Quella nostra fascia bianca
Ogni 31 maggio a Prijedor si commemora la brutale pulizia etnica del 1992. Uno sguardo da vicino su questa cittadina europea, che rimane profondamente ferita
(Pubblicato originariamente da Atlanteguerre.it )
Trent’anni fa una giunta militare guidata dai serbo-bosniaci prese il potere in tutta la municipalità di Prijedor (Bosnia nord-occidentale) dopo aver rovesciato il governo legalmente eletto alle prime elezioni democratiche della Bosnia Erzegovina indipendente. Ai cittadini non serbi della municipalità di Prijedor venne imposto di segnare le proprie case con un lenzuolo bianco e quando uscivano di casa di indossare sul braccio una fascia bianca. Fu il primo passo verso la pulizia etnica che si scatenò di lì a poco… Questa è la storia.
È una storia che parla di tre campi di concentramento nella zona di Prijedor: Keraterm, Omarska e Trnopolje. Civili uccisi 3176, di cui 256 donne e 102 bambini. I dati non sono definitivi. Definitivo è che per il momento quelle persone non hanno una dignità nemmeno da morti. Una lapide. Un monumento. Un posto dove poter lasciare i fiori almeno quando i resti della vittima non sono ancora stati identificati e sepolti. Il 31 maggio di ogni anno, partendo dal 2012, quelli che hanno subito questa tragedia commemorano questa data. I sopravvissuti ricordano i loro morti. Gli altri dicono che non è mai successo e negano. Da dieci anni ormai le autorità serbe locali cercano di ostacolare qualsiasi processo che potrebbe portare finalmente alla condivisione della memoria e a una riconciliazione così auspicata. Una pace giusta.
E oggi come vivono i cittadini di Prijedor? Da quelle parti non arrivano soltanto le brutte notizie. La Prijedor di oggi è anche la città del premiatissimo scrittore, attore e drammaturgo Darko Cvijetić che nel mondo porta qualche spiraglio della luce bosniaca. Con sorriso e con orgoglio. E tanti giovani sportivi tra cui mi viene in mente Marija Gnjatić, straordinaria giovane speranza di tennistavolo i cui successi fanno parlare della Bosnia nel resto del mondo come di un paese dove esiste anche altro. Lo sport, la vita…
Ecco, appena di quella città cominciamo a pensare come di un luogo che sta diventando tollerante e vivibile sulla scena torna la nefasta politica locale. Ci arriva la notizia che il vicesindaco di Prijedor Žarko Kovačević invece di fare gli auguri di Pasqua ai suoi, pochissimi rimasti, concittadini di religione cattolica li offende dicendo che disdegna i “vaticanisti” e “quello che hanno fatto al popolo serbo bosniaco durante la Seconda guerra mondiale”. E che la Bosnia per il Vaticano, secondo lui, è ancora Terra Misionaris”. Il tutto sulla sua pagina Facebook ufficiale. E poi non si dimette. Rimangia quello che ha detto ridicolizzando sé stesso. Il sindaco di Prijedor Slobodan Javor prende le distanze da quella dichiarazione ma non chiede le sue dimissioni. Non sostiene nemmeno la richiesta della cittadinanza delle dimissioni del vicesindaco. Non permette nemmeno di inserire la richiesta nell’ordine del giorno della giunta comunale.
Non basta. Arriva un’altra notizia pessima. Un’associazione di giovani di nome Princip, molto vicina al partito della maggioranza locale (il nome evoca Gavrilo Princip, che uccise l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie Sofia), avanza la richiesta di voler organizzare la festa di compleanno del primo ministro ungherese Viktor Orban – e del proprietario di un canale televisivo molto popolare con la sede in Serbia di nome Pink TV – proprio nella stessa data e stessa piazza in cui i cittadini di Prijedor ricordano le loro vittime innocenti.
Scompare brutalmente ciò che c’è di buono e in primo piano torna una città, non molto distante da noi, che ha ordinato ai propri cittadini di marcarsi di bianco per essere poi eliminati. Prijedor torna ad essere una città ferita. Ora come trent’anni fa fasciata completamente, con quella fascia bianca della vergogna che appartiene anche a noi. Ai nostri tempi e alla nostra civiltà. Quella fascia bianca che copre una città e tutta la Bosnia Erzegovina è anche nostra. La nostra vergogna bianca. La ricordiamo e la neghiamo. E quest’anno è il decimo anniversario del ricordo del dolore e della “gioia” di negare. Noi non possiamo fare molto. Ma possiamo anche nel 2022, trent’anni dopo le tragiche vicende di quella cittadina bosniaca, ricordare le fasce bianche di Prijedor e tutte quelle che restano invisibili. Che indossa il nostro vicino, parente o amico. Perché ci riguarda. Siamo esseri umani…