Religione e comunità della diaspora: la Comunità Islamica dei bosniaci in Italia
Due anni fa è nata in Italia una sezione della Comunità Islamica della Bosnia Erzegovina. Con l’imam Ahmed Tabaković ne ripercorriamo genesi e obiettivi
(Una versione più ampia di questa intervista è stata pubblicata originariamente su Il Pulmino Verde il 9 maggio 2021)
Che rapporto intercorre tra religione e migrazioni transnazionali? È la domanda avanzata da Peggy Levitt in uno studio condotto nel 2003, intitolato: “You Know, Abraham Was Really the First Immigrant” (“Lo sai, Abramo è stato davvero il primo migrante”). Non è un caso che Levitt prenda come punto di partenza la migrazione di Abramo che, all’inizio del II millennio a.C., abbandonò la sua terra natia per spostarsi da Ur a Carran e poi ancora verso il paese di Canaan, rispondendo alla chiamata di Dio: “Il Signore disse ad Abramo: va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre e va’ nel paese che io ti mostrerò” (Genesi, 12, 1-4).
La relazione tra religione e migrazioni ha infatti una lunga storia, suggerisce Levitt, il viaggio di Abramo si inserisce nel contesto delle grandi migrazioni di interi popoli che dovettero e tutt’oggi si ritrovano a ripensare la propria vita oltreconfine, tentando al contempo di rimanere connessi alle proprie radici religiose e culturali.
Seguendo per certi versi le orme di Abramo, il principale imam della neonata Comunità Islamica dei Bosniaci in Italia (da qui in poi CIBI) nonché imam del “dzemat” (leggere “jamaat” – in italiano traducibile come “congregazioni” o “collettività” di fedeli) Ital-Bosna, Ahmed Tabaković, ha seguito la propria vocazione, accogliendo di recente la chiamata dei bosniaci musulmani e accettando di assisterli nella gestione quotidiana della propria vita religiosa in Italia.
Ho già avuto il piacere di conoscere l’imam in occasione di una scuola estiva a Sarajevo sull’islam in Europa, e sono felice di avviare ora questo dialogo, che ci porterà ad indagare le origini della CIBI e le sfide poste dall’incontro tra culture, tradizioni e popoli differenti.
La Comunità Islamica dei Bosniaci in Italia (CIBI ) nasce nel dicembre del 2019 a Gaglianico (Biella). L’apertura è accolta con entusiasmo: “Un momento storico” , “Un nuovo inizio per tutti noi” titolano i giornali bosniaci, che guardano con interesse ai mutamenti socioculturali interni alle collettività della diaspora. Sino ad ora mancava in Italia un’istituzione che potesse aggregare le diverse componenti della comunità bosgnacca (nome usato per indicare la comunitá dei bosniaci musulmani in Bosnia) a livello nazionale, ed è interessante come il punto di svolta arrivi da un progetto religiosamente connotato. Oltretutto, mentre in altri paesi europei e del mondo la Comunità Islamica ha da tempo inaugurato le proprie sedi, affermando con decisione la propria presenza a livello transnazionale, in Italia si è dovuto aspettare sino al 2019 per vedere la nascita dell’istituzione.
Lei è il principale imam dei bosniaci musulmani in Italia. Come si costituisce la CIBI e come mai nasce solo negli ultimi anni?
Per rendere più semplice la comprensione ai lettori, vorrei aggiungere qualche dettaglio in più sulla storia e la struttura della Comunità Islamica in Bosnia Erzegovina (Islamska Zajednica u Bosni i Hercegovini, IZ BIH). IZ BIH è stata fondata nel 1882, a 4 anni dalla fine dell’occupazione ottomana in Bosnia. Fino ad allora, i musulmani nel paese rispettavano l’autorità religiosa universale del califfo e dello “sheikh ul-Islam” (nell’Impero Ottomano la figura religiosa piú importante dopo il Sultano) di Istanbul e non avevano bisogno di un’organizzazione indipendente. Tuttavia, dopo l’occupazione austro-ungarica della Bosnia nel 1878, i musulmani bosniaci dovettero affrontare diverse sfide, una delle quali fu l’istituzione di un’organizzazione confessionale musulmana. Per approfondire consiglio di leggere lo studio del Prof. Fikret Karčić “I Bosgnacchi e le Sfide della Modernitá”. La Comunità Islamica nasce quindi ufficialmente nel 1882.
La Comunità Islamica in quanto tale è la più antica istituzione religiosa islamica in Europa e ciò di cui siamo molto orgogliosi è proprio il fatto che è sopravvissuta a molti sistemi politici – la Monarchia austro-ungarica, il Regno di Jugoslavia, lo Stato Indipendente di Croazia e la Jugoslavia Socialista – diventando una comunità religiosa autonoma. Dal 1992 e dall’aggressione sulla Bosnia Erzegovina in poi, la IZ BIH opera all’interno dei sistemi democratici della BiH, della Croazia, Slovenia e Serbia e dei paesi in cui risiede la diaspora bosniaca (Nord America, Europa, Australia).
La CIBI, quindi, altro non è che un ramo della Comunità Islamica di Bosnia Erzegovina (IZ BIH)?
Sì. E la CIBI è la più giovane organizzazione ombrello dei musulmani bosgnacchi nella diaspora. È importante sottolineare che l’emigrazione bosniaco-musulmana in Italia è una delle più giovani e che la maggior parte dei bosniaci sono arrivati qui all’inizio degli anni 2000 per motivi principalmente economici, che è uno dei fattori cruciali dietro alla tarda istituzione della CIBI, considerando che la maggior parte delle persone vedeva la propria emigrazione come temporanea.
Negli anni i bosniaci, trovandosi ormai da tempo in Italia e in condizioni abbastanza stabili – molti, nel frattempo, hanno ottenuto il ricongiungimento familiare, la cittadinanza italiana, oppure il permesso di soggiorno di lungo periodo – hanno iniziato a costituire associazioni culturali.
Abbiamo i primi esempi di queste associazioni intorno al 2006 e 2007, formatesi principalmente per preservare identità, cultura e tradizione. Nel periodo tra la fondazione delle associazioni, e più intensamente dal 2012 in avanti, è nata tra i bosniaci l’idea di organizzare la vita religiosa degli individui e istituire un’organizzazione di riferimento. Fino al 2019 diversi imam bosniaci e studenti della Facoltà di Scienze Islamiche di Sarajevo hanno soggiornato in Italia durante il mese sacro di Ramadan, organizzando “iftar” collettivi (“iftar” è il nome dato al pasto serale in occasione del mese di Ramadan), “teravih-namaz” (preghiere serali collettive) e celebrazioni dell’Eid (festa di rottura del digiuno). Inoltre, i bosniaci erano già precedentemente membri di diversi “džemat” precostituiti, ma ciò non era sufficiente a soddisfare le esigenze religiose dei fedeli. Così, dal 2017 si è intensificata l’idea di istituire un’organizzazione ombrello che potesse raccogliere tutte queste realtà.
I bosniaci musulmani iniziavano così i preparativi necessari per costituire la CIBI, avviando anche le consultazioni e il confronto con le istituzioni italiane per riuscire a regolarizzare la presenza dell’istituzione sul territorio della penisola…
A quel tempo la Comunità islamica di Bosnia Erzegovina cominciava a mobilitare i propri esperti tramite la Direzione per gli Affari Esteri e le Relazioni con la Diaspora, che vagliavano la possibilità di procedere con la registrazione della CIBI a livello della Repubblica Italiana e organizzavano visite e incontri formali presso l’Università di Bologna e la Diocesi di Milano. Questi sforzi hanno portato infine alla creazione della CIBI nel dicembre del 2019.
Attualmente la CIBI è composta da tre “džemat” che coprono le regioni in cui si trovano: il “džemat” Biella a Gaglianico (in Piemonte); il “džemat” Ital-Bosna in Vallecamonica, nelle Province di Brescia e Bergamo (in Lombardia); il “džemat” Nur di Verona (in Veneto).
Verso la metà di dicembre dell’anno scorso sono stato nominato dal Reis-ul-ulema come imam-ministro di culto della CIBI all’interno del “džemat” Ital-Bosna, e come principale imam della Comunità Islamica dei Bosniaci in Italia.
Si tratta quindi di un passo importante per i bosgnacchi, che si potrebbe dire fino ad ora erano abbandonati a sé stessi, diversamente da altre collettività musulmane in Italia che hanno da tempo associazioni e istituzioni a cui appoggiarsi. Come si inserisce la CIBI all’interno di questo panorama così complesso a livello italiano e che cosa la distingue da altre associazioni e organizzazioni islamiche in Italia?
La CIBI è un’organizzazione islamica unica a livello italiano, prima di tutto perché ha una struttura e una gerarchia chiaramente definite, un’autentica storia europea oltre ad una chiara continuità storica, un sistema educativo unico per gli imam, totale indipendenza da ogni influenza politica e un chiaro gruppo target.
In termini di gerarchia, vi è una chiara catena di responsabilità: a capo della CIBI vi è il Presidente, che risponde del suo operato al Consiglio Direttivo e all’Assemblea, mentre a livello inferiore/regionale ci sono i “džemat”, ciascuno con un proprio Presidente. Per quanto riguarda gli aspetti religiosi, gli imam di ciascun “džemat” rispondono all’imam principale che risponde a sua volta agli organi della CIBI, al “mufti” per l’Europa Occidentale e al Reis-ul-ulema. Una gerarchia così ben definita e distinta mira a proteggere gli interessi di tutti e garantire l’attuazione dei principi di uguaglianza, libertà e autoritá.
La Comunità Islamica in BIH ha poi un proprio sistema educativo, che è riconosciuto e incorporato nel sistema di istruzione pubblica in BIH. Ad esempio, l’istituzione educativa di base della IZ BIH è la “madrasa” (scuola superiore islamica) di Gazi-Husrev Beg, fondata nel 1537, che da sempre educa i futuri imam. È considerato come il più antico istituto di istruzione superiore islamica in Europa. Affinché un imam possa svolgere la sua funzione nella “džemat”, deve completare una “madrasa” di quattro anni e un programma di studi in teologia di quattro anni o un programma di studio presso la Facoltà di Scienze Islamiche nell’Università degli Studi Islamici di Sarajevo.
In termini di autentica storia europea, la Comunità Islamica, di cui la CIBI é membro, si è dimostrata come modello accettabile per l’organizzazione religiosa dei musulmani, soprattutto perché esiste in questa forma da quasi un secolo e mezzo, è stata fondata e opera sul suolo europeo e possiede un’esperienza storica a livello europeo nell’organizzazione della vita religiosa e degli affari religiosi dei musulmani. Inoltre, i musulmani bosgnacchi sono uno dei popoli musulmani autoctoni sul suolo europeo.
La nascita della CIBI è stata letta come un’opportunità non solo per i bosgnacchi in particolare, ma anche per l’Italia e per l’Europa in generale. Enes Karić, professore presso l’Universitá degli Studi Islamici di Sarajevo, specializzato in storia dell’interpretazione del Corano e metodologia di interpretazione del Corano, ha scritto un articolo per la rivista Oasis, in cui pone la questione su come le Facoltà islamiche dei Balcani possano diventare un modello per l’Europa, un punto di riferimento per i musulmani dell’Europa occidentale. Quale valore aggiunto ha l’islam bosniaco per l’Europa e in questo caso per l’Italia?
Il professore Karić parte dalla tesi del famoso teologo tedesco Hans Küng per cui non ci può essere pace nel mondo senza che ci sia pace tra le religioni. Ma prima di tutto vorrei chiarire il termine “islam bosniaco”. L’islam è una religione universale e l’ultima religione rivelata da Dio a tutti gli individui fino al Giorno del Giudizio. I principi alla base dell’islam, le credenze e i rituali sono immutabili, mentre la loro applicazione in diversi contesti può variare. L’islam è ufficialmente presente in Bosnia dal 1463, e ufficiosamente da qualche centinaio di anni prima. La BIH con la sua storia e il suo contesto specifico è un naturale luogo di incontro tra culture, religioni, cosí come i popoli della BIH sono il “monumento vivente” del multiculturalismo e della convivenza.
In questo senso, l’islam bosniaco, così come lei lo ha chiamato, rappresenta quasi sei secoli di vita dell’islam sul suolo europeo da parte di un popolo europeo autoctono, in un contesto che emana comprensione e accettazione dell’altro e del diverso. D’altra parte, istituzionalmente, la comunità islamica rappresenta la storia, la cultura e l’identità di una nazione che storicamente ha molto sofferto, ma ha anche dimostrato responsabilmente come vivere l’islam senza opprimere l’altro. Ci sono molti esempi, e io qui vorrei soffermarmi sul panorama della mia Sarajevo, spesso chiamata la Gerusalemme d’Europa, una città in cui a 200 metri di distanza si trovano autentici luoghi di culto di ebrei, cattolici, ortodossi e musulmani!
Contestualizzando questa domanda, vorrei ricordare che i musulmani bosniaci hanno dato un grande contributo al riconoscimento dell’islam nei paesi europei, partecipando alla stesura delle leggi sull’islam in Austria nel 1912 e in Ungheria nel 1914. Alcuni potrebbero dire che gli sforzi della IZ BIH sono cosa del passato, tuttavia, anche oggi, la IZ BIH gode di una grande reputazione nei circoli internazionali. Attualmente, la IZ BIH come istituzione musulmana unica, ha il suo ufficio di rappresentanza a Washington, che comprende anche le sedi per il Nord America, e un ufficio di rappresentanza presso l’Unione Europea a Bruxelles.
Tenendo conto di quanto sopra la CIBI e i suoi membri, la comunità bosgnacca, che nella propria esperienza ha intessuto un modo di vivere l’islam con l’altro e il diverso, potrebbe essere portatrice di un nuovo Rinascimento sulla questione dell’islam in Italia.
Rispetto a questo punto, in un’intervista uscita per la testata bosniaca Preporod (agenzia di informazione afferente alla Comunità Islamica della BiH), il Presidente della CIBI, Nermin Fazlagić, ha espresso il desiderio che il progetto possa rispondere alle esigenze sia delle vecchie, ma soprattutto delle nuove generazioni, strizzando un occhio ai giovani bosgnacchi. La CIBI come intende rispondere alle esigenze dei giovani bosniaci in Italia, contribuendo alla loro formazione?
Molti giovani di origine bosniaca vivono in Italia. Sulla base dell’esperienza vissuta fino ad ora, i problemi fondamentali che i giovani devono affrontare sono legati a questioni di identità e all’accettazione nella società. Ci tengo a sottolineare che molti dei nostri giovani hanno un’istruzione universitaria o stanno attualmente studiando e che, a differenza dei loro genitori, che nella maggior parte dei casi sono stati costretti a lasciare la BiH, parlano correntemente l’italiano. La sfera di interesse dei giovani è ampia: dalle scienze sociali a quelle naturali e tecnologiche.
Per quanto riguarda la risposta della CIBI ai bisogni dei giovani, vorrei sottolineare prima di tutto il continuo impegno della comunità nel guidarli. Attraverso le nostre “džemat” e i “mekteb” (scuole religiose dei fine settimana) e la Rete dei Giovani , li accompagniamo nel loro sviluppo, nella loro istruzione e li aiutiamo nella crescita personale e professionale.
Inoltre, la comunità come istituzione è al servizio della prevenzione di comportamenti devianti e radicali. La rete giovanile che ho citato è la Rete internazionale dei Giovani della IZ BIH, che opera in tre continenti diversi e mira a creare reti, sviluppando abilità sociali o di altro tipo, e guidando i giovani nel loro percorso di integrazione e costruzione della propria personalità a 360 gradi.
Molti immigrati tendono ad appoggiarsi alla religione come elemento di continuità che sopravvive al trasferimento in un contesto alieno: nelle istituzioni religiose trovano uno spazio accogliente e amichevole, che assomiglia almeno un po’ alla madrepatria, “una piccola porzione di Sion nel bel mezzo di Babilonia” . Ma l’istituzione religiosa fornisce anche un compasso morale e i mezzi per orientarsi all’interno dello spazio circostante in modo più responsabile, prestando maggiore attenzione alla dimensione collettiva del vivere, al di là dei confini religiosi…
Durante le ore di formazione religiosa, i giovani acquisiscono conoscenze di base sulla religione, apprendono il Corano e il corretto adempimento degli obblighi religiosi. Dal lato educativo ci sforziamo di costruire individui morali e responsabili in conformità con gli insegnamenti di base dell’islam, affinché siano dei membri consapevoli sia della nostra comunità sia della societá italiana nel suo insieme. A questo proposito, ci sforziamo di offrire un’ampia gamma di programmi su vari argomenti, come per esempio: vivere la fede nel XXI secolo, integrazione, riconoscimento e prevenzione di comportamenti devianti e radicali, promozione di stili di vita sani, conoscenza di culture, religioni e tradizioni diverse, temi che riguardano l’identità, etc.
Di certo, la crisi provocata dal Covid-19 ha fortemente condizionato il nostro lavoro in generale, e sicuramente in termini di lavoro con i giovani. Ci auguriamo che la situazione torni alla normalità il prima possibile in modo da poter continuare il nostro lavoro a pieno regime.
Per concludere la nostra conversazione le chiedo di raccontarci qualcosa del suo percorso personale, di come sia giunto fino a questo punto, a ricoprire una carica così significativa. E poi, siccome abbiamo parlato molto di quello che la CIBI potrebbe apportare al contesto europeo e quindi italiano, mi sono chiesta invece che cosa la CIBI potrebbe imparare dall’Italia.
A livello personale, la nomina da parte del Reis-ul-ulema come principale imam della CIBI è una grande sfida e un onore. Durante il mio percorso formativo, il mio sviluppo professionale e l’esperienza lavorativa fino ad ora, ho avuto modo di focalizzarmi sull’islam in Europa, sul dialogo interreligioso e sul lavoro con i giovani. Inoltre, sto attualmente completando un Master presso la Facoltà di Scienze Islamiche sull’Islam in Europa, in lingua inglese.
In questo senso, per me personalmente, l’organizzazione della vita religiosa e la guida di una comunità musulmana bosniaca in Italia è un onore eccezionale e mi pone di fronte obiettivi elevati. Al momento sto imparando l’italiano e studiando la posizione dell’islam e delle altre comunità religiose in Italia.
Scendendo ancor piú sul piano personale, l’Italia come paese con la sua storia, cultura e tradizione e con il suo popolo sempre ben disposto verso gli altri, fornisce una splendida cornice per una missione come la mia, soprattutto perché abbiamo molto da imparare gli uni dagli altri.
Le divisioni bipolari nel mondo sono, si spera, una cosa del passato e oggi più che mai abbiamo l’opportunità di vivere insieme e conoscerci a vicenda, che è uno dei precetti coranici riguardo al confronto con l’altro; tanto più che, come bosniaci, dobbiamo molto ai nostri amici italiani. Il cronista italiano Alberto Fortis ha annotato e conservato la nostra prima ballata “Hasanaginica”, una storia d’amore tragica che per la sua tragicitá rimanda ai veronesi Giulietta e Romeo.
Da grande appassionato di calcio, inoltre, vorrei ricordarvi la storica partita amichevole della nazionale bosniaca di calcio con gli Azzurri allo stadio Koševo (storico stadio di Sarajevo) nell’autunno del 1996, subito dopo la fine dell’aggressione (aggressione serba ai danni della Bosnia, n.d.a). La nazionale italiana ha portato gioia, felicità e speranza verso una normalizzazione della vita nell’allora distrutta città di Sarajevo e in Bosnia Erzegovina in generale.
Per concludere, vorrei esprimere il mio massimo impegno come imam principale della CIBI e l’impegno della nostra intera comunità verso il dialogo, il rispetto reciproco e la creazione di un ambiente comune basato sul principio del bene universale.