Quattro scenari per i Balcani in Europa

Tra dieci anni quali saranno i rapporti tra Unione europea e paesi dei Balcani? Da Graz arrivano quattro scenari per guardare all’allargamento

10/07/2014, Davide Denti -

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(Fabrizio/flickr)

Dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione europea, l’estate scorsa, passerà circa un decennio prima che i prossimi paesi dei Balcani occidentali compiano lo stesso passo. Quali sono gli scenari che si potrebbero avverare in tale lasso di tempo, e quali sono i rischi? Se ne occupa ora un policy paper del BiEPAG  (Balkans in Europe Policy Advisory Group *) The unfulfilled promise: completing the Balkan enlargement.

Quattro sono gli scenari individuati nello studio: la continuazione del processo d’allargamento secondo i criteri attuali ("Business as usual"); l’alienazione dei paesi balcanici rispetto all’UE, seguendo il percorso della Turchia; l’abbandono totale del processo d’allargamento e una nuova instabilità regionale; e un nuovo "big bang" balcanico che invece ne acceleri l’integrazione europea.

Business as usual?

Lo scenario più plausibile secondo il BEPAG è che il processo d’allargamento continui lungo i binari attuali. Riformato nel 2010-11 a seguito delle lezioni apprese dall’allargamento a Romania e Bulgaria, il processo d’allargamento si basa oggi sui criteri di "Copenhagen plus", gli stessi decisi nel 1993 a Copenhagen – democrazia, economia di mercato funzionante, capacità di mettere in atto gli impegni europei – più criteri specifici ad ogni paese candidato dei Balcani  – dalla cooperazione con l’ICTY alla normalizzazione delle relazioni bilaterali con i paesi vicini.

L’enfasi su stato di diritto e good governance (con la priorità data all’apertura dei capitoli 23 e 24 su giustizia e sicurezza all’inizio dei negoziati), l’uso di parametri di verifica intermedi (benchmarking) e strumenti di dialogo politico per superare le situazioni di blocco (High level accession dialogues, structured dialogues) hanno reso il processo d’allargamento molto tecnico, rigoroso e complesso. Ciononostante, il rischio permane di quella che Hillion definiva la "nazionalizzazione strisciante" del processo d’allargamento, con un maggior numero di possibili veti da parte di attori politici nazionali (parlamenti, referendum, etc), spesso spinti da motivazioni prettamente domestiche, faccia deragliare il processo d’allargamento e ne mini la coerenza.

Finora, l’allargamento si è mantenuto in moto nonostante le molteplici crisi (costituzionale e finanziaria) che hanno colpito l’UE nello scorso decennio. Tuttavia, l’anticipazione della condizionalità alle prime fasi dell’integrazione europea (negoziati d’associazione e domande di candidatura anziché negoziati d’adesione), oltre che l’intromissione politica degli stati membri, hanno ridotto la velocità e l’attrattività del processo d’allargamento, minandone la credibilità.

L’attuale scenario d’allargamento a "regata" (ciascun paese candidato che procede per la propria strada e velocità verso Bruxelles) è particolarmente a rischio veti e incapace di venire in aiuto di quei paesi che restano più indietro (Macedonia, Bosnia Erzegovina, Kosovo).

Il distacco: se i Balcani vanno per la loro strada

Il secondo e terzo scenario del BEPAG prevedono il potenziale distacco dei Balcani dal processo d’allargamento e una nuova instabilità nella regione. Ciò potrebbe avvenire se al processo d’allargamento fosse messo definitivamente termine per via di una recrudescenza della crisi finanziaria e della disgregazione dell’eurozona (con la fine del ruolo della Grecia e dell’Italia come modelli d’integrazione europea per i Balcani), ma anche se i negoziati d’allargamento dovessero protrarsi indefinitamente senza risultati come avvenuto nel caso della Turchia.

In entrambi i casi, si potrebbe assistere al rovesciamento della democratizzazione e all’instaurazione di pratiche autoritarie e clientelistiche da parte dei governi in carica, che avrebbero l’effetto di diminuire ulteriormente l’appetito continentale per un nuovo round d’allargamento dell’Unione.

Russia e Turchia potrebbero approfittarne per presentarsi come modelli alternativi di sviluppo politico ed economico, mentre la stessa stabilità degli stati della regione potrebbe essere messa in discussione da una recrudescenza dei movimenti secessionistici o dall’incancrenirsi della questione del (Nord del) Kosovo come nuovo conflitto congelato.

Un big bang balcanico per l’UE?

L’ultimo scenario, il più improbabile ma anche il più raccomandato dal BEPAG, è quello di uno sforzo che rinnovi il processo d’allargamento per metterne al sicuro i risultati ottenuti finora, seguendo l’esempio dell’allargamento ad est del 2004/2007.

Passando da un approccio "a regata" ad un approccio "a blocco", i paesi dei Balcani occidentali potrebbero iniziare tutti insieme i negoziati d’adesione all’UE, instaurando così una dinamica competitiva che favorisca le riforme e faccia sì che i cittadini dei paesi candidati possano chiederne conto ai propri governi. Una prospettiva credibile d’adesione all’UE – ciò che oggi manca ai paesi dei Balcani occidentali – sembra essere l’unico meccanismo in grado di mettere in moto le necessarie riforme economiche e democratiche. D’altro canto, il rischio è che le riforme possano essere introdotte troppo velocemente, senza essere interiorizzate, o che restino sulla carta – ma il successo complessivo dell’esperienza dell’allargamento ad est sembra mitigarlo.

L’UE dovrebbe investire risorse considerevoli per risolvere gli ostacoli che si frapporrebbero al successo di una tale iniziativa, a partire dalle dispute bilaterali; dall’altra parte, l’integrazione rapida dei paesi balcanici garantirebbe di mettere al riparo la regione da possibili nuovi spill-over d’instabilità e dagli effetti collaterali del ritrovarsi un’enclave dell’UE. Le dimensioni limitate della regione (18,5 milioni di cittadini in tutto) non dovrebbero costituire un problema per la capacità d’assorbimento dell’UE.

In conclusione, il rapporto del BEPAG sottolinea come l’approccio attuale "business as usual" non sia sufficiente, e come la lunghezza del processo d’allargamento sia la fonte principale di rischio. Anche se il modello attuale d’allargamento dovesse essere portato avanti, come sembra plausibile, le istituzioni UE dovrebbero limitare la condizionalità al momento dei negoziati d’adesione; tali negoziati dovrebbero iniziare il prima possibile con tutti i paesi della regione, per avviare una dinamica competitiva. Allo stesso tempo, potrebbero essere messe in campo misure simboliche e reali (come l’invio di eurodeputati osservatori dai paesi candidati, o la partecipazione ai programmi Erasmus+) per stimolare l’avvicinamento delle società dei paesi candidati a quelle dei paesi già membri dell’Unione.

 

 

 

 


*l Balkans in Europe Policy Advisory Group (BiEPAG ) è un progetto di cooperazione dell’European Fund for the Balkans (EFB) e del Centre for Southeastern European Studies (CSEES) dell’Università di Graz (Austria) con l’obiettivo di promuovere l’integrazione europea dei Balcani occidentali e il consolidamento della democrazia nella regione. Il BiEPAG è composto di giovani ricercatori dai Balcani occidentali e dal resto d’Europa che si sono affermati per la loro conoscenza e comprensione della regione e dei processi che la modellano. Il BiEPAG pubblica il Balkans in Europe Policy Blog e dà il benvenuto a potenziali contributi

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