Procreazione assistita in 43 paesi europei: non per tutti

Limiti di età e possibilità di accesso per donne single e persone LGBTI ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita in Europa: la prima parte di un’inchiesta collaborativa condotta dalla nostra rete EDJNet

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Foto: Mario Jr. Nicorelli/Flickr – CC BY-NC 2.0

In tutta Europa le coppie eterosessuali possono sottoporsi a trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA) attraverso il sistema sanitario nazionale o, in alternativa, a proprie spese. Si tratta di procedure consentite dalla legge. Solo in alcuni paesi europei le coppie eterosessuali che necessitano di ovociti o embrioni donati incontrano ostacoli nell’accesso alla fecondazione assistita.

I limiti di età

Nella maggior parte dei casi, l’unica barriera giuridica all’accesso alla PMA per le coppie eterosessuali riguarda l’età della donna. Nell’ultimo decennio, l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio, a prescindere dal fatto che sia stato concepito in modo naturale o assistito, è aumentata in gran parte d’Europa, tanto che nel 2019 ha superato i 32 anni in paesi come la Spagna e l’Irlanda.

Anche le donne che decidono di sottoporsi a tecniche di procreazione assistita hanno un’età sempre più avanzata, e alcune vi accedono a un’età in cui è relativamente difficile rimanere incinte in modo naturale. Nella maggior parte dei paesi l’età massima per poter accedere alla PMA si aggira sui 50 anni. È ad esempio il caso della Grecia, dove però il limite è stato esteso ai 52 anni fino al giugno 2023 a causa dei ritardi nell’erogazione dei trattamenti provocati dalla pandemia da Covid-19.

Juana Crespo, direttrice di una clinica di fertilità spagnola specializzata nel trattamento di casi complessi, spiega che il problema principale è spesso proprio l’età avanzata delle sue pazienti. “Con il passare degli anni, anche il nostro apparato riproduttivo invecchia, l’intero sistema invecchia”, afferma Crespo.

Pur rappresentando uno dei problemi più frequenti, il limite di età previsto per l’accesso delle donne alla PMA non è l’unica difficoltà con cui devono fare i conti le coppie eterosessuali che desiderano avere figli. Secondo Carlos Calhaz-Jorge, medico specialista della salute riproduttiva e ricercatore presso l’Università di Lisbona, nonché presidente della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (ESHRE ), il 50% dei problemi di fertilità nelle coppie eterosessuali deriva dagli uomini.

Tuttavia, nella maggior parte dei paesi europei non c’è alcun limite di età per gli uomini che desiderano accedere alle tecniche di PMA con la loro partner. Tra i 43 paesi europei analizzati per questa inchiesta, solo tre prevedono un limite del genere: la Francia lo ha fissato a 59 anni, la Finlandia a 60 anni e la Svizzera a 56 anni, ma negli ultimi due casi si tratta di raccomandazioni e non di limiti vincolanti.

Le barriere per le persone single e LGBTI

Per le coppie lesbiche e per le donne senza partner è più difficile accedere alla fecondazione assistita in molti paesi europei, e lo è ancora di più per le persone transessuali e intersessuali. Accade anche in paesi dove non ci si aspetterebbe di incontrare discriminazioni in questo ambito: la Francia, ad esempio, ha consentito l’accesso alla procreazione assistita a queste categorie di persone solo nel giugno 2021, mentre in Norvegia le donne single possono ricorrere a questa procedura dal 2020 .

Per le persone LGBTI che vivono in Europa avere figli con tecniche di procreazione assistita è un’impresa tutt’altro che facile. Ben 24 paesi europei impediscono alle coppie lesbiche di accedere alla PMA. “I luoghi in cui per le persone LGBTI è più difficile trovare un impiego, dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale, ottenere il riconoscimento giuridico dell’identità di genere o sposarsi sono anche luoghi in cui queste persone incontrano maggiori difficoltà nell’accedere alle tecniche di procreazione assistita”, afferma Cianan Russell dell’organizzazione ILGA Europe , che riunisce i movimenti LGBTI europei.

Russell spiega che la situazione peggiore è in Ungheria e in Polonia, aggiungendo però che si tratta di un problema diffuso in tutta Europa. Secondo Russell, anche nei paesi dove le persone LGBTI possono teoricamente accedere alla PMA, l’intero processo è in realtà spesso accompagnato da “discriminazioni, intimidazioni e persino da atti di violenza”.

Fino al 2011, non molto tempo fa, in Germania, le persone trans dovevano sottoporsi alla sterilizzazione per poter cambiare genere. Ciò succede ancora in molti altri paesi europei. In alcuni casi, la legge vieta l’accesso alla PMA alle persone che hanno ottenuto il riconoscimento di genere, causando un dilemma. “L’individuo non dovrebbe essere messo nella posizione di dover scegliere uno dei propri diritti o l’altro. Non è questo il modo in cui i diritti umani dovrebbero essere applicati.

Venti paesi permettono l’accesso alla PMA alle persone trans. Sei non lo fanno. In altri paesi, come la Germania, la questione non è normata. In Italia è obbligatorio completare la transizione di genere prima di poter accedere alla PMA. In altri paesi, delle modifiche legislative mirano a cancellare queste realtà, a fingere che non esistano. È questo il caso dell’Ungheria, racconta Bea Sandor, della Háttér Society, un’associazione ungherese per la difesa dei diritti LGTBIQ+: “Il riconoscimento legale di genere è stato completamente vietato l’anno scorso. Non esiste un vero riferimento legislativo per le persone trans.”

Inoltre, dichiara Russell, anche i trattamenti a cui sono state sottoposte molte persone intersessuali da giovani hanno azzerato le loro possibilità di avere figli, almeno in modo naturale: “Ci sono barriere davvero significative nel modo in cui le persone intersessuali sono in grado di riprodursi. E queste iniziano a manifestarsi persino molto prima che la persona intersessuale acquisti consapevolezza della sua situazione, cioè durante l’infanzia, quando si interviene interviene sui loro corpi tramite interventi chirurgici o trattamenti ormonali che ne modificano la capacità riproduttiva negli anni a venire.”

E, se riescono a superare tutte queste barriere, devono comunque affrontare le stesse di tutti gli altri: divieti nel caso non abbiano una relazione, limiti di età e costi.

Come spiega Russell, le persone LGBTI che subiscono discriminazioni nell’accesso alla fecondazione assistita hanno a disposizione tre alternative. La prima consiste nel nascondere la propria identità sessuale – un’alternativa a cui spesso ricorrono le coppie lesbiche, affermando che solo una delle due donne vuole sottoporsi ad un trattamento di fecondazione assistita come donna single, oppure le persone non binarie o gli uomini transessuali che si presentano come donne. La seconda alternativa è provare ad accedere alla PMA in un altro paese. La terza possibilità consiste nel concepire un figlio con un amico o con una persona di fiducia, pur non sentendosi attratti da loro.

Molte persone che desiderano avere figli potrebbero sentirsi spinte a ricorrere a quest’ultima opzione qualora dovessero incontrare ostacoli insormontabili nel tentativo di soddisfare il loro desiderio con altri metodi. Izaskun Gamen, portavoce dell’associazione spagnola “Madres solteras por elección” (Madri single per scelta), racconta che, durante i suoi lunghi tentativi per avere un figlio, alcune persone le avevano consigliato di provare a rimanere incinta grazie a un’avventura di una notte con uno sconosciuto e, in caso di successo, di non dire nulla al padre. Un’opzione che a Izaskun Gamen sembra impensabile. “Come lo spieghi poi a tuo figlio? Come spiegargli che è nato da un inganno?”, si chiede Gamen.


Le possibilità di accesso alla PMA, caso per caso

Viene da chiedersi se sia possibile per l’Unione europea adottare una normativa comune che garantisca a tutti i cittadini un accesso equo alle prestazioni di procreazione medicalmente assistita. Cianan Russell è scettico al riguardo, dato che si tratta di una materia di competenza degli stati membri. Stando alle sue parole, l’unica alternativa all’adozione di una normativa Ue è quella di difendere i diritti delle persone LGBTI ricorrendo alle vie legali.

Nemmeno Calhaz-Jorge è ottimista riguardo alla possibilità di elaborare una normativa Ue comune in materia di procreazione assistita. “Sono convinto che non sia possibile adottare regole simili [in tutti gli stati membri]. Le posizioni politiche e la sensibilità culturale variano molto da un paese all’altro”, conclude Calhaz-Jorge.

L’articolo originale è stato pubblicato da Civio nell’ambito dello European Data Journalism Network ed è stato realizzato con la collaborazione di altri membri della rete (OBC Transeuropa, El Orden Mundial, EUrologus, MIIR). I dettagli sulla metodologia seguita si possono consultare qui . Ivana Draganić ha tradotto l’articolo in italiano.

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