Prospettive di post-Jugoslavia

Nella galleria fotografica dell’Osservatorio sui Balcani presentiamo gli scatti di Franco Revelli. Un viaggio attraverso la nostalgia ed i suoi riflessi sul presente.

27/01/2004, Redazione -

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Spunti di neotitismo dalle rovine - Mostar, Bosnia

Spunti di neotitismo dalle rovine – Mostar, Bosnia

Un viaggio nella post nazione. Ricercata lungo l’interminabile autostrada che collega Zagabria e Belgrado e nelle sale dei suoi autogrill fantasma; in una Bosnia costellata di chiese, bandiere e frontiere; tra i vicoli di Kotor, sulla costa montenegrina; in una Dubrovnik, Ragusa, dove il rancore non è stato ancora del tutto sciolto e ci si nasconde dietro le immagini del Papa. E’ questo il percorso attraverso le immagini di ciò che "appare abbandonato culturalmente e fisicamente" ma pregna ancora la vita dei Balcani, che sta compiendo Franco Revelli, giovane fotografo ligure, del quale abbiamo recentemente pubblicato sul nostro sito alcune fotografie.
"Per quanto la concezione di «post» si nata come effetto collaterale della società dei consumi di tipo capitalistico, essa si trova sempre più spesso ad accompagnare la percezione di gran parte dell’Europa dell’est a quasi quindici anni di distanza dalla caduta del muro di Berlino" spiega Franco "Il fatto che il «post» sia proprio di un oggetto considerato come superato, sulla base di un modello sociale basato sulle rivoluzioni dei consumi, stimola una ricerca di ciò che appare abbandonato culturalmente o fisicamente attraverso la sua immagine".
L’immagine di un edificio distrutto a Sarajevo o di una carro armato arrugginito riportano alla mente la questione bellica. Ma non solo. Si allacciano anche ad una percezione del sentimento nostalgico. Revelli lo esplica in un unico scatto, tra le rovine di Mostar un graffito inneggiante a Tito. In un’interpretazione tipica delle rivoluzioni dei consumi tali immagini risulterebbero inevitabilmente legate ad una etichetta di «post» in relazione all’abbandono culturale che stanno vivendo. "Non accade nel contesto jugoslavo, ininterrotta fabbrica di simboli, dove divengono portatrici di un messaggio in piena continuità con ciò che è successo, succede e succederà".
"Il mio cammino attraverso l’ex (o post) Jugoslavia è stato costellato di incontri" racconta Franco. "In un universo così, in cui ogni cosa è un simbolo, si può finire a parlare fino a tarda notte, senza usare la stessa lingua, con un ristoratore serbo alla periferia di Sarajevo, con sei mesi di servizio militare alle spalle, facendosi offrire bicchieri di kruska solo per aver nominato persone come Mihailovic o Boskov. Ma si possono anche conoscere persone come la ristoratrice di Irig, croata di Pola, cuoca in Serbia e con la volontà di sedersi al nostro tavolo a raccontarci la sua nostalgia per la sua città; o essere fermati per strada da Jaskula, ex corridore professionista di circa ottant’anni, ancora in tenuta sportiva ed in sella, per farsi raccontare in un italiano di quattro parole le sue presunte esperienze con Coppi e la strana amicizia con Bugno".
L’idea di ritrarre immagini da un simile contesto è nata a Franco spinto dalla necessità di contribuire a riformulare il paesaggio che gli europei vedono oltre Adriatico. Le fotografie da noi pubblicate sono le prime di una serie che presenteremo nei prossimi mesi.
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