Processi per crimini di guerra in Serbia: mero esercizio tecnico
Il perseguimento dei crimini di guerra in Serbia rispecchia gli sviluppi politici della società serba dell’ultimo decennio. La strategia che nel 2016 era stata adottata nel contesto del percorso di adesione all’UE non ha portato a cambiamenti significativi
(Originariamente pubblicato da Justiceinfo.net)
Perseguire crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio in Serbia significa affrontare tre diversi conflitti: quello del 1991-1995 in Croazia, quello del 1992-1995 in Bosnia Erzegovina (BiH) e quello del 1998-1999 in Kosovo. Nei primi due, la leadership politica e l’apparato di sicurezza della Serbia hanno svolto un ruolo chiave nella creazione, armamento e sostegno delle repubbliche secessioniste in Croazia e Bosnia Erzegovina. Per quanto riguarda il conflitto in Kosovo, le responsabilità della Serbia derivano dalla repressione armata della popolazione albanese del Kosovo e dal successivo conflitto con l’Esercito di liberazione del Kosovo, la fazione armata della popolazione albanese. Le autorità serbe sono state protagoniste di tutti questi conflitti ma i serbi di etnia croata, bosniaca e kosovara attualmente sfollati in Serbia possono rinetare sia tra i perpetuatori di crimini che tra le vittime. Ciò crea diverse opzioni per i pubblici ministeri serbi e della regione quando affrontano i crimini di guerra: applicare una giurisdizione territoriale limitata per quanto riguarda il luogo in cui sono stati commessi i crimini, attuare la cooperazione regionale o tenere conto della nazionalità delle vittime o degli autori, tenendo presente che sia le vittime che gli autori spesso godono di doppia cittadinanza e potrebbero vivere in un altro paese della regione.
I procedimenti interni per crimini di guerra in Serbia sono iniziati nel 2003, tre anni dopo la cacciata del leader serbo in tempo di guerra Slobodan Milošević. A quel tempo, le nuove autorità di Belgrado erano ansiose di riguadagnare credibilità internazionale dopo i conflitti degli anni ’90, quando la Serbia dovette affrontare sanzioni e isolamento internazionale. La transizione è stata, tuttavia, incompleta e si è basata su coalizioni politiche difficili e instabili. Gran parte del settore della sicurezza, tra cui polizia, forze armate e servizi di sicurezza interna non è stata toccata dalle riforme e ha goduto del sostegno di alcuni dei nuovi attori politici. Ampi settori della società serba credevano che la Serbia fosse stata vittima di forze esterne, che avevano cospirato per smantellare la Jugoslavia. A causa della mancanza di libertà dei media, c’era poca o nessuna conoscenza dei crimini commessi dalle repubbliche serbe separatiste in Bosnia e Croazia o dalle forze serbe in Kosovo.
Ritorno agli anni ’90?
Parallelamente alla transizione politica, la Serbia ha avviato il processo di adesione all’Unione europea. Nell’ambito di questo processo, la Serbia è tenuta, tra l’altro, a riformare e democratizzare le sue istituzioni. Dopo alcuni anni di moderati progressi, le forze politiche dominanti negli anni ’90 sono riuscite, dopo le elezioni del 2012, a ritornare al potere. Ciò ha sollevato preoccupazioni per il processo di adesione all’UE. Il nuovo governo ha inizialmente affermato di essersi riformato e si è impegnato a proseguire sulla via democratica. Tuttavia, con il passare del tempo, le tendenze più autoritarie e antidemocratiche sono riemerse, in particolare dopo che Aleksandar Vučić, ex ministro dell’Informazione sotto Milošević, è diventato presidente nel 2017 e il suo partito ha ottenuto 188 seggi su 250 in parlamento nel 2020. Di conseguenza, mentre cinque anni fa la Serbia era considerata un paese libero , oggi è considerata solo in parte libera dall’organizzazione Freedom House. Dopo anni di costante declino, la sua posizione nel Democracy Index 2020 stabilito da The Economist era peggiore di quella del 2006 . La società serba appare divisa tra aspirazioni progressiste, pro-UE e valori più tradizionali e nazionalisti. Molti osservatori hanno espresso preoccupazione per il fatto che la politica del paese sia tornata agli anni ’90 . La questione irrisolta del Kosovo, che la Serbia considera ancora parte del proprio territorio, tiene vive le tensioni e alimenta il nazionalismo.
Procedimenti per crimini di guerra legati all’adesione all’UE
Il perseguimento interno dei crimini di guerra è stato direttamente influenzato dalle dinamiche di potere in Serbia. L’intero processo può essere suddiviso in due fasi distinte.
Una prima fase copre il periodo tra il 2003 e il 2015. Coincide con la creazione della Procura per i crimini di guerra (WCPO), del Servizio investigativo per i crimini di guerra (WCIS) e di un dipartimento speciale presso la Corte superiore e la Corte d’appello di Belgrado come tribunali di primo e secondo grado che si occupano di crimini di guerra. Questo periodo è stato caratterizzato da un’iniziale mancanza di indipendenza della magistratura, attacchi regolari alla WCPO da parte di politici locali e ripetuti appelli alla sua chiusura poiché si rifiutava di condurre processi in contumacia di cittadini stranieri, vale a dire principalmente albanesi, bosgnacchi (musulmani bosniaci) e croati responsabili di presunti crimini contro i serbi.
Durante questo periodo, come riportato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), sono state depositate 60 accuse e sono state incriminate 162 persone, il che ha portato a 41 casi e 49 processi diversi (i tribunali a volte hanno tenuto processi separati per imputati diversi nella stessa causa). Di questi, 27 processi sono stati completati, portando alla condanna di circa il 60% degli imputati. I restanti processi erano al momento del report ancora pendenti in primo o in secondo grado.
Tuttavia, vale la pena ricordare che di questi 41 casi, 10 erano stati trasferiti da altri paesi, principalmente dalla Bosnia Erzegovina, dopo che era già stata condotta un’indagine completa nel paese di origine. Secondo l’OSCE , la WCPO ha avviato circa tre indagini all’anno e ogni procuratore della WCPO ha avviato un’indagine che ha portato ad un processo ogni tre anni. Conclusioni simili sono state raggiunte anche da altre organizzazioni che hanno seguito la questione. Il Centro di diritto umanitario (HLC), un’importante ONG serba che monitora le questioni relative ai crimini di guerra, ha concluso che la mancanza di efficienza nelle indagini era dovuta alla mancanza di risorse e spesso alla scarsa collaborazione da parte del WCIS. Inoltre, l’organizzazione ha riscontrato un’attenzione eccessiva per i criminali di basso rango nella polizia e nell’esercito, mentre i funzionari di alto rango non sono stati perseguiti. Questioni simili sono state sollevate da Amnesty International (AI), che ha rilevato la mancanza di volontà e strategia politica per perseguire i crimini di guerra in Serbia e lo scarso coordinamento tra gli organi statali.
HLC e AI hanno esortato l’Unione europea a non perdere l’occasione del processo di adesione all’UE per assicurarsi che la Serbia adotti un approccio strategico ai processi per crimini di guerra e acceleri il ritmo delle azioni penali e dei processi. HLC è arrivato fino a elaborare un modello di strategia per il perseguimento dei crimini di guerra, che è servito per dare forma alla prima strategia. Alla fine del 2015, le autorità serbe alla fine hanno concordato che si trattava di un passo necessario e i progressi nel perseguimento dei crimini di guerra sono diventati parte del processo di adesione all’UE.
Prestazioni deludenti dal 2016
Ciò ha aperto una seconda fase nel perseguimento dei crimini di guerra, in seguito all’adozione nel febbraio 2016 della prima strategia per affrontare i crimini di guerra che copre il periodo 2016-2020. La seconda strategia , adottata per il periodo fino al 2026, vede nel perseguimento dei crimini di guerra uno dei passi più importanti per raggiungere una duratura pace e riconciliazione nella regione e riconosce le carenze dell’approccio precedente, in particolare la mancanza di procedimenti contro i criminali di alto rango. È integrata da una strategia specifica per l’ufficio del pubblico ministero, che ha stabilito importanti priorità per guidare il lavoro dei pubblici ministeri per il periodo 2018-2023. In particolare, ai pubblici ministeri è stato chiesto di dare priorità ai reati di particolare gravità, reati in cui i presunti autori erano funzionari di alto rango, reati in cui erano disponibili prove e dove c’era la possibilità di attivare la cooperazione regionale con i paesi limitrofi. Nel documento, l’ufficio del pubblico ministero ha rifiutato lo svolgimento dei processi in contumacia, sebbene nel suo piano di lavoro separato, il procuratore capo per i crimini di guerra Snežana Stanojković non abbia escluso questa possibilità in linea di principio. La strategia, tuttavia, non ha preso alcun impegno su una data specifica per il suo completamento.
Anche dopo l’adozione della strategia, le prestazioni della procura e dei tribunali non sono migliorate. Nonostante l’aumento del numero di sostituti procuratori e del personale, non sono stati registrati progressi significativi . Il numero di rinvii a giudizio confermati per il periodo 2016-2020 è rimasto estremamente basso, con 31 in totale , di cui 23 trasferiti dalla Bosnia Erzegovina e solo otto provenienti dalla Serbia. Le cose non sono cambiate nel 2021: sono stati depositati solo sette atti di accusa , di cui quattro trasferiti dalla Bosnia. Durante questo periodo la Corte suprema ha emesso un totale di 23 sentenze di primo grado (18 dal 2016 al 2020 e 5 nel 2021 ), mentre la Corte d’Appello ha emesso un totale di 29 sentenze definitive (23 dal 2016 to 2020 e 6 nel 2021 ). Il tasso di condanne sembra essere superiore al 70%, anche se i dati disponibili sono confusi.
Mancanza di cooperazione regionale
Questi numeri sono particolarmente bassi se li confrontiamo con i 1.731 casi che sono nella fase pre-istruttoria. La mancanza di chiari criteri di definizione delle priorità è ampiamente considerata come uno dei problemi principali. "Invece di affrontare casi con un gran numero di vittime o autori di alto rango nell’esercito e nella polizia, l’ufficio del pubblico ministero lavora su casi con poche vittime", afferma Ivana Žanić, direttore esecutivo dell’HLC. Lo specialista di giustizia di transizione dell’UNDP Ivan Jovanović sottolinea le carenze regionali: "I pubblici ministeri nella regione dovrebbero avere criteri comuni su come assegnare priorità ai casi in modo strategico, piuttosto che prendere i casi su base cronologica o semplicemente scegliere i casi meno complessi".
Mentre la Serbia si è finora astenuta dal condurre processi in contumacia, il persistente rifiuto delle autorità croate di cooperare su casi specifici (vale a dire quelli relativi all’Operazione Tempesta del 1995, quando le forze croate riconquistarono i territori occupati da una repubblica separatista serba) e l’attuale pressione da parte di politici e opinione pubblica potrebbero spingere le autorità serbe a condurre tali processi in contumacia. Uno di questi casi è attualmente in esame di fronte ad un tribunale di Belgrado e non è chiaro se il caso andrà avanti . L’avvio di processi in contumacia, come fa la Croazia da tempo, è un segnale molto preoccupante per la cooperazione regionale sui crimini di guerra: il perseguimento di cittadini stranieri in Croazia, Bosnia e Serbia porterebbe facilmente ad una politicizzazione dei processi per crimini di guerra. Nel giugno 2022 Serge Brammertz, procuratore capo presso l’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals delle Nazioni unite con sede all’Aia, ha messo in guardia su questo quando ha affermato che le “decisioni politiche di bloccare il processo giudiziario ” da parte della Croazia stanno interferendo con la cooperazione regionale.
Impatto della guerra in Ucraina e tensioni in Kosovo
Analogamente a quanto sta accadendo in Bosnia, in Serbia è in corso un processo volto a glorificare i criminali di guerra. Fino a poco tempo fa, i criminali di guerra condannati sedevano in Parlamento e venivano regolarmente invitati in programmi TV filo-governativi o pubblicavano le loro memorie . Una retorica pericolosa che ricorda gli anni ’90 sta riaffiorando. In occasione della condanna definitiva per genocidio dell’ex leader militare serbo-bosniaco Ratko Mladić da parte di un tribunale delle Nazioni unite nel 2021, i principali leader politici in Serbia hanno affermato chiaramente che si trattava di una sentenza imposta all’intera nazione, una sorta di vendetta contro il popolo serbo, e che il Tribunale penale internazionale delle Nazioni unite per l’ex Jugoslavia era stato creato per processare i serbi. Nel 2022, la guerra in Ucraina (la Russia è un tradizionale alleato della Serbia) e le tensioni in Kosovo hanno esacerbato i sentimenti nazionalisti e le animosità nei confronti dell’"Occidente ". Questo ha ulteriormente polarizzato la società: gran parte della Serbia sostiene la Russia e il sostegno per l’adesione all’UE è in declino.
In questo contesto, sembra che il perseguimento interno dei crimini di guerra rimanga un mero esercizio tecnico, una formalità da completare per ottenere l’adesione all’UE, con pochissimi casi trattati e senza un reale impatto sulla società, mentre le vittime, i testimoni e gli autori dei crimini invecchiano e muoiono. Resta da vedere quanta importanza attribuirà l’UE ai ritardi nell’effettiva attuazione della strategia. Peggio ancora, se i processi in contumacia dovessero essere organizzati, potrebbero essere visti come uno strumento per promuovere il nazionalismo e creare ulteriori tensioni nella regione anziché promuovere riconciliazione e pace duratura.