degli Esteri Federica Mogherini (25 luglio) e il ministro della Difesa Roberta Pinotti (19 settembre).

In molti – giornalisti e pubblico – si sono sorpresi di quanto fosse “rosso” lo stadio di Genova il 18 novembre scorso, quando Italia e Albania si sono incontrate per la prima volta su un campo di calcio: a tutti coloro che si sono stupiti è bene ricordare che quasi mezzo milione di albanesi risiede stabilmente nel nostro paese. Infine, complice la diffusione dell’italiano in Albania e l’appoggio di cui possono godere presso parenti e amici già residenti, gli studenti albanesi sono ancora oggi la prima comunità di cittadini stranieri immatricolati presso i nostri atenei (il 13,19%), insidiati solo dai romeni (12,98%) e dai cinesi (10,76%).

L’amicizia dei sindaci premier: questione di stile?

Il recente quadro europeo e gli storici legami bilaterali non esauriscono le ragioni della calorosa visita del 30 dicembre scorso: per comprendere appieno l’odierna special relationship italo-albanese è assai utile conoscere i due personaggi politici che al momento la incarnano. Al netto delle profonde diversità nazionali, le biografie politiche di Edi Rama (classe ’64) e di Matteo Renzi (classe ’75) presentano diversi punti di contatto.

Entrambi ex sindaci, entrambi relativamente giovani – quanto basta a “non c’entrare” con gli oscuri passati dei rispettivi paesi – sia Renzi che Rama hanno costruito la loro ascesa politica sul lessico del rinnovamento (“rottamazione” l’ha chiamata il primo, rinascita” il secondo), archiviando, chi nelle urne, chi in parlamento, l’egemonia carismatica dei due vecchi leader della destra – per tanto tempo, non va dimenticato, l’amicizia italo-albanese era stata plasticamente rappresentata dalla coppia Berisha-Berlusconi.

Leader di una “sinistra civica” affatto sorda alle esigenze del capitalismo, campioni mediterranei del blairismo economico e dell’obamanesimo mediatico, sia Renzi che Rama sono politici di indole decisionista e di attitudine governativa, assoluti padroni della comunicazione social e attori compiaciuti della sempre più dilagante selfie-politica, da loro consciamente utilizzata per catalizzare consenso: aprendo il semestre italiano di fronte al Parlamento di Strasburgo, Renzi aveva provocato l’aula chiedendo ai deputati che faccia avrebbe avuto l’Europa se si fosse scattata una selfie, in chiusura di semestre Rama gli ha fatto eco con questo video, già cult tra i webspettatori di entrambe le sponde adriatiche.

Se i tratti in comune si sprecano, lo stile non sarebbe mai bastato a rendere politica la simpatia tra i due esecutivi. È il contesto, e nello specifico il contesto europeo, a rendere strategica quest’amicizia transnazionale. Si pensi alla campagna elettorale per le elezioni europee, quando il Primo Ministro albanese schierò energicamente il suo partito con il Partito Socialista europeo e si spese in prima persona per mobilitare i cittadini italiani di origine albanese affinché votassero il Partito Democratico – “L’italia sicuramente cambierà presto e in meglio, grazie all’energia e al coraggio straordinario di Matteo Renzi” – una scelta certamente dettata dal timore che anche in Italia potesse affermarsi il fronte euroscettico anti-allargamento, ma anche un gesto d’amicizia – che il governo Renzi, internazionalmente rafforzato dagli esiti elettorali, ha poi ricambiato volentieri su tutti i tavoli europei.

Un’insopprimibile contraddizione

Stando a quanto dichiarato in conferenza stampa, l’atteso vertice Renzi-Rama si è limitato però a confermare i tre livelli d’amicizia italo-albanese – europeista, bilaterale e personale. Molte dichiarazioni d’amore, pochi dati di fatto: dopo aver ribadito il pieno sostegno italiano durante i prossimi appuntamenti europei – “L’Italia continuerà a essere il primo sponsor dell’Albania” – Renzi ha insistito sull’importanza di velocizzare il processo di allargamento, annunciando un imminente trilaterale ministeriale Italia-Albania-Serbia che dovrebbe svolgersi a Roma il prossimo 25 gennaio.

Sul piano puramente bilaterale è invece stato toccato il nodo delle pensioni – aprendo tavoli tecnici per discutere il reciproco riconoscimento dei contributi versati nei due paesi – e la questione linguistica – si è parlato molto genericamente di rafforzare la promozione della lingua italiana in Albania, mentre da parte italiana ci si è impegnati a garantire la permanenza della cattedra di albanologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

Tutto si sarebbe svolto secondo copione – condito da allegri siparietti tra tifosi viola, colore del Partito Socialista albanese e della Fiorentina – se il Primo Ministro albanese, evidentemente rilassato dal clima conviviale, non avesse (inavvertitamente?) sconfinato nell’amaro campo della verità: “Vorrei dire al Presidente del Consiglio italiano di investire in Albania perché qui non abbiamo sindacati e abbiamo l’imposizione fiscale al 15 per cento…”. Questa frase – molto probabilmente l’unica degna di essere ricordata – racchiude in sé il vero senso del vertice, ma soprattutto rende palese l’insopprimibile contraddizione che esiste tra il progetto europeo politicamente inteso e gli specifici interessi nazionali.

Il mondo in cui viviamo ci invita a non essere naive: è naturale che imprenditori stranieri cerchino profitti all’estero, così come è più che comprensibile che i governanti dei paesi in via di sviluppo preferiscano riassorbire oggi, nel presente, la disoccupazione che mina il loro consenso; ma questa classicissima strategia economica (tu mettici le aziende, io i lavoratori), la quale è fisiologica nei rapporti tra paesi industrializzati e paesi che non lo sono, non può che cadere in contraddizione con l’europeismo di cui le due leadership si professano paladine.

Non vi è discorso pubblico in cui Renzi e Rama non ricordino la dimensione politica dell’Europa: luogo di pace e di futuro, “casa dei nostri figli”. Non vi è discorso politico in cui entrambi non si professino costruttori dell’”Europa della speranza” (il più celebre copy-paste di Rama su Renzi). È per questo che il gentile invito del Primo Ministro albanese stona: non perché sia di per sé scandaloso, o perché sia stato pronunciato dal Segretario di un partito che si definisce “socialista”; molto più semplicemente: la verità di quella frase svuota da dentro il lessico europeista che pervade la retorica della novità di entrambi i premier. Nulla è infatti più vecchio o più “già visto” delle consuete dinamiche della delocalizzazione produttiva, i cui puri interessi, chissà perché nessuno lo ricorda mai, sono per definizione ostili all’integrazione di nuovi membri nella legalità comunitaria e, nel lungo periodo, inversamente proporzionali all’intero processo di integrazione (Romania docet).

L’amara verità, per gli albanesi, gli italiani e per tutti i giovani elettori di questi politici giovanilisti, è che il semestre italiano in Albania è finito, e di tante cose non si è nemmeno parlato. Si pensi ad esempio ai programmi studio, al famigerato Erasmus: mentre tutti si ripete in coro che “l’Albania è già in Europa”, si dimentica che a causa della banale mancanza di uffici deputati alle relazioni internazionali gli studenti delle Università albanesi non hanno accesso al più antico e basilare programma di studio della Commissione (nell’altrettanto candidata Turchia l’Erasmus è attivo da almeno un decennio). L’Italia, oltretutto forte del suo primato linguistico, possiederebbe certamente il know-how per fungere da ponte, lavorando all’internazionalizzazione degli atenei albanesi; ma se nemmeno i “leader dei giovani” ne hanno parlato, risulta difficile credere che il tema sarà affrontato in futuro.

L’amara verità, forse ancora più dura di quella spudoratamente ammessa dallo stesso Rama, è che tanto dentro quanto fuori da quest’Europa malandata, il nostro futuro è nel dilemma che l’ha fondata: una cittadinanza europea propriamente intesa potrà mai nascere dall’intensificarsi di soli legami economici? Una domanda, questa, puntualmente elusa da tutti i leader del cambiamento.

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