Quote rosa nella politica turca
La Turchia si prepara alle prossime elezioni politiche ma la rappresentanza femminile nell’arena politica è ancora troppo povera di "quote rosa". Ne parliamo con Binnaz Toprak, candidata deputata del Partito repubblicano del popolo (CHP)
Tra meno di tre settimane ci saranno le elezioni. I partiti lo scorso aprile hanno scelto i propri candidati per il parlamento, figurando un numero molto limitato di donne nelle liste elettorali. E sebbene alcuni partiti prevedano nel proprio statuto una “quota rosa” molto spesso non viene rispettata.
Cosa c’è alla base di questa scarsa presenza delle donne in politica?
I partiti non hanno l’obbligo di riservare una quota per le donne. Le associazioni delle donne la reclamano da diverso tempo, ma durante i suoi nove anni di governo, l’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi-Partito della giustizia e dello sviluppo) non ha voluto indrodurlo perché secondo la sua logica chi entra in politica lo deve fare per i propri meriti, e dunque anche le donne devono meritarselo. Ma le cose non stanno propriamente così, e non possiamo certo dire che tutti gli uomini che fanno parte dell’assemblea nazionale siano lì per i propri meriti. Il fatto è che la politica è stata sempre vista come una faccenda da uomini. Questa situazione non è addossabile solo all’AKP, dato che si tratta di un’interpretazione data sin dai primi inizi della nostra democrazia. Le donne vengono inserite dai vari partiti nelle liste elettorali per una questione di immagine, ma sempre negli ultimi posti dove non c’è la possibilità di essere elette. E questo dopo aver lavorato per il partito e pagato le quote associative per poter essere candidate. Esiste un background storico di esclusione delle donne dalla politica e finché questo background non diventerà uguale per tutti, sarà necessario risolvere il problema inserendo le quote. Spero che il mio partito consideri la questione seriamente e se ne faccia promotore.
Qual è la situazione nel CHP a riguardo?
Lo statuto del CHP stabilisce una “quota rosa” del 25%, ma anche qui purtroppo non è prevista una disposizione che imponga l’elezione dell’intera percentuale. Nonostante questo per le prossime elezioni il CHP ha registrato il numero più alto di domande nelle candidature femminili. Il partito allo stato attuale ha in parlamento 8 deputate. Noi ci aspettiamo che dopo le elezioni il numero salga a 30. Tuttavia, nella nuova Costituzione che stiamo preparando – e io sono nella commissione che la sta redigendo – abbiamo inserito la clausola della “parità”. Sarà da vedere se verrà approvata o meno, ma le donne devono avere questo obiettivo. Magari all’inizio si otterrà una quota del 40% e non una parità assoluta, ma per cominciare sarebbe un buon inizio.
Molto spesso l’assenza delle donne in politica viene giustificata come una questione di disinteresse o di incapacità. Lei cosa ne pensa?
Un sondaggio condotto alcuni anni fa con un collega sull’assenza o l’inferiorità numerica delle donne, non solo in politica ma anche nelle cariche superiori dell’amministrazione e nella partecipazione al lavoro, aveva completamente capovolto il luogo comune secondo cui le donne non sarebbero interessate alla politica. Quasi la metà delle donne intervistate affermarono che si sarebbero occupate di politica se ne avessero avuto la possibilità, e che avrebbero assunto incarichi in politica, dalle amministrazioni locali fino alle posizioni più alte. Una buona parte delle donne avevano affermato che non entravano in politica per mancanza di opportunità.
Cosa comporta entrare in politica per una donna in Turchia?
Fare politica non è un lavoro tanto diverso da quello del medico, del giudice o del professore universitario. Le donne fanno tutti questi mestieri e in più si occupano della casa e dei figli. Forse diventare parlamentare, se ti limiti solo a lavorare i tre giorni alla settimana in cui si riunisce l’assemblea è addirittura più semplice. Il vero problema per una qualsiasi donna che lavora è la cura dei figli. Dato che non c’è uno stato sociale forte, il numero degli asili dove affidare i bambini è estremamente limitato. Quelli che ci sono chiedono dei prezzi esorbitanti. Le donne devono versare gran parte dei propri stipendi per pagare gli asili o le baby sitter. Anche secondo i sondaggi il motivo principale indicato dalle donne riguardo al fatto di non lavorare è la mancanza di qualcuno che possa accudire i figli. C’è poi il fatto che in Turchia il sistema politico, come del resto molti altri mestieri anche nel mondo, è fatto “a misura di uomo”, esattamente come i piani da lavoro delle cucine sono progettate secondo l’altezza delle donne, con una definizione a priori di cosa sia un lavoro per gli uni e per le altre. Ma anche in questo caso, abbiamo numerosi esempi che capovolgono questo assunto.
Quale può essere secondo lei un modo per cambiare questo sistema?
Inserire l’obbligo delle quote. Perché quando non c’è l’obbligo di una percentuale di donne, nemmeno i leader politici che vorrebbero avere più donne nel partito riescono a far valere la propria volontà, perché c’è una tale pressione e imposizione da parte delle componenti maschili che non permettono che arrivi il turno alle donne. Le quote fornirebbero invece una giustificazione alla loro scelta. In questa fase penso che sia l’unico modo per risolvere il problema.
Un’altra questione che trova spazio nell’opinione pubblica è il problema della rappresentanza delle donne con il velo in parlamento. Si dice che dal momento che sono numerose le donne che portano il velo nella società dovrebbero poter essere elette anche loro. Qual è la posizione del CHP a riguardo?
Per lunghi anni la questione del velo nelle università è stato un grande problema. Dopo che Kemal Kılıçdaroğlu (leader del CHP) è arrivato a capo del partito ha affermato che il CHP non si sarebbe intromesso nell’abbigliamento delle studentesse perché l’istruzione, come la libertà di potersi comportare come richiede il proprio credo religioso è un diritto e non si può obbligare una persona a optare per un diritto a scapito dell’altro. Tutti hanno diritto ad avere un’istruzione e l’abbigliamento non può rappresentare un impedimento a tale fine. Naturalmente questo è un discorso che vale per le maggiori di 18 anni, e con il presupposto che siano loro a scegliere cosa indossare. Subito dopo l’affermazione di Kılıçdaroğlu l’Istituto di istruzione superiore (Yüksek Öğretim Kurumu- l’ente statale che amministra il sistema universitario turco ndr) ha diffuso una circolare liberalizzando di fatto il velo nelle università. E ciò è stato ottenuto grazie al CHP. Tuttavia i deputati che rappresentano il popolo devono rispettare un certo codice d’abbigliamento. Per le donne è previsto il tailleur, per gli uomini giacca e cravatta. Non si può venire con i jeans o i pantaloncini. Per questo motivo la nostra posizione non è favorevole nemmeno all’uso del velo in parlamento.
Quali sono le vostre priorità per quanto riguarda i problemi delle donne? Il CHP intende cooperare con i movimenti delle donne?
I problemi delle donne sono molteplici. C’è la questione degli asili già accennata, quella del periodo di maternità, della violenza e degli omicidi d’onore. Non ci sono leggi adeguate per proteggere le donne dalla violenza. Il recente omicidio di Ayşe Paşalı , uccisa dall’ex marito nonostante le ripetute minacce denunciate dalla donna alle autorità, incapaci di tutelarla perché divorziata, si è trasformato in un simbolo per le donne. Il fatto è che l’AKP considera la donna solo in funzione della famiglia. Non a caso ora il Direttorato generale dello Statuto delle donne, fondato venti anni fa dopo lunghe battaglie, sarà abolito per confluire nel ministero della Famiglia e dell’Assistenza sociale. Le necessità delle donne verranno affrontate indistintamente insieme a quelle degli anziani, dei disoccupati e dei disabili. Ovviamente le associazioni delle donne sono in mobilitazione e anche il CHP è contro questa modifica. Un altro problema da affrontare è l’esiguo numero di case di accoglienza per le donne. Secondo la normativa comunale, tutte le circoscrizioni con più di 50mila abitanti dovrebbero disporne di una. Dovrebbero essere 4.000, ma ce ne sono solo settanta di cui 40 fondate dallo Stato e che funzionano più come ostelli che come veri e propri centri. È necessario rendere la norma tassativa. I posti di lavoro con più di cento donne hanno l’obbligo di istituire un asilo, ma per evitare questa incombenza assumono solo fino a 99 donne. Ciò che da anni chiedono le organizzazioni femminili, e che vogliamo anche noi, è che tutti i posti di lavoro che abbiano 99 dipendenti, uomini o donne, mettano a disposizione un asilo. Tutte questi problemi saranno considerate molto seriamente dal CHP e siamo in molte nel partito a essere coinvolte. Io stessa sono entrata in politica per prendere le parti di tutte le minoranze, aleviti, curdi, rom e donne, perché anche le donne, sebbene costituiscano la metà della popolazione, sono ancora una minoranza.