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Profughi in Serbia: ultimo censimento?
Nell’arco degli ultimi quattro anni il numero dei profughi in Serbia è diminuito considerevolmente. Un recente incontro tra i rappresentanti delle ex repubbliche jugoslave sembra gettare le basi per una soluzione definitiva della questione dei profughi
Conclusosi il 25 gennaio 2005 in Serbia il censimento dei profughi ha registrato 139.483 persone. Quando questa "cifra", ossia numero di persone, passa attraverso i filtri burocratico-amministrativi, secondo le parole di Dragisa Dabetic , Commissario per i profughi della Serbia, potete tranquillamente diminuire questo numero del 10%. Vale a dire che nel 2005 in Serbia "esistono" formalmente&giuridicamente circa 125.000 profughi!
Per quelli che sono meno avvezzi all’andamento di questi dati, potrebbe essere interessante sapere che nel censimento del 2001 in Serbia lo status di profughi era stato riconosciuto a 380.000 persone. Quindi, con un conto spiccio, in cinque anni in Serbia figurano il triplo di profughi in meno. Questo conto può suggerirci un paio di domande importanti. Dove sono e quale status in questo momento hanno le circa 255.000 persone che sono rimaste senza lo status di profughi tra il 2001 e il 2005? Inoltre, è interessante anche sapere dove e cosa fanno i rimanenti 125.000 profughi cui lo Stato assicurerà la possibilità di usufruire di questo status?
La registrazione dei profughi è stata condotta dal Commissariato della Serbia per i profughi, utilizzando la metodologia e l’aiuto finanziario ricevuto dall’Alto commissariato per i profughi dell’ONU (UNHCR in Serbia e Montenegro). La novità dell’ultimo censimento riguarda la collaborazione con l’Istituto della repubblica per le statistiche che ha l’obbligo di pubblicare, entro il giugno 2005, il rapporto finale sul numero dei profughi presenti in Serbia e Montenegro.
La strategia ufficiale del governo si basa su due linee. La prima si riferisce a quelle 255.000 persone che hanno perso lo status di profughi. Questa linea strategica si basa sui crediti per l’alloggio e sui programmi di integrazione. Tuttavia, il problema fondamentale riguardante i crediti per l’alloggio è l’alta cifra delle rate (dipende dalla metratura dell’alloggio) pari a circa 180 euro al mese. Ricordiamo che lo stipendio di un docente in Serbia è pari a circa 250 euro.
Lo Stato offre garanzie per questi crediti, e la gente deve solo trovare i soldi! Sarà interessante osservare quale sarà il numero di persone in grado di, oltre alle già alte spese per il proprio mantenimento, sostenere pure una rata di 180 euro al mese. Il programma per l’integrazione si basa sui progetti di pre-qualificazione e in parte sul "Pick up program", 120.000 dinari (1500 euro) in contanti per abbandonare i centri collettivi e trasferirsi in un alloggio privato. In collaborazione con le istituzioni locali e le organizzazioni non governative, i progetti di pre-qualificazione, ossia di un’ulteriore istruzione, hanno mostrato risultati soddisfacenti. Una parte della strategia integrativa si basa pure sul fatto che la maggior parte delle persone, che un tempo godevano dello status di profughi, hanno fatto richiesta per ottenere la cittadinanza della Serbia e Montenegro.
All’Osservatorio sui Balcani, Andrej Mahicic, rappresentante dell’UNHCR, ha dichiarato che dal 2001 circa 100.000 persone hanno fatto richiesta di cittadinanza. Oltre alle richieste per la cittadinanza della Serbia e Montenegro, un determinato numero di persone è tornato nel Paese da dove era fuggito durante la guerra. Una terza variante, secondo Andrej Mahicic, è l’emigrazione in un "Paese terzo", nella maggior parte dei casi si tratta di Paesi dell’UE.
Quindi da queste cifre e spiegazioni possiamo trarre la risposta alla domanda iniziale su dove si trovano e che status hanno le circa 255.000 persone che nel 2001 avevano lo status di profughi.
La seconda linea strategica adottata dallo Stato si riferisce a quelle persone che durante l’ultima registrazione mantengono lo status di profughi. La soluzione del problema relativo a queste persone è stato individuato dalla amministrazione statale nella conferenza tenutasi a Sarajevo il 31 gennaio 2005, su iniziativa dei governi dei Paesi della regione.
Il nome non ufficiale dato a questa conferenza era "3×3", mentre quello ufficiale era "Conferenza regionale dei ministeri sulla soluzione delle questioni relative ai profughi e agli sfollati". Alla conferenza hanno partecipato sia i ministri della Croazia, della Bosnia Erzegovina e della Serbia e Montenegro che i rappresentanti dell’UE, dell’OSCE e dell’UNHCR.
In pratica il compito di questa conferenza è consistito nel fornire i meccanismi di base che saranno utilizzati per la soluzione delle questioni relative ai profughi e agli sfollati. Dal punto di vista politico, per la prima volta a Sarajevo dopo l’Accordo di Dayton (21.11.1995) si sono seduti ad un tavolo e hanno discusso i rappresentanti della Croazia, della BiH e della SM. Quindi, oltre alle soluzioni pratiche e alla cosiddetta "road map", che dovrebbe servire da piano d’azione per la soluzione delle rimanenti questioni relative ai profughi, come investimento politico è stata annunciata la collaborazione tra i Paesi che negli anni novanta hanno combattuto una guerra sanguinosa.
Se paragoniamo il numero di profughi del censimento effetuato nel 1996 (537.937 persone), col numero dei profughi registrati nel 2005 (139.483 persone), possiamo concludere che gradatamente sembra chiudersi la vergognosa storia dei "centri collettivi" nei Balcani.
Benché la conferenza di Sarajevo sia stata pressoché ignorata dai media locali, le frasi introduttive della dichiarazione sottoscritta da Mirsad Kebo (BiH), Bozidar Kalmeta (Croazia) e Rasim Ljajic (SM) possono essere ricordate come la possibilità di un rinnovato segno di collaborazione reciproca: "Noi, ministri incaricati delle questioni dei profughi e sfollati della Bosnia Erzegovina, Croazia e Serbia e Montenegro, ci siamo incontrati oggi a Sarajevo per fare in modo di accordarci sulle nostre singole e comuni attività, che dovranno essere assunte nel periodo a venire con l’aiuto dei rappresentanti della comunità internazionale, con l’intento di assicurare una giusta e durevole soluzione delle questioni relative ai profughi e agli sfollati dei nostri Paesi".
Se compariamo tutto ciò con quanto detto fino a due anni fa, questa dichiarazione suona quasi rivoluzionaria.